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IL REBUS FISCALE DELL’ATTIVITÀ FAUNISTICA-VENATORIA

Il rebus fiscale dell’attività faunistica-venatoria

Attività faunistica-venatoria: IVA sugli acquisti degli animali e le imposte sui redditi dell'azienda agricola faunistica

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Secondo l’art. 16 della l. 11.2.1992, n. 157, le regioni possono autorizzare la gestione dell’attività faunistica-venatoria regolamentata da parte di:

  • aziende faunistico-venatorie, senza fine di lucro, per prevalenti finalità naturalistiche e faunistiche nell’ambito di attività di conservazione e ripristino ambientale;
  • “aziende agri-turistico-venatorie, ai fini di impresa agricola … nelle quali sono consentite l’immissione e l’abbattimento per tutta la stagione venatoria di fauna selvatica di allevamento”; se queste sono ubicate in zone umide e vallive, l’attività è ammessa “solo se comprende bacini artificiali e fauna acquatica di allevamento”.

1) L’IVA sugli acquisti degli animali

Con la risposta di consulenza giuridica 8.10.2024, n. 6, è stata affrontata la problematica dell’aliquota IVA applicabile sulle cessioni di fauna selvatica fatte nei confronti di aziende agricole che esercitano tale “attività connessa”.

Il perimetro del problema è rappresentato dal fatto che:

  1. la fauna selvatica è acquistata presso altri soggetti;
  2. la fauna può essere utilizzata:
    • per il ripopolamento delle aree per scopi di ripristino e di conservazione dell’ambiente;
    • per l’allevamento, per cui gli animali vengono allevati e successivamente sono destinati all’attività venatoria con destinazione dei capi all’alimentazione dei cacciatori privati cittadini.

La problematica è arricchita dal contenuto dell’art. 12 della legge secondi cui:

  • “la fauna selvatica abbattuta durante l’esercizio venatorio … appartiene a colui che l’ha cacciata” (comma 6);
  • “non costituisce esercizio venatorio il prelievo di fauna selvatica ai fini di impresa agricola di cui all’art. 10, comma 8, lett. d)”.

Il n. 7) della Tabella A, parte III, del d.p.r. 26.10.1972, n. 633, prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 10% sulle cessioni di “conigli domestici, piccioni, lepri, pernici, fagiani, rane e alti animali vivi destinati all’alimentazione umana; loro carni, parti e frattaglie, fresche, refrigerate, salate o in salamoia, secche o affumicate; api e bachi da seta; pesci freschi (vivi o morti), refrigerati, congelati o surgelati, destinati all’alimentazione”.

Tuttavia, se viene meno tale destinazione, come nel caso specifico di ripopolamento ambientale, al momento dell’acquisto va applicata l’aliquota ordinaria del 22%: l’azienda agricola cessionaria non può sapere se i capi avranno la destinazione all’alimentazione umana poiché ciò potrà essere verificato soltanto nel momento in cui il cacciatore preleverà gli animali che ha abbattuto. In altre parole, i capi acquistati possono essere destinati al ripopolamento e poi anche all’esercizio venatorio.

Va ricordato che l’art. 18-bis del d.l. 25.5.2021, n. 73, aveva affermato che l’aliquota del 10% si applicava anche alle cessioni di “animali vivi ceduti per l’attività venatoria” fino al 31.12.2021.

2) Le imposte sui redditi dell’azienda agricola faunistica

Con l’occasione, va ricordato che la risoluzione 27.9.2018, n. 73/E, che ha affrontato la problematica di cui all’art. 56-bis del d.p.r. 22.12.1986, n. 917, in materia di imposte sui redditi ha precisato che il requisito di “attività connessa” a quella agricola non può prescindere dal considerare:

  • il requisito soggettivo. “l’imprenditore che svolge tale attività deve essere lo stesso imprenditore agricolo che esercita la coltivazione del fondo o del bosco, ovvero l’allevamento di animali”;
  • il requisito oggettivo. “l’imprenditore per lo svolgimento di tali attività deve utilizzare “prevalentemente” attrezzature o risorse dell’azienda “normalmente” impiegate nell’attività agricola principale”.

Secondo la circolare 15.11.2004, n. 44/E, la valutazione del concetto di prevalenza può essere verificata effettuando il confronto tra il fatturato realizzato con l’impiego di attrezzature aziendali. La risposta è positiva se il fatturato che deriva “dall’impiego da attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola principale è superiore al fatturato ottenuto attraverso l’utilizzo delle altre attrezzature o risorse”. Se non sussiste il requisito di plusvalenza i redditi dell’imprenditore agricolo che derivano dalla prestazione di servizi concorrono a formare il reddito di base ai criteri ordinari. L’art. 56-bis del d.p.r. 22.12.1986, n. 917, è escluso per la forma giuridica di impresa individuale, società di persone e ente non commerciale. 

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