Lo spazio sottostante al suolo su cui sorge l'edificio, posto tra i muri maestri, i pilastri o altre opere che integrano le fondazioni e fino a tale livello, rientra nel concetto di sottosuolo.
Tale spazio, in virtù del combinato disposto dell’art.1117 c.c. e dell'art.840 c.c. e della fondamentale funzione di sostegno del caseggiato, deve considerarsi oggetto di proprietà comune. Purtroppo dal sottosuolo possono partire fenomeni dannosi che interessano le unità immobiliare al piano terra.
Così la c.d. “risalita capillare” può essere causata dalla mancata od errata costruzione di vespai ma anche da un’inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali. Il fenomeno è causato, quindi, da gravi difetti di costruzione, cioè di alterazioni, conseguenti all'imperfetta esecuzione del fabbricato, che pregiudicano in modo considerevole il normale godimento dell'immobile del condomino.
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1) Condominio e danni da sottosuolo: reazione dell’amministratore contro il costruttore
La presenza di acqua sotto le fondazioni dell'edificio, nonché l'assenza di accorgimenti costruttivi del fabbricato (vespaio di base) per risolvere i fenomeni di umidità nel palazzo sono inevitabilmente motivo di “scontro giudiziale” tra il condominio e l’impresa costruttrice dello stabile che normalmente viene condannata a realizzare le opere necessarie ad eliminare le problematiche sofferte dai condòmini.
A proposito dell’iniziativa giudiziaria del condominio occorre evidenziare il ruolo centrale dell'amministratore che ha il potere-dovere di compiere gli atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato, per cui l'azione in questione può essere esercitata nel caso in cui questi riguardino l'intero edificio condominiale ed i singoli appartamenti, vertendosi in un’ipotesi di causa comune di danno che abilità alternativamente l'amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto.
In altre parole, quando i danni alle parti comuni interessano di riflesso anche quelle esclusive, di modo che per rimuovere i pregiudizi delle prime occorre intervenire pure sulle seconde, rimuovendo radicalmente le comuni cause, si deve riconoscere all’amministratore la legittimazione attiva all’azione ex art. 1669 c.c., che in questo caso opera a tutela indifferenziata dell’intero edificio condominiale (così, ad esempio, App. Genova 24 novembre 2023, n. 1285).
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2) Condominio e danni da sottosuolo: responsabilità da custodia del condominio
Qualora l’umidità delle parti comuni sia causa di danni ad un singolo condomino e non sia più possibile l’azione contro il costruttore (nel caso cui l’umidità e i difetti delle parti comuni si accertino dopo 10 anni dalla costruzione del fabbricato), il danneggiato può agire, ai sensi dell'art. 2051 c.c., nei confronti del condominio.
In altre parole il condominio, pur successore a titolo particolare del costruttore-venditore, non subentra nella sua personale responsabilità, legata alla sua specifica attività e fondata sull'art.1669 c.c.
L'applicabilità di tale norma (di fondamentale importanza) si giustifica in relazione alla ricollegabilità di quei danni all'inosservanza da parte del condominio dell'obbligo di provvedere, quale custode, ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa.
Si può, quindi, affermare che non si tratta di una responsabilità a titolo derivativo bensì di un’autonoma fonte di responsabilità ex art. 2051 c.c. che ricorre anche se il danno risulta causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell'inizio del rapporto di custodia.
Il condominio, quindi, è responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalle parti comuni anche se gli stessi sono causati da gravi difetti di costruzione imputabili all’impresa.
Del resto, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che il fatto del terzo integra gli estremi del caso fortuito, e come tale esclude la responsabilità del custode di cui all’art. 2051 c.c.; tuttavia per “fatto del terzo” deve intendersi la condotta di un soggetto, estranea al custode, di per sé idonea a provocare il danno a prescindere dall’uso della cosa oggetto di custodia.
Si pone quindi il problema di stabilire se nell’ipotesi in cui il danno sia stato provocato da eventuali vizi edificatori dello stabile condominiale si possa parlare di caso fortuito, se cioè, tornando alla c.d. umidità da risalita, il condominio sia esentato da responsabilità se dimostri che tale fenomeno (e i relativi danni da esso provocati) siano dipesi dalle caratteristiche strutturali del palazzo e dalle tecniche utilizzate per costruirlo. Secondo la giurisprudenza non si possono “equiparare” i difetti originari dell’immobile al caso fortuito, che costituisce l’unica causa di esonero del custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c. Si comprende allora perché un condominio è stato condannato alla realizzazione di un vespaio ventilato, nonchè a sostenere tutti i possibili costi conseguenti, quali la demolizione e ricostruzione dei tramezzi (che non era stata presa in considerazione dal tecnico di parte), il parziale o totale rifacimento degli impianti elettrico, idrico e di scarico, le spese di pernottamento di un’altra sistemazione abitativa di una condomina la cui abitazione aveva subito forti infiltrazioni di umidità tali da rendere insostenibile la permanenza nei locali (app. Messina 6 settembre 2023 n. 731).