La Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella causa C‑512/21, Aquila Part Prod Com SA contro Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága, del 1.12.2022 a tema di evasione IVA ha stabilito che non è possibile dimostrarla mediante supposizioni o presunzioni.
Ci si domanda se tale pronuncia della Corte europea potrebbe rendere illegittime le presunzioni legali previste nel nostro ordinamento.
1) Evasione IVA: sentenza dell'1.12.2022 della Corte di Giustizia Europea
In caso di evasione dell’IVA, il diritto a detrazione deve essere negato in tre circostanze:
- nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo ha commesso esso stesso un’evasione dell’IVA,
- nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo sapeva che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una evasione dell’IVA e,
- nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo avrebbe dovuto sapere che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una tale evasione.
Considerato che il diniego del diritto a detrazione costituisce un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale della detrazione, incombe sulle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi delle suddette circostanze.
Il beneficio del diritto a detrazione può essere negato solo qualora tali fatti siano stati sufficientemente dimostrati con mezzi che non siano supposizioni (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).
Tale requisito della prova vieta, indipendentemente dal tipo di evasione o dai comportamenti esaminati, il ricorso a supposizioni o a presunzioni che abbiano l’effetto, confutando l’onere della prova, di violare il principio fondamentale del sistema comune dell’IVA costituito dal diritto a detrazione e, pertanto, l’efficacia del diritto dell’Unione.
Spetta all’autorità tributaria:
- da un lato individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e fornire la prova delle condotte fraudolente
- e, dall’altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode.
Un soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una evasione dell’IVA deve essere considerato, ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio, dal momento che in una tale situazione detto soggetto passivo collabora con gli autori di tale evasione e ne diviene complice (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).
Nel caso in cui sia accertato che il soggetto passivo avrebbe dovuto sapere che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una evasione dell’IVA commessa a monte nella catena delle cessioni o delle prestazioni, il diniego del diritto a detrazione si fonda sulla mancata adozione di una certa diligenza (v., in tal senso, ordinanza del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C‑108/20, EU:C:2021:266, punto 27).
Non è contrario al diritto dell’Unione esigere che il fornitore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione fiscale (v., in tal senso, sentenze del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C‑80/11 e C‑142/11, EU:C:2012:373, punti 54 e 59; del 19 ottobre 2017, Paper Consult, C‑101/16, EU:C:2017:775, punto 52, nonché ordinanza del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C‑108/20, EU:C:2021:266, punto 28).
Tuttavia, l’autorità tributaria non può imporre a un soggetto passivo di compiere controlli complessi e approfonditi relativi al suo fornitore, trasferendo di fatto su di esso gli atti di controllo incombenti a tale autorità (sentenza del 19 ottobre 2017, Paper Consult, C‑101/16, EU:C:2017:775, punto 51).
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2) Evasione IVA: la dilegenza del soggetto passivo
La diligenza dovuta dal soggetto passivo va valutata sulla base dell’esistenza o meno di indizi che consentano al soggetto passivo, al momento dell’acquisto da lui effettuato, di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode, in presenza di indizi di una frode, ci si può attendere una maggiore diligenza dal soggetto passivo.
Non è però possibile esigere da quest’ultimo che proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l’amministrazione finanziaria ha i mezzi per effettuare.
Inoltre, la Corte ha chiarito che l’autorità tributaria non può negare ad un soggetto passivo, per il solo motivo che lo stesso non ha rispettato gli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare, l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA.
Tuttavia l’inosservanza di tali obblighi può costituire uno degli elementi che può essere preso in considerazione dall’autorità tributaria per accertare tanto l’esistenza di una frode dell’IVA quanto la partecipazione di detto soggetto passivo alla frode di cui trattasi, anche in assenza di una previa decisione dell’organo amministrativo competente a constatare una tale violazione.
In tal senso il diritto a un equo processo, sancito dall’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che il giudice investito del ricorso avverso la decisione dell’autorità tributaria prenda in considerazione, quale elemento di prova dell’esistenza di una frode dell’IVA o della partecipazione del soggetto passivo a tale frode, una violazione di detti obblighi, qualora tale elemento di prova possa essere contestato e discusso in contraddittorio dinanzi ad esso.