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ACQUISTO DI AZIONI PROPRIE RIVALUTATE: È INGIUSTIFICATO L'ABUSO DEL DIRITTO

Acquisto di azioni proprie rivalutate: è ingiustificato l'abuso del diritto

Nuova sentenza di merito CGT Udine 32-2023 in tema di acquisto di azioni proprie da parte di una società per azioni, precedentemente rivalutate da soci di minoranza

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La CGT di primo grado di Udine, con l’interessante sentenza n. 32 del 6 marzo 2023, ha affermato che l’acquisto di azioni proprie da parte di una società per azioni, precedentemente rivalutate dai soci, non costituisce di per sé una fattispecie rientrante nell’abuso del diritto, disciplinato, come è noto, nell'art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente, andando così ad aggiungersi ad altre pronunce della giurisprudenza di merito che, sempre a fronte dell'acquisto societario di azioni proprie precedentemente rivalutate, non hanno condiviso l’approccio interpretativo erariale che vede in tale complessiva operazione la sussistenza a priori di un abuso del diritto (cfr. CTR Veneto sentenza n. 30/2021 e CTP Padova n. 48/2019). 

Vediamo nei paragrafi seguenti tutti i dettagli del caso e alcune riflessioni conseguenti.

1) Acquisto azioni proprie: il caso in esame

Nel caso in esame, l'Ufficio contestava l'abuso del diritto alla società acquirente le azioni proprie in possesso dei soci di minoranza e da quest'ultimi precedentemente rivalutate in quanto," in aggiramento del combinato disposto degli artt. 47 comma 7 del TUIR e 27 comma 1 del D.P.R. n. 600 del 1973, l'acquisto delle partecipazioni, di natura "non qualificata", non è stato trattato fiscalmente come “recesso tipico”, con applicazione della ritenuta a titolo di imposta del 26% sulla differenza tra il corrispettivo corrisposto e il costo fiscale imputabile alle medesime partecipazioni prima della rideterminazione effettuata dai soci cedenti in forza dell'art. 5 della Legge n. 448/2001, versando l'imposta sostitutiva allora vigente del 8% sul valore periziato".

Viceversa, la società accertata aveva qualificato il recesso dei soci di minoranza come “atipico”, ossia come semplice cessione della loro partecipazione “non qualificata”, operazione potenzialmente produttiva di un “reddito diverso” imponibile ex art. 67 comma 1 lett. c) del TUIR ma non nel caso di specie, atteso che la differenza tra il corrispettivo incamerato dai soci cedenti e il costo fiscale della partecipazione precedentemente rivalutata risultava essere pari a zero. 

L’Ufficio sosteneva, pertanto, che «la ratio della norma agevolativa è stata tradita, in quanto l'acquisto di azioni proprie non era finalizzato alla circolazione sul mercato».

La società reagiva alla pretesa erariale sollevando i seguenti motivi:

  1.   il suo statuto vietava l’esercizio da parte dei soci del diritto al recesso e, pertanto, i soci di minoranza, che erano in rapporti conflittuali con quelli di maggioranza, senza la cessione nei suoi confronti delle loro rispettive azioni, avrebbero dovuto necessariamente attendere la scadenza del contratto sociale;
  2.  nessun vantaggio fiscale era stato conseguito dalla società, men che meno indebito; 
  3.  sulla cessione della loro rispettiva partecipazione, i soci di minoranza non avevano ricevuto alcuna contestazione da parte dell'Ufficio impositore.

2) Acquisto azioni proprie rivalutate: il giudizio CGT Udine 2023

Esaminate le ragioni di entrambe le parti processuali, la CGT di Udine ha ritenuto insussistenti tutti gli elementi integrativi della fattispecie astratta dell’abuso del diritto e provata la ricorrenza di valide e non marginali ragioni extrafiscali. 

Invero, i Giudici friulani hanno richiamato l’insegnamento della Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 24839/2020, ha affermato come il riconoscimento fiscale agevolato della rivalutazione del costo delle partecipazioni era stata voluto dal legislatore non solo per incentivare la circolazione delle partecipazioni ma anche per “esigenze di cassa” (si veda anche Cass. n. 25131/2021, laddove si evidenzia che l’imposta sostitutiva con il tempo è «divenuta uno strumento che consente allo Stato di incassare in via anticipata l'imposta») e, in secondo luogo, mettendo in risalto, alla luce del caso concreto, la linearità, l’ordinarietà e, pertanto, la fisiologicità dell’acquisto di azioni proprie da parte della società accertata. 

Tale operazione, infatti, prosegue il ragionamento dei Giudici di prime cure, era l’unica che consentiva:

  • da un lato, ai soci di minoranza in dissidio con quelli di maggioranza, di non essere costretti ad attendere la scadenza del contratto sociale e, 
  • dall’altro, ai soci di maggioranza di poter approfittare della propria “posizione di forza” per incidere sulla determinazione del valore delle azioni .

Tale aspetto  invece, dopo la fine della vita societaria, sarebbe completamente sfuggito al loro controllo, considerato il probabile conflitto con i soci di minoranza e il conseguente intervento di un soggetto terzo rappresentato da un esperto nominato dal tribunale ex art. 2437 ter ultimo comma c.c..


3) Acquisto azioni proprie rivalutate: conclusioni

Le argomentazioni della CGT di Udine, pienamente condivisibili, dimostrano ancora una volta come siano poco giustificabili le “attenzioni” che gli Uffici riservano a consimili fattispecie. 

Peraltro, è evidente che nei confronti della società l’Ufficio avrebbe potuto, al più, contestare la violazione dell’obbligo di applicare la ritenuta a titolo d’imposta ma non anche una fattispecie abusiva, posto che a fronte della distribuzione dei dividendi il vantaggio fiscale indebito potrebbe essere conseguito solo dal socio, unico soggetto passivo d’imposta ed economicamente inciso dal tributo, con la conseguenza che è nei suoi confronti che l’Agenzia dovrebbe eventualmente contestare l’elusione della ritenuta a titolo di imposta, azionando già in sede di accertamento la responsabilità solidale del suddetto sostituito  ex art. 35 del D.P.R. n. 602/1973 (Cass. civ. nn. 6854/2021, 23121/2013 e 10613/2000).


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