I redditi riconducibili alle attività agricole si distinguono in redditi agrari e redditi dominicali.
Il reddito dominicale
è definito come “la parte dominicale del reddito ordinariamente ritraibile dal terreno attraverso l'esercizio di attività agricole” (art. 27) è definito sulla base delle tariffe d’estimo rivalutate, più volte nel corso degli anni, per ciascuna qualità e classe di terreno (art. 28).
Il reddito dominicale attualmente è rivalutato dell’80 per cento e ulteriormente rivalutato del 30 per cento. L’ulteriore rivalutazione non si applica nel caso di terreni agricoli o non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti nella previdenza agricola.
Le tariffe si basano sui valori delle colture eseguite e possono quindi variare in aumento o in diminuzione a seconda delle colture praticate nonché per fattori naturali (oltre a calamità naturali, eventi fitopatologici o entomologici).
In tali ultimi casi è necessaria un’apposita denuncia agli uffici dell’Agenzia delle entrate competenti, i cui effetti, ai sensi dell’articolo 30 del TUIR, si verificano nello stesso anno nel quale la perdita di reddito si è verificata, a condizione che la denuncia sia effettuata entro il 31 gennaio dell’anno successivo. Con riguardo alle variazioni in aumento esse vanno comunicate entro il medesimo termine delle precedenti ma gli effetti decorrono dall’anno successivo a quello in cui si è verificato l’evento.
Se la perdita di reddito supera il 30% il reddito dominicale non concorre alla formazione del reddito imponibile.
Il reddito agrario
è rappresentato dalla parte del reddito medio ordinario imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati nei limiti delle potenzialità del terreno nell'esercizio di attività agricole sullo stesso.
Anche il reddito agrario, come il reddito dominicale, è calcolato sulla base di tariffe d’estimo stabilite per ciascuna qualità e classe secondo le norme della legge catastale più volte rivalutate (art. 34) ed è considerato inesistente se l’attività agricola non è svolta per cause naturali o per la semplice mancata coltivazione.
Attualmente il reddito agrario è rivalutato del 70 per cento e ulteriormente del 30 per cento. L’ulteriore rivalutazione non si applica nel caso di terreni agricoli o non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti nella previdenza agricola.
Le attività produttive di reddito agrario sono definite all’articolo 35 del TUIR e da altre disposizioni normative (ad esempio l'attività di acquacoltura, ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 102 del 1992, ovvero quella di produzione di energia elettrica tramite biocombustibili di origine forestale, ai sensi dell’articolo 1, comma 423 della legge n. 266 del 2005).
Posto che l’elemento caratterizzante il reddito agrario è legato all’esercizio normale delle attività agricole nei limiti delle potenzialità del terreno, tali principi segnano il discrimine tra attività produttiva di reddito agrario e quella produttiva di reddito d’impresa. Tale principio è precisato in alcune disposizioni volte a individuare la linea di confine tra le due tipologie di reddito.
Ad esempio, con riferimento al limite di reddito ritraibile dall’allevamento di animali, si prevede che, ai fini della configurazione dell’attività come agricola, essa debba svolgersi con mangimi ottenibili per almeno un quarto dai terreni in cui insiste l’attività, o, con riferimento alla produzione di vegetali tramite strutture fisse o mobili, anche se provvisorie, si dispone che la superficie destinata alla produzione non può eccedere il doppio del terreno su cui insiste.
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