La riforma fiscale si occupa, come noto, anche del tema dell’indebita compensazione di crediti fiscali, giacché l’art. 20 della legge n. 111/2023, tenuto conto dei profili d’incertezza connessi alla non chiara delimitazione giuridica tra crediti “non spettanti” e “inesistenti”, ha previsto “una più rigorosa distinzione normativa e sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti d’imposta non spettanti e inesistenti”, che tuttavia non pare essere stata affermata.
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1) Crediti inesistenti e non spettanti: le “novità” del decreto delegato
Il decreto delegato di attuazione in tema di “Accertamento”, approvato dal Cdm il 25 gennaio u.s., ha inserito il nuovo art. 38-bis nel DPR n. 600/1973, ove sono regolati alcuni aspetti procedurali relativi alla contestazione e riscossione dei crediti inesistenti; tuttavia, recependo il “dictum” delle recenti pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (nn. 34419 e 34452 dell’11.12.2023), è conservata immutata l’attuale distinzione tra le due fattispecie.
L’art. 13, co. 5, del D.lgs. n. 471/1997, infatti, sul piano amministrativo, qualifica come inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e, congiuntamente, la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatici (ex artt. 36-bis, 36-ter, del DPR n. 600/1973 e 54-bis del decreto Iva), con la conseguenza di risultare rilevanti a tali fini le sole ipotesi connotate da profili abusivi, occulti o fraudolenti, in quanto identificabili unicamente con riscontri sostanziali di natura contabile e non dalla mera analisi delle dichiarazioni fiscali e dei modelli di versamento.
Al contrario, quando la verifica può essere eseguita con meri riscontri formali, si è in presenza di crediti non spettanti riguardo ai quali non si applica il regime più afflittivo (maggiorazione delle sanzioni e dei termini di notifica dell’atto di contestazione), riservato solo ai crediti inesistenti, di cui all’art. 27, co. 16, del D.l. n. 185/2008, ora abrogato dal citato decreto attuativo.
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2) Crediti inesistenti e non spettanti: le criticità non superate dalla riforma
Riguardo la condivisibilità o meno di tale decisione, emergono numerose criticità (sia in un’ottica amministrativa sia sul piano penal-tributario) decisamente connesse alla necessità di verificare che l’inesistenza del credito non sia riscontrabile attraverso le attività di controllo formale e liquidazione dell’Agenzia delle entrate.
Infatti, si vuole fare emergere la circostanza che tale condizione non sempre è ordinariamente e ugualmente esplicabile in relazione a ogni tipologia di credito fiscale: ad esempio, in caso di compensazione di un debito Irpef con crediti Imu, Inail o di tipologia differente da quelli strettamente fiscali, non vi può essere un riscontro di tipo automatico (come dispongono le norme citate degli artt. 36-bis e 54-bis) in quanto l’Amministrazione finanziaria non dispone direttamente dei dati relativi all’esistenza del credito utilizzato in compensazione.
Ciò detto, emerge con evidenza come alla presenza di due soggetti atti a compensare un analogo debito Iva, il primo con crediti Ires del tutto carenti circa il presupposto costitutivo (in quanto inventati ma indicati in dichiarazione) e il secondo con crediti Imu, Inail, ecc., del pari del tutto ingegnosi, vi sarebbe un trattamento sanzionatorio (amministrativo e soprattutto penale), differenziato tra i due soggetti, con palese violazione del principio di uguaglianza e assoluta criticità di sistema.
Inoltre, le norme riferite all’attività di controllo formale delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette (art. 36-ter del DPR n. 600/1973), a differenza di quelle Iva (art. 54-bis decreto Iva), tutte richiamate dall’art. 13, co. 5, del D.Lgs. n. 471/1997, non consentono solo il mero confronto formale tra dichiarazioni fiscali e modelli F24, ma ammettono anche la possibilità di richiedere documentazione al contribuente con la conseguente impossibilità di considerare tale condizione, come afferma la Cassazione nelle richiamate pronunce, di natura solo potenziale (si parla di valore oggettivo della condizione, non assumendo rilievo il fatto che l’inesistenza del credito sia stata rilevata effettivamente a seguito di accertamento sostanziale).
Da ciò discende come, già sul piano amministrativo-tributario, la condizione d’inesistenza del credito, non possa dipendere dall’applicabilità delle disposizioni sulle liquidazioni e controlli formali di cui al citato art. 13, co. 5.
Ma vi è di più.
Maggiori criticità emergono sul piano penal-tributario ove, come chiarito dalla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, rientra nel perimetro applicativo dell’art. 10-quater, del D.lgs. n. 74/2000, ogni compensazione indebita superiore alla soglia di rilevanza penale, riguardante sia sul lato attivo sia su quello passivo, qualsivoglia tributo, contributo, idoneo a essere posto in compensazione con il Mod. F24 (Cass. sent. nn. 23083/2022, 44266/2022, 33893/2022).
Infatti, la citata giurisprudenza delle Sezioni Unite, giusta l’assenza nell’art. 10-quater, della definizione delle due fattispecie di credito, è giunta a sostenere – con il chiaro intento di evitare che la condotta penale apparisse più ampia di quella amministrativa, in quanto non limitata dal necessario controllo formale delle dichiarazioni – la valenza generale delle definizioni del predetto art. 13, co. 5, avvalorando, quindi, la tesi già fatta propria dalla Cassazione penale (sent. 7615 del 2022), che fa assumere rilevanza centrale, anche sul piano penalistico, alla possibilità o meno di riscontrare l’inesistenza in sede di controlli automatici.
Tuttavia, pur ammettendo tale tesi, l’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria orientate alla prova della sussistenza del citato delitto ex art. 10-quater, sarebbero subordinate alla necessaria verifica della possibilità di accertare l’inesistenza attraverso un controllo formale, con evidente indeterminatezza circa l’individuazione dei soggetti e delle modalità con cui assolvere tale onere.
Inoltre, costituisce un sicuro vulnus dei principi fondamentali del diritto penale, connettere l’applicazione di una pena a una condizione esterna di carattere procedurale, peraltro, come visto, non sempre esperibile in via potenziale e in ogni modo non dipendente dalla condotta del reo, ma dall’operato dell’Amministrazione finanziaria.
Di tali criticità è apparsa consapevole la stessa terza Sezione penale della Corte di Cassazione, giacché con la più recente sentenza n. 6/2024, ha confinato l’applicabilità della condizione riferita alla non riscontrabilità dell’inesistenza mediante controlli formali, al solo ambito amministrativo.
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3) Crediti inesistenti e non spettanti: la soluzione mancata
Allo scopo di evitare tale inutile dicotomia, foriera peraltro di criticità sanzionatorie e applicative, così come sopra descritto, il Legislatore avrebbe potuto eliminare la condizione prevista nel più volte citato art. 13, comma 5, D.lgs. n. 471/1997 (riferita al riscontro dell’inesistenza mediante controlli formali e di liquidazione), attribuendo così valore centrale al solo requisito dell’esistenza del presupposto costitutivo del credito utilizzato in compensazione.
Difatti, è agevole rilevare come indipendentemente dal possibile riscontro formale dell’inesistenza, ove il presupposto costitutivo del credito sia sorretto da documentazione attendibile riferita alla reale soddisfazione degli obblighi previsti per la sua spettanza, questo non possa definirsi inesistente.
In linea con lo spirito del Legislatore penal-tributario, infatti, sarebbe maggiormente coerente riferire il più afflittivo trattamento sanzionatorio, sia amministrativo sia penale, solo a quei profili di carattere abusivo, occulto o fraudolento, tipici della simulazione oggettiva e soggettiva.
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