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LA CRITICITÀ DELLA DIGITALIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

La criticità della digitalizzazione della giustizia tributaria

Innovazione giustizia tributaria con intelligenza artificiale e tecnologia digitale. La componente umana rimane determinante

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Sono in corso grandi cambiamenti anche nell'ambito della giustizia tributaria per l'utilizzo della tecnologia digitale e, quello sempre più diffuso, dell'intelligenza artificiale. 

L'obiettivo finale è certamente quello di trarne dei benefici ma si aprirà un nuovo scenario per gli attori principali quali il contribuente, l'ente impositore e il giudice. Tuttavia rimane essenziale la componente umana perché l'algoritmo, da solo, non può funzionare.

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1) Giustizia tributaria: la finalità del fisco digitale

L’innovazione della giustizia tributaria con il supporto della tecnologia digitale e dell’intelligenza artificiale è finalizzata al miglioramento della stessa, all’implementazione della banca dati nazionale dei giudizi di merito, accessibile pubblicamente e gratuitamente accedendo al sito internet del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e alla realizzazione di un modello di giustizia predittiva.

In altri termini si va a prefigurare uno scenario del tutto nuovo sia per il contribuente, al momento di scegliere se impugnare o meno un atto impositivo, sia per l’ente impositore, nel predisporre le proprie difese, nonché per il giudice che è chiamato a decidere sulla controversia avendo come punto di riferimento la giurisprudenza pregressa prima di valutare la materia del contendere secondo la propria ottica personale.

L’obiettivo finale è l’individuazione di un algoritmo, con le connesse questioni di natura tecnica che, però, non possono prescindere dal fatto che il volano è rappresentato dall’aspetto umano che costruisce il progetto ed elabora le ipotesi teoriche portano alla realizzazione del massimario dei giudizi di merito, cioè le sentenze emesse dalle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado passando dal loro linguaggio giuridico alla loro traduzione in termini informatici. Quindi, il sistema di analisi delle massime di tipo analogico caratterizzato dalla soggettività dell’operatore, che interviene sulla singola sentenza, magari a volte con approssimazione, va ad essere sostituito da un sistema che non evidenzia sfumature in quanto fornisce un algoritmo che è il risultato finale di precedenti sentenze.

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2) Giustizia tributaria e digitalizzazione: i problemi procedurali

La problematica non è di poco conto poiché l’avvio è rappresentato dall’identificazione dei dati, dall’informativa considerata nel progetto, dalla garanzia di rappresentatività delle elaborazioni, dalla conoscibilità e dall’utilizzazione da parte degli utenti, cioè vanno considerate e miscelate ipotesi di natura giuridica e tecnologica non prescindendo, comunque, dall’intervento umano dalla fase di inserimento dei dati, anche per l’aggiornamento dei nuovi dati, a quella finale di formazione della massima standardizzazione della sentenza, non facendo prevalere l’aspetto tecnocratico.

Il Consiglio di Stato (sentenza 13.12.2019, n. 8472) ha affermato che:

  • “il ricorso all’algoritmo va correttamente inquadrato in termini di modulo organizzativo, di strumento procedimentale ed istruttorio, soggetto alle verifiche tipiche di ogni procedimento amministrativo, il quale resta il “modus operandi” della scelta autoritativa”;
  • “né vi sono ragioni di principio, ovvero concrete, per limitare l’utilizzo dell’attività amministrativa vincolata piuttosto che discrezionale, entrambe espressione di attività autoritativa svolta nel perseguimento del pubblico interesse”;
  • “se il ricorso agli strumenti informatici può apparire di più semplice utilizzo in relazione alla c.d. attività vincolata, nulla vieta che i medesimi fini predetti, perseguiti con il ricorso all’algoritmo informatico, possono perseguirsi anche in relazione ad attività connotata da ambiti di discrezionalità” che “può in astratto beneficiare delle efficienze e, più in generale, dei vantaggi offerti dagli strumenti stessi”.
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3) Giustizia tributaria e digitalizzazione: l’inserimento dei dati di base

L’inserimento dei dati di base non è un’operazione essenzialmente di natura tecnocratica ma un adempimento nel quale è determinante la componente umana che deve trovare il giusto equilibrio tra i dati di fatto e di diritto che portano ad evidenziare le massime in maniera standardizzata che vengono trasfuse nell’algoritmo.

I primi dubbi hanno per oggetto:

  1. gli algoritmi in quanto potrebbero essere influenzati da sentenze di merito riferite a disposizioni non più in vigore ovvero su errori giurisprudenziali o a refusi;
  2. i dati oggetto di elaborazione che, destinati ad essere elaborati utilizzando metodologie statistiche e strumenti informatici, devono essere resi disponibili permettendo di verificarne l’integrità, la validità e l’utilizzabilità;
  3. l’identificazione e l’analisi del rischio nello sviluppo del ciclo dati di base-algoritmo costruzione e gestione-interfaccia assicurando la rappresentatività e l’equidistanza delle parti del processo tributario;
  4. la garanzia dei dati che:
    • devono essere pertinenti, rappresentativi, esenti da errori nel trattamento, illustrati da un’apposita relazione tecnica;
    • vengono portati a conoscenza, in pratica, al contribuente e all’ente impositore, i quali valutano a priori le probabilità di vittoria nel contenzioso, e al giudice, quale strumento conoscitivo di supporto, nella stesura della sentenza che non può limitarsi all’acritico risultato dell’algoritmo.

Inoltre, non è possibile prescindere dal fatto che il titolare dei diritti di proprietà intellettuale e industriale del software, cioè dell’algoritmo, è titolare di una posizione di interesse uguale e contrapposto a chi chiede di conoscere l’algoritmo.

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4) Giustizia tributaria e digitalizzazione: la conoscibilità dei dati

Il Consiglio di Stato (sentenza 13.12.2019, n. 2936) ha precisato che “assumono rilievo fondamentale due aspetti preminenti, quali elementi di minima garanzia per ogni ipotesi di utilizzo di algoritmi in sede decisoria pubblica: a) la piena conoscibilità a monte del modulo utilizzato e dei criteri applicati; b) l’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo”. Pertanto, “la decisone robotizzata (ovvero l’algoritmo) debba essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico”.

Il regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.4.2016 prevede:

  1. all’art. 15 che l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo riguardano e di ottenere l’accesso ai dati; ciò ma non è un obbligo, anche quando la procedura è iniziata o è in corso di elaborazione o è stata presa la decisone;
  2. all’art. 22 che “l’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona”.

L’algoritmo non può prescindere dall’intervento umano, pur se la procedura robotizzata si innesta nell’attività applicando le regole tecniche di base, traducendo le informative in termini informatici che divengono oggetto di valutazione discrezionale e non asettica dei casi possibili. La parola finale spetta al giudice che, considerato l’esito del software, opera la valutazione personale degli esiti della massimizzazione prevenuti in via informatica poiché l’algoritmo è soltanto un atto amministrativo adattandoli al caso concreto oggetto del contendere che si traduce in una sentenza conforme al dettato del d.m. 7.8.2023, n. 110.

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Fonte immagine: Foto di Reto Scheiwiller da Pixabay
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