Con la risposta a interpello 18.6.2024, n. 134, l’Agenzia delle entrate ha chiarito la problematica fiscale del contratto di soccida.
Il quesito è stato proposto da una società agricola soccidante, che ha come oggetto esclusivo la conduzione di fondi agricoli e l’allevamento del bestiame, la quale ha stipulato un contratto di soccida non monetizzata con una società soccidaria per l’attività di allevamento. Alla fine di ogni ciclo il soccidante acquista dal soccidario la quota spettante di accrescimento a questa destinata per poi rivenderla direttamente.
L’analisi non può prescindere dal considerare il fatto che si tratta di un contratto associativo e non di traslazione di beni.
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1) Il contratto di soccida semplice
Secondo l’art. 2170 c.c., con il contratto di soccida semplice, il soccidante e il soccidario si associano per esercitare l’attività di allevamento del bestiame e per l’esercizio delle attività connesse con lo scopo di ripartire l’accrescimento dei capi e gli altri prodotti e gli utili che ne derivano. L’accrescimento va valutato considerando sia i parti sopravvenuti sia il maggior valore intrinseco del bestiame che è valutato al termine del contratto rispetto a quello che è stato conferito.
La vendita dei capi costituisce l’effetto finale dell’attività di allevamento ma ciò non può essere interpretato come un’operazione di acquisto e di rivendita degli animali per cui il soccidante e il soccidario che vendono direttamente i frutti dell’accrescimento sono imprenditori agricoli che applicano l’art. 34 del d.p.r. 26.10.1972, n. 633, ai fini dell’IVA e l’art. 32 del d.p.r. 22.12.1986, n. 917, per le imposte sui redditi (e, qualora ne sussistano i presupposti, il successivo art. 56).
Nel contratto di soccida semplice:
- il bestiame è conferito dal soccidante che, però, non ne effettua la cessione al soccidario;
- all’inizio del contratto viene fatta la stima del bestiame (numero dei capi, razza, qualità, sesso, peso, età e relativo prezzo di mercato) e, al momento finale, viene determinato l’accrescimento e, di conseguenza, la quota di prelevamento spettante alle due parti;
- il soccidante è titolare della direzione e consegna il bestiame, i mangimi, ecc.;
- il soccidario, secondo le direttive del soccidante, esegue il lavoro necessario per l’allevamento e la custodia dei capi e per la lavorazione dei prodotti.
In sostanza, si è in presenza di un contratto agrario di natura associativa in cui le parti sono imprenditori agricoli e condividono il rischio comune di impresa, essendo contitolari dell’attività di allevamento per cui la divisione finale ha una mera efficacia dichiarativa ma non costitutiva del diritto di proprietà.
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2) Contratto di soccida: applicazione dell’IVA
Il soccidante e il soccidario possono applicare l’art. 34 del d.p.r. n. 633/1972, essendo produttori agricoli.
Il conferimento del bestiame da parte del soccidante non è un titolo di trasferimento della proprietà per cui non rileva ai fini dell’imposta.
Al termine del contratto, il soccidante preleva un numero di capi che per numero, razza, sesso, peso e quantità corrispondano al conferimento iniziale (art. 2181 c.c.) per cui l’operazione è esclusa dall’IVA poiché egli riprende la disponibilità del proprio bestiame. Anche i conferimenti di mangimi fatti dal soccidante al soccidario sono conferimenti e non cessioni (R.M. 7.12.1973, n. 504929).
“Sia il conferimento che la divisione del bestiame, pur essendo atti non assoggettati a IVA, non precludono la detrazione forfettizzata per le successive cessioni” (C.M. 9.2.1995, n. 48/E).
In merito alla vendita dei frutti oggetto dell’attività fatta dal soccidante, questi è un produttore agricolo, ma la stessa qualifica va riconosciuta al soccidario che vende direttamente la parte a lui spettante (C.M. 27.4.1973, n. 32, e R.M. 28-5-1980, n. 381861).
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3) La soccida monetizzata
Se è il solo soccidante a curare la vendita “l’equivalente in denaro, anticipato dal soccidante a titolo di ripartizione dei frutti ovvero del prezzo ricavato dalla vendita dei frutti stessi, può considerarsi come quota spettante al soccidario a titolo di assegnazione e pertanto non soggetta ad IVA, sempreché tale alternativa sia prevista dal contratto di soccida intercorrente tra le parti” come è stato affermato con la R.M. 7.12.1973, n. 504929 (c.d. “soccida monetizzata, non disciplinata dagli artt. da 2171 a 2186 c.c.)
In pratica, il soccidante preleva l’intero accrescimento, lo vende e corrisponde al soccidario la quota spettante di quanto è stato ricavato, per cui le parti si accordano per liquidare il denaro al soccidario la quota che è stata forfetizzata senza operare la previa determinazione e divisione dell’accrescimento.
In questa cornice, la divisione dell’accrescimento è un atto dichiarativo dell’acquisto originario dei capi, che sono una fruttificazione del diritto di proprietà del bestiame per cui:
- il soccidante conferisce il bestiame e i mangimi necessari per l’allevamento;
- il soccidario conferisce i capannoni, l’energia elettrica, l’acqua e provvede all’allevamento sotto la direzione del soccidante;
- manca per il soccidario un acquisto a titolo originario della sua quota di accrescimento;
- il soccidario non può effettuare una cessione di beni “a favore del soccidante piuttosto che di un soggetto terzo;
- la quota del ricavo di vendita monetizzato spettante al soccidario ha la natura di utile (R.M. 7.12.1973, n. 504929) per cui non è soggetta all’IVA.
La monetizzazione del conferimento non può essere equiparata alla cessione di denaro o altro titolo di credito in denaro (cassazione, sentenza 10.4.2013, n.8727)
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4) Contratto di soccida: detrazione dell’IVA
Sia il soccidante sia il soccidario sono soggetti passivi IVA per cui possono esercitare il diritto di detrazione secondo quanto è previsto dall’art. 34 del d.p.r. n. 633/1972 cioè applicando la forfetizzazione in misura pari all’importo che risulta dall’applicazione, all’ammontare imponibile delle cessioni dei prodotti, indicati nell’allegato Tabella A-Parte I, delle percentuali di compensazione previste con d.m.
Tuttavia, siccome la detrazione è esclusa per gli acquisti e le importazioni esenti o fuori dal campo di applicazione dell’IVA, nel caso di soccida monetizzata, il soccidario non può esercitare la detrazione dell’imposta qualora sia stata esercitata la detrazione secondo le regole ordinarie.
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5) Contratto di soccida: imposte sui redditi
Secondo l’art. 32 del d.p.r. 22.12.1986, n. 917, sono considerate attività agricola:
- “l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno” (lett. b)
- “le attività di cui al terzo comma dell’art. 2135 c.c., dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali”.
La semplice conservazione, commercializzazione e valorizzazione, se considerate autonomamente, non sono qualificabili come attività connesse a quella agricola, che considera i prodotti propri. Se questi sono acquistati da terzi si esula dall’art. 32 per assenza del requisito di connessione.
In presenza di soccida monetizzata la vendita fatta dal soccidante che ha acquistato la quota di accrescimento spettante al soccidario, è un’attività di mera commercializzazione per cui il ricavato è escluso dal citato art. 32.
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