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I LIMITI AL CAMBIO DESTINAZIONE D'USO IN CONDOMINIO

I limiti al cambio destinazione d'uso in condominio

Per il mutamento di destinazione di una unità immobiliare in condominio va verificato il regolamento condominiale. Vediamo le norme e alcuni casi pratici

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Spesso nel corso del tempo i proprietari di un’unità immobiliare ubicata in condominio – per motivi di carattere personale o alle volte più semplicemente per ottenere un maggiore introito per il caso di compravendita – decidono di mutarne la destinazione d’uso.

Tale mutamento, se nel regolamento o successiva delibera non è previsto alcun limite alla facoltà di utilizzazione e destinazione dell’unità immobiliare, non consente agli altri partecipanti al condominio di opporsi a detta trasformazione, a meno che non vi sia il rischio di pregiudizi alla sicurezza o alla stabilità dell'edificio.

Di seguito i dettagli sulla normativa e su casi particolari  di applicazione.


1) Cambio di destinazione d’uso e limiti del nuovo art. 1122 c.c.

L’articolo 1122 c.c. non impedisce, al singolo condomino di imprimere alla sua proprietà esclusiva una determinata destinazione, poiché la norma vieta soltanto di compiere, nell’unità immobiliare di sua proprietà, ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, opere che possano danneggiare le parti comuni dell'edificio, non già opere che consistano nella semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro. 

Ne consegue che se la specifica destinazione della proprietà esclusiva del singolo condomino sia stata ottenuta mediante la realizzazione di opere che arrechino pregiudizio alle parti comuni o quando la destinazione della proprietà esclusiva non possa essere realizzata che mediante l'esecuzione di opere che quel pregiudizio arrechino, si verifica la violazione dell'art.1122 c.c. e, correttamente, il giudice inibisce la nuova destinazione, ordinando la rimozione delle opere pregiudizievoli, se una domanda in tal senso sia stata ritualmente proposta.

È pacifico, infatti, che non sia consentito ad un condomino, ad esempio, trasformare l’autorimessa in abitazione se determina un peggioramento dell'estetica della facciata, risolventesi anche in pregiudizio economicamente apprezzabile per il decoro abitativo generale dell'edificio, posto in zona residenziale.

Del resto il concetto di danno, cui la norma sopra detta fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o dell’intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili della cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico, per cui ricadono nel divieto tutte quelle modifiche che costituiscono un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato.


2) Cambio di destinazione da deposito a garage: abuso della parte comune

È inevitabile che - qualora ad esempio  un condomino cominci ad utilizzare il locale condominiale destinato a deposito come autorimessa con conseguente transito continuo dei veicoli e uso abnorme del cortile condominiale - si verifichi una violazione ex articolo 1102 c.c. della detta parte comune.

 L’uso dei locali come autorimessa può comportare un permanente utilizzo del cortile, per un fine sostanzialmente ed incisivamente diverso da quello suo proprio, così determinando una vera e propria alterazione della sua ordinaria destinazione. 

In tal caso il condominio o il singolo condomino possono rivolgersi all’autorità giudiziaria per richiedere l'inibizione dell'uso (abnorme) del cortile comune.

3) Cambio di destinazione: e regolamento di condominio

Non è raro trovare nei regolamenti  disposizioni che, direttamente o indirettamente, impongono il divieto di mutare la destinazione originaria dell’unità immobiliare locali di proprietà esclusiva.

Queste norme del regolamento per essere valide devono, però, essere espressamente e chiaramente formulate: non sono valide, quindi, quelle pattuizioni che, con espressioni generiche, pongono dei limiti all'esercizio dei diritti dei singoli condomini.

Infatti, trattandosi di materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze. 

In ogni caso sono valide solo nel caso in cui siano approvate in assemblea da tutti i condomini, oppure se predisposte dal costruttore ed accettate espressamente sempre dalla totalità dei condomini negli atti di acquisto: pertanto possono essere eliminate (o modificate) soltanto con il consenso unanime dei partecipanti al condominio, che deve essere manifestato in forma scritta.

Da quanto sopra deriva che il singolo condomino, anche se autorizzato dall'assemblea con delibera a maggioranza, non può ignorare la norma di natura contrattuale che gli impone delle restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva.

Si noti inoltre che tali pattuizioni vincolano anche gli eredi del condòmino o i titolari di diritto d’uso, usufrutto, abitazione sulla proprietà esclusiva del condòmino.


Fonte immagine: Foto di Pexels da Pixabay
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