Continua a rappresentare motivo di acceso dibattito la circostanza che le modifiche normative che si sono stratificate negli anni in relazione alla materia del gambling non siano state oggetto di idoneo coordinamento rispetto al tessuto normativo di riferimento, assumendo sempre maggior rilievo la necessità di una riforma organica e sistematica dell’intero comparto che, ormai, appare improcastinabile.
Profili di estrema criticità involgono anche la disciplina tributaria dei giochi e delle scommesse che, così come strutturata, non risulta in linea nemmeno con i principi fondamenti del diritto tributario
Pubblichiamo un estratto dall’intervento al Convegno “LA RIFORMA DELLO SPORT”, tenutosi in data 30.11.2022, presso Camera dei Deputati – Palazzo San Macuto, Roma)
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1) La struttura giuridica ed economica dei giochi
Per comprendere appieno la natura giuridica delle “entrate pubbliche” provenienti dalla galassia dei giochi organizzati, invece, è assolutamente necessario “indagare” sulla struttura (giuridica ed economica) di ogni singolo gioco al fine di stabilire, in primo luogo, se esso appartenga alla categoria dei giochi “bilaterali” o a quella “plurilaterale” e verificare i meccanismi di funzionamento dell’impresa ludica, in guisa da individuare i possibili schemi di allocazione e distribuzione della “ricchezza” ritraibile dal fenomeno ludico e i soggetti titolari della potenzialità economica che ne deriva.
Nel merito si deve rilevare come:
- nei giochi bilaterali, ogni singolo partecipante risulti contrapposto ad un unico organizzatore del gioco che assumendosi la veste di contraente/scommettitore si accolla anche il rischio dell’operazione, dando vita a un fascio di contratti bilaterali. In essi la gestione del rischio costituisce la fase necessaria e fondamentale dell’attività dell’impresa di gioco dalla quale potranno generarsi eventuali utili o perdite aziendali chiaramente in capo all’organizzatore;
- nei giochi plurilaterali, invece, l’organizzatore, quale mero “intermediario”, resta sostanzialmente estraneo al gioco ed al corrispondente rischio. In questo caso la posta versata dai partecipanti concorre alla formazione del montepremi (o fondo comune) che sarà successivamente ripartito tra i vincitori a titolo di premio (al netto degli oneri di gestione e dei prelievi erariali). Per i servizi di gioco offerti, al gestore professionale spetta una remunerazione garantita e riscossa materialmente con la decurtazione del montepremi costituito dalle poste di gioco raccolte.
Sulla base di tali premesse si giunge a una serie di importanti considerazioni:
- il gioco ha rilevanza giuridica solo quando è presente un’attribuzione patrimoniale, restando irrilevante, invece, la distinzione tra gioco e scommessa che la dottrina maggioritaria, partendo dalle nozioni comuni di gioco e scommessa, ravvisa nella partecipazione dei contraenti;
- la parte più rilevante della disciplina del gioco è di natura pubblicistica e si occupa esclusivamente dei cosiddetti “giochi organizzati” o “giochi pubblici”[1], ossia dei giochi che, accanto ai caratteri comuni o propri delineati dalla dottrina civilistica, sono caratterizzati dalla presenza di un gestore professionale, il quale offre ad un pubblico vasto ed indistinto l’opportunità di giocare;
- l’attuale diritto tributario speciale si rivolge, pertanto, esclusivamente ai giochi organizzati caratterizzati (i) dalla presenza di un gestore professionale che organizza il gioco secondo criteri di sistematicità, di regolarità, di accorta previsione e distribuzione, per quanto possibile, dei rischi propri di tali contratti, in un quadro di pubblici controlli e autorizzazioni; (ii) e dalla pluralità (o massa) di persone partecipanti al gioco.
- è possibile affermare che il gioco (o scommessa) organizzato(a) è idoneo a manifestare la forza o la potenzialità economica, ma tale potenzialità economica va rinvenuta:
- nella figura del gestore, per quanto riguarda i giochi bilaterali. Tale considerazione deriva dalla rilevata forza economica[2] “aggiuntiva” emergente dall’organizzazione e dall’esercizio del gioco, svolti in condizione privilegiata e, quindi, di una attività economica (quale è l’esercizio dei giochi) scevra (o in alcuni giochi ridotta al minimo) dai rischi del libero mercato;
- in capo ai vincitori (sotto forma di arricchimento), nei giochi plurilaterali.
