La legge n. 130/2022, tesa a riformare il processo tributario, ha inserito nell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992 il comma 5 bis in virtù del quale compete all'amministrazione finanziaria l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, dimostrando «… in modo circostanziato e puntuale … le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni», precisando che la decisione del Giudice dovrà trovare fondamento sugli elementi di prova forniti in giudizio e dovrà comportare l’annullamento dell’atto ove risultino carenti o contraddittori.
La portata della modifica è di grande rilievo, perché introduce una norma positiva in tema di onere della prova nel processo tributario, che esplica i suoi effetti in particolare a carico dell’Ufficio che, attraverso la notifica dell’atto oggetto d’impugnazione, assume la veste di attore in senso sostanziale della controversia (Cass.Civ. sent. n.11101/2022 e Cass.Civ. sent. n.17231/2019).
1) Processo tributario: motivazione dell'accertamento e prova dei fatti
Al fine di comprendere la portata della modifica occorre rammentare che un’adeguata motivazione dell’atto non implica anche la prova dei fatti sui quali si fonda la stessa.
La motivazione dell’accertamento (richiesta dall’art. 7 della L. 212/2000) rappresenta lo strumento di garanzia del contribuente rispetto all’esercizio del potere impositivo fiscale in quanto, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a rappresentare chiaramente, sia pure in modo sintetico, l’iter logico giuridico posto a fondamento della contestazione mossa verso il contribuente (Cass. Civ. sent. n. 1905/2007), ponendolo in condizione di conoscere l’an e il quantum della pretesa tributaria, onde poter articolare le proprie difese in sede contenziosa (Cass. Civ. sent. n. 11284/2022), delimitando nel contempo il perimetro delle questioni giuridiche da trattare in giudizio (Cass. Civ. sent. n. 17762/2002).
La prova, invece, attiene al «fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso, sicché in definitiva tra l’una e l’altra corre la stessa differenza concettuale che vi è tra allegazione di un fatto costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio e prova del fatto medesimo» (Cass. Civ. sent. n. 955/20116 e Cass. Civ. sent. n. 9810/2014).
In mancanza di una norma positiva riguardante l’onere della prova nel processo tributario - lacuna colmata dal comma 5bis dell’art.7 del D.P.R. 546/1992 entrato in vigore il 16/9/2022 - la giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. sent. n. 955/2016) riteneva costituisse jus receptum la regola generale dettata dall’art. 2697 c.c., secondo la quale «chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.»
Nonostante ciò, la giurisprudenza era giunta anche ad ammettere che, in base al diverso oggetto della contestazione, la ripartizione dell’onere della prova potesse mutare, arrivando a consolidarsi l’orientamento secondo cui «l'onere di provare la sussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità delle componenti del reddito in un determinato esercizio sociale incombe all'Amministrazione finanziaria per quelle positive, ed al contribuente per quelle negative» (Cass. Civ. sent. n. 15320/2019 cfr. anche Cass. Civ. sent. n. 36097/2021, Cass.Civ. sent. n. 32280/2018, Cass. Civ. sent. n. 28671/2018, Cass. Civ. sent. n. 13300/2017, Cass. Civ. sent. n. 20521/2006), oltre che ad ammettere in sede tributaria l’applicazione del principio di “vicinanza della prova” per l’individuazione del soggetto onerato della prova medesima (Cass. Civ. sent. n.13588/2018).
Come non bastasse, nel sistema processuale tributario si è anche radicato l’orientamento secondo il quale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado (cosiddetta praesumptio de praesumpto), per cui il fatto noto accertato in via presuntiva (ai sensi dell'art. 2729 c.c.) può legittimamente costituire la premessa di un'ulteriore adeguata presunzione che risulti idonea a fondare l'accertamento del fatto ignoto (Cass. Civ. sent. n. 20748/2019), avendo cura di valutare la concreta attendibilità del risultato, in termini di gravità, precisione e concordanza (Cass. Civ. sent. n. 29350/2021 e Cass.Civ.sent. n. 23860/2020).
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2) Processo tributario: sentenze contrastanti sull'onere della prova
Si comprende, pertanto, l’effetto che potrà avere sul processo tributario la norma positiva volta a statuire il principio secondo cui è onere dell’Amministrazione finanziaria provare - in modo circostanziato e puntuale - le violazioni contestate con l’atto impugnato, indicando le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva, ciò “in coerenza con la normativa sostanziale”, quindi nel rispetto delle norme impositrici che disciplinano il tributo.
La portata della modifica però, come purtroppo accade, non è stata opportunamente colta da un primo pronunciamento di legittimità, dato che, con ordinanza n. 31878 depositata il 27 ottobre 2022, si è incomprensibilmente giunti ad affermare che «la nuova formulazione normativa …non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale».
Tutto ciò nonostante, una virtuosa e lucida sentenza di merito emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Siracusa - la n. 3856/2022 depositata il 23 novembre 2022 – la quale, dissentendo motivatamente dall’anzidetto pronunciamento di legittimità, ha diversamente individuato l’esegesi della norma e affermato che con l’incipit «l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato”, è stato introdotta nel processo tributario “…una nuova regola autonoma sorta per dirimere le questioni in ordine al riparto dell’onere della prova, superando così la portata dell’articolo 2697 del codice civile e con esso la trasposizione, talora impropria, nel processo tributario di dinamiche essenzialmente privatistiche. In base alla nuova regola, dunque, è inequivocabile che sia l’Amministrazione Finanziaria che è tenuta a provare le contestazioni afferenti a tutte le tipologie di violazioni, a prescindere che si controverta di maggiori ricavi o minori costi nel regime d’impresa»
Alla Corte di Giustizia siracusana va anche il merito di aver opportunamente definito “strabico ed illogico” l’orientamento formatosi prima della riforma del processo tributario con riguardo all’onere della prova a carico delle parti, in quanto fondato sull’equivoco secondo cui «l’onere della prova in ordine alla deduzione di un costo dovesse essere posto a carico del contribuente limitando l’onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria solo alle componenti positive del reddito d’impresa», perché non tiene conto del fatto che il risultato d’esercizio dell’impresa è frutto della somma algebrica di componenti positive e negative di reddito.
I giudici di merito concludono, così, che «la nuova disposizione sull’onere della prova introdotta dalla Legge n.130/2022 consente senz’ombra di dubbio di superare questo equivoco, per cui anche per i componenti negativi di reddito l’onere probatorio non può che incombere sull’Amministrazione Finanziaria con l’unica eccezione riguardante le controversie da rimborso in relazione alle quali l’onere della prova rimane sempre a carico del contribuente».
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