Fino al 17.1.2024 continua ad essere operante l’art. 2-quater del d.l. 30.9.1994, n. 524, con le regole di attuazione del d.m. 11.2.1997, n. 37, che disciplina il potere di esercizio di autotutela dell’amministrazione finanziaria, potere che non è un obbligo ma una facoltà. Il 3 gennaio 2024 nella Gazzetta Ufficiale n.2 è stato pubblicato il D.lgs. n.219 del 30.12.2023 che entra in vigore a decorrere dal 18.1.2024. Tale decreto fa riferimento all'art.4 della Riforma fiscale (Legge n. 111/2023) e modifica la Legge n. 212/2000.
In particolare, l'istituto dell'autotutela è rivisitato e sono introdotte due nuove norme: l'esercizio del potere di autotutela obbligatoria e l'esercizio del potere di autotutela facoltativa.
Di seguito, ripercorriamo l'attuale disciplina dell'autotutela e il nuovo quadro normativo.
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1) Autotutela: attuale normativa
Fino al 17.1.2024 continua ad essere operante l’art. 2-quater del d.l. 30.9.1994, n. 524, con le regole di attuazione del d.m. 11.2.1997, n. 37 che disciplina il potere di esercizio di autotutela dell’amministrazione finanziaria, potere che non è un obbligo ma una facoltà. Tuttavia, secondo l’art. 2, senza l’istanza del contribuente o in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, sussistendo l’illegittimità dell’atto e dell’imposizione, la stessa può annullare l’atto o rinunciare all’imposizione nei casi di:
- errore di persona;
- evidente errore logico o di calcolo;
- errore nel presupposto dell’imposta;
- doppia imposizione;
- mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;
- mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
- sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
- errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione.
La procedura non si concretizza per motivi per i quali è intervenuta la sentenza passata in giudicato che è favorevole all’amministrazione finanziaria.
Se il contribuente riceve un atto illegittimo può chiedere l’annullamento in autotutela ma se l’amministrazione finanziaria resta inerte o ritarda l’adempimento, egli ha l’onere di impugnarlo con lo scopo di evitare la definitività e di ottenere il successivo e discrezionale annullamento d’ufficio.
La circolare 5.8.1998, n. 198, ha precisato che “l’ufficio ha il potere ma non il dovere giuridico di ritirare l’atto viziato (mentre è certo che il contribuente, a sua volta, non ha un diritto soggettivo a che l’ufficio eserciti tale potere), è tuttavia indubbio che l’ufficio stesso non possiede un potere discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o meno i propri errori”.
Fermo restando che il rifiuto o il mancato esercizio dell’autotutela non sono atti impugnabili non essendo indicati all’art. 19 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, la Corte di Cassazione aveva affermato che:
- “contro il merito, ed esplicito rifiuto di esercizio dell’autotutela può esercitarsi un - sindacato - nelle forme ammesse sugli atti discrezionali – soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza della pretesa tributaria” (Sezioni unite, sentenza 27.3.2007, n. 7388);
- il diniego di autotutela che non è stato impugnato per vizi propri ma per quelli riferiti all’atto impositivo divenuto definitivo non è impugnabile “sia per la discrezionalità da cui l’autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Ordinanza 8.11.2017, n. 26458);
- “l’autotutela costituisce un potere discrezionale esercitabile d’ufficio, non già uno strumento di protezione del contribuente … non sussistendo un obbligo dall’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela, l’eventuale silenzio su di essa non può qualificarsi giuridicamente, per gli effetti che qui ne occupano, un diniego, come tale contestabile, in sede giudiziale” (ordinanza 9.10.2017, n. 23634).
La Corte costituzionale (sentenza 13.7.2017, n. 171) aveva precisato che:
- “non esite un dovere dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale a inadempimento … né, d’altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego” per cui l’istanza non è contestabile;
- “la previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è dunque possibile, così come l’introduzione di limiti all’esercizio del potere di annullamento, ma non può certo dirsi costituzionalmente illegittima .. una disciplina generale che escluda il dovere .. delle agenzie fiscali di pronunciarsi sulle istanze”.
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2) Autotutela: normativa in vigore dal 18.1.2024
L’art. 4, lett. h), della L. 9.8.2023, n. 111, intende “potenziare l’esercizio del potere di autotutela estendendone l’estensione agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto, prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi, con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto, limitando la responsabilità nel giudizio amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei Conti alle sole condotte dolose”.
