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ABUSO DEL DIRITTO

Abuso del diritto

Abuso del diritto: sempre più dirimente il principio introdotto dall’art.10 bis dello Statuto del Contribuente

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Aumentano le pronunce critiche della giustizia tributaria circa il comportamento non conforme al novellato articolo della Legge 212/2000 che determinano una forte censura degli accertamenti posti in essere da parte dell’Agenzia delle Entrate

1) L’abuso del diritto

Ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 1, primo periodo della  L. 212/2000, che ha modificato integralmente le disposizioni contenute nel vecchio articolo 37 bis del DPR 600/1973, l'abuso del diritto si manifesta concretamente quando vengono poste in essere operazioni prive di sostanza economica che, pur rispettando formalmente le norme fiscali, sono volte, nel loro insieme, ad ottenere vantaggi fiscali definiti “ indebiti”. 

In particolare, l'abuso del diritto si può concretizzare nel momento in cui:

  1. L'operazione (o l’insieme di operazioni collegate che abbia una unica finalità “elusiva”) è priva di sostanza economica, e, pertanto, nell’operazione o operazioni poste in essere dal contribuente non si producano effetti significativi diversi da meri vantaggi fiscali.
  2. Il vantaggio fiscale è chiaramente rinvenibile nella causa (unica) dell'operazione o dell’insieme delle operazioni effettuate. 
  3. Si realizza un vantaggio fiscale considerato indebito in quanto contrastante con le finalità delle norme fiscali e i principi generali che regolano l'ordinamento tributario. 

L’elencazione non è tassativa ma va ricondotta ad una intenzione legislativa “elastica”.

Infatti, l’articolo 10-bis, comma 12, L. 212/2000 prevede che «in sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie

Tale previsione consente di escludere dalla disciplina di che trattasi tutte quelle fattispecie che già prevedono specifiche disposizioni anti elusive (si pensi ad esempio alle società di comodo).

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2) Conseguenze dell’abuso del diritto

Qualora l’amministrazione finanziaria , analizzando le singole fattispecie, ritenga che queste ricadano nel perimetro applicativo della normativa che qui ci occupa, essa può contestare la condotta abusiva del contribuente e disconoscere i vantaggi fiscali ottenuti, determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi. Tuttavia, non si considerano abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extra fiscali, purché non si tratti di comportamenti marginali o privi di rilevanza concreta, e sempre nel caso in cui tali comportamenti, rispondano a finalità di miglioramento dell'impresa.

Le contestazioni non sono tuttavia “automatiche”

La stessa Agenzia delle Entrate, applicando concretamente i principi sopra esposti, ha più volte specificato agli Uffici che un’operazione non può essere considerata abusiva, qualora non vengano identificati e provati congiuntamente tutti e tre i presupposti costitutivi (vedasi sul punto le risoluzioni 93E e 101E entrambe del 2016), e cioè l’assenza di un risultato economico, la fruizione di un vantaggio fiscale indebito e  il fatto che tale vantaggio sia stato la causa principale del comportamento posto in essere dal Contribuente.

Non solo ma perché si concretizzi l’abuso del diritto, occorre altresì che venga dimostrato che l’operazione posta in essere dal contribuente avrebbe portato allo stesso risultato che si sarebbe realizzato adottando soluzioni alternative che, per gli accertatori, sarebbero state fiscalmente corrette e prive dell’elusività (vedasi RM 117/1999 e la sentenza della Corte di Cassazione nr 5155 del 16/3/2016).

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3) Abuso del diritto: la più recente giurisprudenza

Al fine di accertare l’abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis, L. n. 212/2000, l’operazione contestata non deve essere valutata esclusivamente con riferimento ad un determinato periodo d’imposta, ma nel suo complesso e nel contesto temporale di più anni.

Dando concreta applicazione ai principi e all’interpretazione della disciplina che qui ci occupa, la recente giurisprudenza di merito pone sempre più l’accento sulla residualità dello strumento elusivo, quale sistema di accertamento generale, delegittimando quegli accertamenti che risultino manchevoli di tutti quegli elementi di garanzia che debbono essere presenti in questi casi.

Sul punto risulta essere quanto mai interessante, la Sentenza del 16/05/2024 n. 1415 - Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia.

Accanto alle considerazioni sopra esposte, infatti, i Giudici Lombardi introducono un concetto “temporale” circa la valutazione del comportamento tenuto del contribuente al fine di valutare se, lo stesso, possa essere potenzialmente elusivo.

Nel caso di specie, l'Ufficio procedente riteneva elusive tutta una serie di operazioni poste in essere dalla società ricorrente in appello, che consistevano in: 

  1. acquisto di partecipazione societarie della società “V. G. P. s. r.l.” da parte della società ricorrente con contestuale concessione di un finanziamento fruttifero alla medesima società.
  2. successivamente la società  “V. G. P. s. r.l.” acquisiva la maggioranza del capitale sociale di una seconda società (“ABM V. s.r.l.”), e, a distanza di pochi anni, la stessa “V. G. P. s. r.l.”.” rinunciava al finanziamento infruttifero,  cedendo l’intero pacchetto sociale della società “ABM V. s.r.l.” con la realizzazione di una evidente minusvalenza

L’elusività, secondo l’Ufficio, era da rinvenire nella totale assenza di rilevanza  economica delle operazioni realizzate fin dall'origine, essendo la contribuente al corrente delle pregresse difficoltà finanziarie e, quindi, qualificabili nella prospettiva dell'abuso del diritto previsto dall'art. 10-bis, comma 1, della Legge n. 212/2000, in quanto "l'unica logica economica rinvenibile nella sequenza delle operazioni poste in essere dal contribuente è quella di creare una minusvalenza ad hoc da dedurre ai fini delle imposte sui redditi".

