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MANCATA ISCRIZIONE ALL’AIRE. COSA SUCCEDE AI FINI FISCALI

Mancata iscrizione all’AIRE. Cosa succede ai fini fiscali

Il solo comportamento concludente di trasferimento all’estero non è più sufficiente ai fini fiscali.

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Fino allo scorso anno era sufficiente dimostrare all’ente accertatore che vi fossero stati elementi di fatto che certificavano la permanenza all’estero per più di 183 giorni. I contratti di affitto e di lavoro estero sono sempre stati due buoni pilastri per incardinare una difesa fiscale, anche in assenza della obbligatoria e non sanzionabile iscrizione alla Anagrafe degli Italiani residenti all’Estero (AIRE).

Da gennaio del 2022, molto è cambiato. A sentenziarlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 1355/2022.

Infatti, in carenza d’iscrizione all'AIRE, il trasferimento all'estero, di fatto, non rileva più ai fini fiscali.

Il contribuente “non AIRE”, si considera soggetto passivo d'imposta nel momento in cui, questi, risulti iscritto per la maggior parte dell'anno nell'anagrafe dei residenti in Italia.

L’iscrizione all’anagrafe dei residenti per la maggior parte del periodo d’imposta determina la presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia del contribuente che si considera, pertanto, soggetto passivo d’imposta nel territorio nazionale.

Essendo l’iscrizione anagrafica preclusiva di ogni ulteriore accertamento, il trasferimento della residenza all’estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall’anagrafe di un Comune italiano e la contestuale iscrizione all’AIRE.

Queste le conclusioni contenute nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 1355 del 18 gennaio 2022.

1) Il Caso

Alla conclusione sopra citata si giunge attraverso il ricorso proposto da un contribuente per resistere ai quattro avvisi di accertamento per i periodi dal 2007 al 2010 ad un atto di contestazione dell’Agenzia delle entrate. 

Negli atti  l'ADE accerta l’esistenza di attività finanziarie non dichiarate presso Paesi a fiscalità privilegiata dal soggetto che si dichiarava residente all’estero, recuperava a tassazione la maggiore imposta IRPEF ed irrogava le sanzioni di legge.

Il ricorso è stato prima respinto dalla CTP e successivamente riformato ed accolto dalla CTR, in virtù del fatto che il contribuente, a parere dei giudici, aveva sufficientemente provato di essere residente in Brasile nonostante la mancata iscrizione AIRE.

L’Agenzia delle entrate resiste a questo accoglimento da parte della CTR, proponendo ricorso in Cassazione, ove evidenzia la violazione dell’art. 2, comma 2 del dPR 917/1986. L'ADE motiva la propria resistenza imputando alla CTR il mancato riconoscimento della soggettività fiscale italiana sino al 2011, anno di iscrizione all’AIRE, e contestuale cancellazione della popolazione residente nel Comune di residenza.

La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di resistenza dell’Amministrazione finanziaria e ha cassato con rinvio la sentenza alla medesima CTR in diversa composizione.

2) La decisione

L’anno incriminato è il 2011, perché la fattispecie riguarda un contribuente che aveva omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia per gli anni dal 2007 al 2010 in quanto si dichiarava residente in Brasile, omettendo di far emergere che  l’iscrizione (AIRE) fosse avvenuta solo nel 2011.

In tema di residenza fiscale delle persone fisiche l’art. 2 comma 2 del TUIR stabilisce che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Come noto il citato articolo reputa fondamentali, ai fini della residenza estera, tre presupposti, indicati in via del tutto alternativa: il primo di natura formale, rappresentato dall’iscrizione AIRE e gli altri due, di comportamento concludente, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato come declinati ai sensi del codice civile italiano.

