Il social eating è comunemente definito come un’attività volta ad organizzare eventi culinari tra amici, saltuari, riservati a chi ha prenotato ed è stato accettato dal cuoco e senza organizzazione imprenditoriale: lo scopo del social eating sarebbe esclusivamente quello della socialità.
L’attività di home restaurant, invece, è stata comunemente definita come l’attività volta ad organizzare eventi con regolarità, ed adoperandosi affinché anche il rendiconto economico abbia una valenza importante.
La prima distinzione che si può abbozzare, dunque, tra le due forme di convivialità si posa sul requisito dell’abitualità: se gli eventi di condivisione del pasto (a pagamento) avessero un carattere saltuario, la fattispecie sarebbe quella del social eating, mentre se tali eventi fossero organizzati con il carattere dell’abitualità, allora la fattispecie sarebbe quella dell’home restaurant.
Tenere distinte le due attività, secondo gli operatori del social eating, è molto importante: infatti, nel primo caso, trattandosi di eventi sporadici e riservati, non troverebbe applicazione la precipua normativa dettata in tema di somministrazione di bevande e alimenti[1] mentre l’home restaurant dovrebbe soggiacere, quantomeno, a tale disciplina.
Invero, a sommesso avviso di chi scrive, tale posizione non appare del tutto condivisibile: infatti, se la finalità “esclusiva” del social eating fosse solo quella della socialità, ad essa dovrebbe essere totalmente estraneo lo scopo di lucro che, invece, è presente.
Il discorso potrebbe essere diverso laddove l’organizzatore dell’evento si limitasse a chiedere ai commensali non un corrispettivo, ma solamente il rimborso delle spese vive sostenute.
In ogni caso, è bene evidenziare sin d’ora che l’art. 1, L. 25 agosto 1991, n. 287 prevede che le disposizioni della medesima legge si applichino “alle attività di somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande”, laddove “per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all'uopo attrezzati”.
La normativa sulla somministrazione di alimenti e bevande, dunque, non pare distinguere tra attività esercitate occasionalmente e attività esercitate abitualmente o in forma imprenditoriale: essa, piuttosto, è applicabile ogniqualvolta si somministrino alimenti o bevande al pubblico.
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[1] L. 25 agosto 1991, n. 287 e ss. mm. e ii.
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