Il rapporto tributario considera i diritti soggettivi ma non gli interessi legittimi: l'art.53 della Costituzione prevede non soltanto l'obbligo di pagare i tributi ma anche il divieto di pretendere il pagamento di somme non dovute.
Il d. lgs. 30.12.2023, n. 219, a decorrere dal 18.1.2024 fa un salto di qualità rivedendo completamente la disciplina previgente che è abrogata con l’art. 2, comma 4, lett. a) e b), ed individuando nell’ambito della l. 27.7.2000, n. 212, i casi di esercizio di autotutela obbligatoria (art. 10-quater) e di autotutela facoltativa (art. 10-quinquies): l’autotutela obbligatoria è consentita nei casi esplicitamente indicati dalla norma mentre l’autotutela non è un obbligo ma una facoltà qualora sussistano dubbi sulla questione.
Inoltre, per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30.12.2023, n. 220, le forme di autotutela vengono aggiunte tra gli atti impugnabili avanti le Corti di Giustizia Tributaria, secondo specifiche regole procedurali e temporali indicate alla successiva lett. l).
La richiesta di autotutela non sospende il termine di impugnazione dell’atto impositivo. Tuttavia, qualora il ricorso sia già stato notificato e depositato in giudizio, l’accoglimento dell’istanza va comunicato alla corte di giustizia tributaria per gli adempimenti procedurali connessi per cessata materia del contendere.
1) L’autotutela obbligatoria
Secondo l'art. 10-quater della L. 27.07.2000, n.212, l’amministrazione finanziaria provvede in tutto o in parte all’annullamento degli atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione senza che il contribuente proponga l’apposita istanza, "anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi".
La procedura è attivata soltanto nei “casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione” che sono riferiti a:
- errore di persona;
- errore di calcolo;
- errore sull’individuazione del tributo;
- errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria;
- errore sul presupposto dell'imposta;
- mancata considerazione di pagamenti di imposte regolarmente eseguiti;
- mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini previsti a pena di decadenza.
Tuttavia, l’autotutela obbligatoria non ha impulso per motivi sui quali è intervenuta la sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria “nonché in caso di atti definitivi dopo che è decorso un anno dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva per mancata impugnazione dell’atto viziato". Ma, all’infuori dei casi indicati all’art. 10-quater, l’art. 10-quinquies consente all’amministrazione finanziaria, in via facoltativa, di procedere comunque all’annullamento dell’atto, “anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in pendenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’impugnazione”.
La relazione illustrativa al d. lgs. afferma: “per esigenze di certezza, al comma 2 si prevede il divieto di esercitare l’autotutela per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria. In sostanza, non è ostativo all’autotutela, né un giudicato meramente processuale, né un giudicato sostanziale basato su motivi diversi da quelli che giustificano l’autotutela”.
La norma, che ripropone le fattispecie presenti all’art. 2 del d.m. 11.2.1997, n. 37 (eccetto i casi di doppia imposizione, di sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati e di evidente errore logico), consente l’autotutela obbligatoria anche qualora sia intervenuta la sentenza emessa a favore dell’amministrazione finanziaria che è passata in giudicato ma entro un anno dalla data di scadenza del termine per l’impugnazione, circostanza che sostanzialmente presuppone l’apposita istanza sollecitatoria del contribuente soccombente.
2) L’autotutela facoltativa
Fuori dei casi indicati all’art. 10-quater, l’annullamento per autotutela è ammesso, in tutto o in parte, di atti di imposizione ovvero per la rinuncia all’imposizione, senza necessità di richiesta di parte e anche in pendenza di giudizio e in presenza di atti definitivi ma soltanto “in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione” (art. 10-quinquies).
La norma non precisa le fattispecie ammesse per cui il contribuente può proporre l’istanza anche per altri casi (ad es., la doppia imposizione) ma è sempre necessaria la sua azione di impulso. La facoltatività sussiste anche quando l’amministrazione finanziaria, senza che il contribuente si attivi e anche se la sentenza è passata in giudicato, riconosca l’illegittimità o l’infondatezza dell’atto impositivo o della pretesa impositiva.
3) La responsabilità
Relativamente alle valutazioni di fatto nei casi di autotutela la responsabilità erariale di cui all’art.1, comma 1, della l. 14.1.1994, n. 20, è limitata all’ipotesi di dolo.
