Anche la Corte di Giustizia Tributaria di Salerno qualifica l’omessa compilazione del quadro RU come ipotesi per la quale l’Ufficio non può beneficiare del maggior termine di otto anni e dice no al raddoppio dei termini.
Per “inesistenza” del credito si intende la mancanza assoluta del presupposto costitutivo, nel senso che la situazione creditoria non risulta dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente.
Nel caso affrontato dalla sentenza in commento l’Ufficio non contesta la “inesistenza” dei crediti utilizzati in dichiarazione, ma sostiene, piuttosto, la “non spettanza” del diritto alla compensazione, in ragione della mancata compilazione del quadro RU.
Da ciò deriva l’inapplicabilità del termine di otto anni previsto dall’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2/2009, che si riferisce ai soli casi di utilizzo indebito per “inesistenza” del credito e non a quelli di “non spettanza” di un credito realmente esistente. Trova pertanto applicazione il termine di decadenza ordinario di quattro anni.
Queste le conclusioni rassegnate dalla recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Salerno n. 3227 del 29 Novembre 2022 che si analizza in dettaglio qui di seguito.
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1) Omessa compilazione quadro RU e termini di decadenza
La vicenda processuale origina dall’impugnazione di un avviso di recupero del credito d’imposta per “nuovi investimenti nelle aree svantaggiate ex art. 1, comma 271, L. 296/2006”, relativo al periodo d’imposta 2014, e notificato il 9 Febbraio 2022. Ben oltre il termine di 4 anni dalla presentazione della dichiarazione.
Le motivazioni addotte dall’Ufficio per sostenere il recupero risiedevano nella mancata compilazione del quadro RU; secondo le ragioni erariali tale ultimo adempimento, qualora mancante, determina l’inesistenza del credito, con possibilità di ricorso al termine di 8 anni previsto dall’art. 27 DL 185/2008, poiché adempimento indispensabile a consentire di verificare “il corretto utilizzo del credito residuo di anno in anno soprattutto con riguardo alle compensazioni effettuate”.
La società ricorrente eccepiva che per la specifica tipologia di credito la legge istitutiva non prevedeva l’indicazione nel quadro RU a pena di decadenza dal beneficio.
Richiamando alcuni arresti giurisprudenziali di legittimità, poi trasfusi nella sentenza in commento, contestava inoltre che la violazione non poteva condurre a ritenere il credito inesistente.
Di fatto, la Corte di Cassazione (sentenza 16 novembre 2021, n. 34444) ha sancito che “Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: "In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l'applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall'art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2 del 2009, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito "non spettante", bensì di un credito "inesistente", per tale ultimo dovendo intendersi - anche ai sensi dell'art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997 (introdotto dall'art. 15 del d.lgs. n. 158/2015) - il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, "reale") e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972“.
Sul tema dei crediti inesistenti la stampa specialistica (Santacroce B. L’inesistenza non deve emergere da controlli automatizzati o formali, Il Sole 24 Ore del 23/02/2022) ha avuto modo di definire, riprendendo i principi della S.C., quali sono i requisiti che devono coesistere per considerare inesistente il credito:
- 1 deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente);
- 2 l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria.
La questione ha formato oggetto anche di approfondimento nell’ultimo Telefisco 2022. E’ stato chiarito che la proroga ad otto anni del termine per il recupero dell'imposta è volta a consentire all'ufficio di compiere gli accertamenti, talvolta complessi, riguardanti la natura dell'investimento che ha generato il credito di imposta. Dunque, ogniqualvolta il credito derivante dall'investimento previsto non sussiste.
La Corte di Giustizia di Salerno, aderendo all’orientamento prospettato dal contribuente, tenuto altresì conto delle contestazioni avanzate dall’Erario riteneva il credito esistente.
Si legge infatti “…ai fini che qui interessano (individuazione del termine di decadenza) non rileva la questione della “spettanza” della compensazione, ma quella della “esistenza” del credito utilizzato, che non è stata mai posta in dubbio”. Da ciò derivava l’inapplicabilità del termine di otto anni previsto dall’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2/2009, che si riferisce ai soli casi di utilizzo indebito per “inesistenza” del credito e non a quelli di “non spettanza” di un credito realmente esistente.
Trova pertanto applicazione il termine di decadenza ordinario di quattro anni che non è stato osservato nel caso di specie.
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2) Crediti inesistenti e raddoppio dei termini ex Legge 208/2015
Nel corso del giudizio la parte resistente sollevava inoltre un ulteriore ragione che, a suo dire, avrebbe reso il termine di decadenza ottennale: la normativa sul raddoppio dei termini di decadenza ai sensi dell’art. 1, comma 132, Legge 208/2015. In effetti nel contraddittorio emergeva che l’Agenzia delle Entrate aveva trasmesso la denuncia penale alla competente Procura della Repubblica il 9 Febbraio 2022.
La disposizione citata prevede, per i periodi d’imposta precedenti al 31 dicembre 2016, il raddoppio del termine quadriennale nel caso in cui si tratti di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 c.p.p. per alcuno dei reati previsti dal D.Lgs 74/2000.
Il giudice tributario salernitano tuttavia, trattandosi di periodo 2014 con termine di decadenza ordinario 31/12/2019, concludeva ritenendo che il raddoppio non potesse legittimamente operare. Difatti l’ultima parte dell’art. 1, comma 132, Legge 208/2015 citato dall’Ufficio nelle proprie controdeduzioni sancisce che il raddoppio non opera quando la denuncia penale sia trasmessa, come in questo caso, dopo la scadenza del termine quadriennale. L’art. 1, comma 132, L. n. 208/2015 prescrive che, per gli atti notificati dopo il 1° gennaio 2016 concernenti periodi di imposta antecedenti a quelli in essere al 31 dicembre 2016, il raddoppio dei termini di accertamento operi unicamente se la denuncia penale è inoltrata entro il termine ordinario di decadenza del potere accertativo.
Essendo il periodo d’imposta in contestazione il 2014, il termine ordinario di decadenza è spirato il 31/12/2019. Entro quella data avrebbe dovuto essere inoltrata la denuncia di reato. Essendo stata inviata il 09/02/2022, quindi abbondantemente oltre, non può operare alcun raddoppio.
Come recentemente chiarito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 27250/2022 e ordinanza 24576/2022) la norma contenuta nel comma 132 riguarda solo fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio (art. 2, comma 3, D.Lgs. 128/2015) ovvero i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo o di irrogazione sanzioni entro la data di entrata in vigore del decreto. Successivamente a tale data, la denuncia di reato deve essere effettivamente inoltrata entro la scadenza ordinaria dei termini di accertamento per far valere il
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