La società impugnava l'Avviso di accertamento, eccependo la corretta deduzione della minusvalenza, contestando il fatto che l'Ufficio non avesse assolto l'onere di provare la natura abusiva del comportamento tenuto dalla ricorrente, né avesse, nel caso di specie, indicato l'operazione alternativa che la contribuente avrebbe dovuto effettuare per evitare la contestazione del comportamento abusivo; chiedeva pertanto l'annullamento dell'atto impugnato.

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In primo grado, la Corte Tributaria di Bergamo accoglieva il ricorso.

Si costituiva in giudizio d’Appello l'Ufficio chiedendo la totale riforma della Sentenza appellata.

Nel confermare la Sentenza di primo grado, i Giudici di Appello specificano e confermano principi che risultano quanto mai rilevanti e derimenti circa l’applicazione del giudizio di elusività

Viene, in primis, richiamato il corretto ragionamento seguito dal Giudice di primo grado, e, nello specifico, il fatto che : “L'investimento effettuato dalla S. s.r.l. appare un'operazione che è stata posta in essere con la finalità di partecipare ad un progetto di rilevante significato economico e il fatto che successivamente la cessione della partecipazione, avvenuta a seguito del fallimento del progetto industriale intrapreso, abbia determinato la realizzazione di una minusvalenza significativa, non porta a qualificare l'intera operazione come abusiva ed elusiva, finalizzata a realizzare indebiti vantaggi fiscali”.

Nel caso di specie si palesano regolari le ragioni economiche che hanno giustificato le operazioni poste in essere dal contribuente e non si è realizzato alcun abuso del diritto avendo il contribuente effettuato operazioni finanziarie (acquisto di partecipazione in una società finanziamento della medesima società e a distanza di 5 anni disinvestimento mediante cessione della intera partecipazione acquisita) che hanno determinato un risultato negativo, che è stato legittimamente ritenuto deducibile anche sotto il profilo fiscale. Il Collegio verifica pertanto che la ricorrente dimostra, allegando numerosa decisiva documentazione probatoria, che le operazioni oggetto di contestazione sono state effettuate nell'ambito della propria normale attività di impresa e che hanno avuto un imprevedibile ed imprevisto esito sfavorevole, determinando una perdita legittimamente deducibile fiscalmente. Dai bilanci a dalle perizie allegate si giunge altresì a confermare la congruità del prezzo di cessione della partecipazione in V. G. S. s.r.l. effettuata nel 2015, considerando la situazione patrimoniale ed economica in quel momento della società partecipata SBS V. S.r.l. (posseduta all'80% da V.G. S. s.r.l.) e di conseguenza della controllante V. G. P. s.r.l., che evidenziano entrambe un patrimonio netto negativo.”

I Giudici di Appello, aggiungono a quanto dedotto in primo grado, che tutte le operazioni poste in essere dal Contribuente rientravano nella propria normale attività d’impresa (nello specifico la società acquistata deteneva importanti brevetti) e che l’elusività non poteva certo essere valutata sulla base del fatto che tale attività abbia avuto esito negativo!!!

E ancora viene specificato che : “La Corte ritiene quindi che nella fattispecie in esame non si ravvisino i presupposti per la qualificazione della intera operazione alla luce dell'art. 10-bis Legge n. 212/2000, considerando che l'operazione va vista nel suo complesso e nel contesto temporale di più anni e non solo con contestualizzazione alla operazioni svolte concentrate nell'anno di imposta 2015.”

 Sul punto, viene richiamata tutta la copiosa documentazione allegata, documentazione che ha ampiamento dimostrato, anche alla luce della risposta ai questionari inviati dall’Ufficio, come risultasse evidente la situazione oggettiva e non certo costruita ad arte, situazione che non poteva essere sindacata con giudizi di stile o acritici da parte dell’Ufficio accertatore.

 Anche alla luce di tale pronuncia, appare quindi sempre più garantita la corretta applicazione del concetto di abuso del diritto, soprattutto per quelle situazioni nelle quali gli Uffici, come avvenuto anche nel recente passato, hanno ritenuto di configurare l’abuso come una sorta di automatismo (sulla falsa riga di quanto stabilito per le società di comodo) senza applicare quanto correttamente indicato dal legislatore fiscale, quindi agendo con un atteggiamento   e un comportamento che deve sempre essere volto ad indagare e valutare concretamente le operazioni realizzate, considerando l’intero comportamento posto in essere dal contribuente durante lo svolgimento dell’attività d’impresa.

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Fonte immagine: Foto di Ezequiel Octaviano da Pixabay
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