Se l’atto è legittimo o fondato la procedura di autotutela non può essere oggetto di riesame.
Tuttavia, l’ipotesi di non accoglimento dell’istanza a causa dell’inesistenza dei motivi indicati dal contribuente comporta il rifiuto della stessa con l’esposizione anche in maniera succinta del rigetto.
Dal 18.1.2024 l’annullamento dell’atto in autotutela non è soggetto ad alcun limite di valore.
L’abrogazione del d.m. 11.2.1997, n. 37, ha comportato l’annullamento della regola secondo cui se l’importo dell’imposta, delle sanzioni e degli accessori è superiore a € 516.456,90 è subordinato al preventivo parere della direzione regionale (e comportamentale) dalla quale l’ufficio finanziario dipende.
L’ufficio ha il potere ma non il dovere giuridico di ritirare l’atto viziato. E’ certo che il contribuente, a sua volta, non ha un diritto soggettivo finalizzato all’esercizio di tale potere da parte dell’ente impositore, ma questo non ha un potere discrezionale di decidere a suo piacimento per procedere o meno alla correzione dei propri errori.
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3) Il nuovo contenzioso tributario
Assume un ruolo importante la decisione del contribuente di presentare l’istanza di autotutela che è il presupposto indispensabile per avviare la procedura che comporta la formalizzazione della risposta sulla legittimità dell’atto impositivo.
All’art. 19 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, sono state aggiunte le lettere g-bis) e g-ter) per cui, a decorrere dal 4.1.2024, il ricorso può essere proposto avverso:
- “il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’art 10-quater della l. 27.7.2000, n. 212” (lett. g-bis).
- “il rifiuto espresso sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’art. 10-quinquies della l. 27.7.2000, n. 212” (lett. g-ter).
Se la risposta è negativa, il termine per l’impugnazione è di 60 giorni dal ricevimento del provvedimento di rifiuto.
Nel caso di silenzio-rifiuto, il ricorso può esser notificato dopo che sono decorsi 90 giorni dalla domanda di autotutela che può essere presentata fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto; in mancanza di norme specifiche, la domanda non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
La domanda di autotutela sull’atto che è stato notificato non sospende il termine per l’impugnazione dello stesso.
L’impugnazione dell’autotutela obbligatoria (lett. g-bis) e dell’autotutela facoltativa (lett. g-ter) non può avere come fine l’ottenimento del rimborso di somme o l’annullamento dell’atto, ma, in base alla sentenza favorevole emessa dalla Corte di Giustizia, l’ente impositore può riesaminare la questione oggetto dell’istanza.
La norma consente di riprendere l’esame delle contestazioni espresse contro gli atti tributari che sono stati notificati e non impugnati per cui sono divenuti definitivi: l’ufficio impositore può annullare autonomamente l’atto impositivo ovvero su istanza del contribuente, ma se a questa aspettativa la risposta è negativa l’unica strada consentita è l’impugnazione finalizzata al riesame della questione.
Nel caso di silenzio rifiuto, se l’autotutela è obbligatoria:
- l’oggetto dell’istanza sono soltanto i casi indicati all’art. 10-quater;
- lo scopo è l’annullamento di atti di imposizione ovvero la rinuncia all’imposizione “anche in casi di pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi”;
- l’obbligo di autotutela non sussiste se è decorso un anno dalla data in cui l’atto viziato è divenuto definitivo per mancata impugnazione.
Qualora l’atto viziato sia stato impugnato, l’autotutela obbligatoria può concretizzarsi anche in pendenza di giudizio, ma l’istanza non può essere proposta se la sentenza favorevole all’amministrazione finanziaria è passata in giudicato.
Invece, l’autotutela facoltativa (art. 10-quinquies) è possibile soltanto nel caso di "rifiuto espresso” (e non anche di “silenzio rifiuto”) per cui il silenzio non legittima la proposizione del ricorso. E’ quindi, necessario ottenere un atto negativo sull’istanza proponendo l’impugnazione entro 60 giorni. I presupposti sono rappresentati dal fatto che la problematica non è indicata all’art. 10-quater e che deve sussistere l’illegittimità o l’infondatezza dell’atto o dell’imposizione, sia se sussiste la condizione di pendenza di giudizio sia di atto definitivo.
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