Gli ermellini, richiamando una consolidata giurisprudenza sulla fattispecie in esame, confermano che:

le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano, in applicazione del criterio formale dettato dall’art. 2 d.p.r. 917/1986, in ogni caso residenti, e pertanto soggetti passivi d’imposta, in Italia; con la conseguenza che, ai fini predetti, essendo l’iscrizione indicata preclusiva di ogni ulteriore accertamento, il trasferimento della residenza all’Estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall’anagrafe di un Comune italiano.”

Una volta riportata in Italia la residenza fiscale sulla base della presunzione assoluta prevista dal citato art. 2 co. 2 del TUIR, il contribuente non ha scampo, dovendo soggiacere agli obblighi di monitoraggio fiscale previsti dall’art. 4. Co. 1 del D.L. 167/1990 in caso di detenzione, diretta o indiretta, di attività finanziarie o investimenti all’estero.

La sanzione prevista in caso di violazione, stabilita all’art. 5 del DL 167 del 1990 non deve essere calcolata sul quantum dell’imposta evasa ma sull’ammontare dei depositi non dichiarati.

Sulla base di quanto appena esposto, sono migliaia le lettere inviate in questi giorni dall’Agenzia delle Entrate ai cittadini italiani che hanno lavorato all’estero, ma risultano fiscalmente residenti in Italia e non hanno dichiarato i redditi di fonte estera.

3) Lavorare all’estero senza iscrizione all’AIRE.

Il diritto tributario italiano si basa sul principio definito “Word Wide Taxation”, per il quale tutti i redditi del cittadino residente fiscalmente in Italia sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano, ovunque questi siano prodotti nel mondo.

A nulla serve per opporsi al fisco italiano il fatto che su tali redditi risultano già pagate le imposte nel Paese estero di produzione del reddito, ferma restando la sempre valida efficacia dei trattati di divieto di doppie imposizioni tra i due Paesi coinvolti.

I potenziali destinatari sono tutti quei cittadini italiani che lavorano all’estero e non si sono iscritti all’AIRE.

Infatti in carenza di questa iscrizione il contribuente italiano risulta fiscalmente residente nel proprio Paese di origine. Quindi deve indicare in dichiarazione i redditi conseguiti all’estero, quelli prodotti fuori dall’Italia.

4) Le lettere di accertamento del fisco italiano

L’Agenzia delle Entrate con il recente Provvedimento n. 439255 promuove l’adempimento spontaneo nei confronti dei contribuenti che risultano fiscalmente residenti in Italia e che non hanno dichiarato, in tutto o in parte, redditi di lavoro dipendente e/o pensione di fonte estera ed eventuali redditi di lavoro dipendente e/o pensione corrisposti da sostituti d’imposta italiani.

Il dubbio che ci possano essere contribuenti inadempienti, sorge non da probabilistiche intuizioni, ma da certezze relative ad anomalie sui dichiarativi già ricevuti da contribuenti italiani non iscritti AIRE, ma che hanno lavorato all’estero.

La fonte di queste certezze della Agenzia è all’art. 8, paragrafo 1, della Direttiva del Consiglio 2011/16/UE del 15 febbraio 2011 relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale.

La citata norma dispone che gli Stati membri devono trasmettere, per i periodi d’imposta dal 1° gennaio 2014, le informazioni riguardanti i residenti degli altri Stati membri in relazione tra le altre, anche sui redditi da lavoro dipendente e da pensione, dagli stessi percepiti.

A fronte della comunicazione ricevuta il contribuente potrà presentare una dichiarazione dei redditi integrativa e beneficiare delle sanzioni in misura ridotta, avvalendosi del ravvedimento operoso.

Viene data così l’opportunità di regolarizzare l’errore o l’omissione della dichiarazione dei redditi italiana e beneficiare della riduzione delle sanzioni previste.

Infatti i contribuenti che hanno ricevuto o riceveranno l’avviso di accertamento potranno regolarizzare la propria posizione presentando una dichiarazione dei redditi integrativa e versando le maggiori imposte dovute, unitamente agli interessi, nonché alle sanzioni in misura ridotta, secondo le modalità previste dalla legge (art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472).

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