Ciò, in quanto, in questi casi, non è rinvenibile una potenzialità economica e produttiva espressa dal gestore che, pur operando in un contesto monopolizzato, percepisce, a titolo di corrispettivo, una quota normativamente predeterminata/predeterminabile sulla quale di regola non influisce alcuna autonoma autodeterminazione negoziale, emergendo invece un arricchimento dei vincitori rilevabile anche dalla circostanza che, l’applicazione di qualsivoglia forma di prelievo in tali ipotesi, non potrebbe essere commisurata al fondo composto dall’ammontare complessivo delle poste di gioco e, dunque, su quelle somme che devono essere ripartite tra gli scommettitori a titolo di vincita.
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2) Aspetti Iva dei giochi
Quanto detto finora trova conferma anche ove si analizzi l’applicazione dell’Iva nel settore dei giochi e delle scommesse con particolare riguardo al regime delle esenzioni.
Dalla disciplina comunitaria (art. 135 della Direttiva IVA n. 2006/112), nonchè dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 14 luglio 2011, causa C-464/10), si rileva, con riguardo alle esenzioni previste in materia di gioco d’azzardo, che esse sono motivate da considerazioni di ordine pratico, in quanto le operazioni di gioco d’azzardo mal si prestano all’applicazione dell’IVA.
Tuttavia, nel mondo del gambling, non è sempre così! Ciò è vero per i giochi bilaterali (il caso tipico è quello delle scommesse sportive e non a quota fissa), ma nel giochi plurilaterali, è facilmente individuabile la quota spettante all’operatore di gioco a titolo di corrispettivo per il servizio di gioco reso.
Ancora, talune riflessioni derivano anche dal raffronto tra il dettato comunitario e le norme nazionali in materia di esenzioni Iva.
La norma comunitaria (art. 135 della Direttiva 2006/112) recita testualmente: “Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: (…) i) le scommesse, le lotterie e altri giochi d'azzardo con poste di denaro, salvo condizioni e limiti stabiliti da ciascuno Stato membro”, mentre l’art. 10, comma 1, nn. 6 e 7, del D.P.R. n. 633/1972, non utilizzano la formula “operazione di” scommessa bensì “operazione relativa all’esercizio” di giochi e scommesse che, ad evidenza, appare più ampia di quella unionale e comprensiva di operazioni non strettamente sussumibili al gioco e alla scommessa.
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3) Criticità dell'imposta unica su giochi e scommesse
Anche l’applicazione dell’Imposta unica sulle scommesse di cui al D.Lgs. n. 504/1998 è caratterizzata da notevoli criticità connesse alla nota vicenda del CTD che, come sappiamo, raccolgono scommesse sul territorio nazionale per conto di bookmakers esteri privi dei prescritti titoli concessori.
L’attuale quadro normativo, come avallato anche dalla giurisprudenza di legittimità, vuole che il titolare del CTD sia soggetto passivo di imposta, ma ciò ha determinato l’imputazione del presupposto d’imposta ad un soggetto diverso da colui che esprime la reale capacità contributiva colpita dall’imposta unica (i.e. il bookmaker).
Nell’ottica di contrastare il fenomeno dei CTD illegali e la connessa evasione d’imposta, sarebbe stato più utile ed efficace, in armonia con le caratteristiche proprie del tributo e nel rispetto del principio di capacità contributiva, stabilire un obbligo generalizzato di ritenuta a titolo di acconto sulle somme raccolte dai CTD, il cui intervento si configurerebbe a titolo di sostituto d’imposta, evitabile con la previsione di un’opzione consistente nell’obbligo alternativo imposto all’operatore di gioco di stabilire la sede legale sul territorio nazionale oppure designare un rappresentante fiscale in Italia al fine di contemperare l’interesse fiscale alla sicura e rapida esazione dell’imposta con gli obblighi di non discriminazione di derivazione comunitaria.
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4) Note
[1] Nella prassi sembra sia invalso l’utilizzo dell’endiadi “gioco pubblico” per indicare lo stesso fenomeno cui si riferisce la locuzione “gioco organizzato”. L’occasione offerta dallo Stato di esercitare le attività di gioco esclusivamente sotto il controllo pubblico nell’ambito di un generalizzato regime monopolistico può spiegare la ragione per la quale la fattispecie di cui si occupa la disciplina pubblicistica possa essere riassunta nell’endiadi “gioco pubblico”. Nel secondo caso, invece, il riferimento all’organizzazione vuole circoscrivere l’ambito dei giochi ai soli fenomeni ludici di massa in cui è indispensabile l’intervento di un operatore qualificato in grado di gestire le scommesse attraverso un’appropriata organizzazione.
[2] In pratica si ritiene che non possa non rivenirsi una concreta forza economica nei limitati operatori di gioco che operano in un mercato in cui la raccolta lorda per l’anno 2019 (il dato riferibile al 2020 non è attendibile in quanto in tale annualità l’esercizio del gioco, almeno con riguardo al canale fisico, ha subito continue interruzioni dovute alle restrizioni disposte a causa della pandemia da Covid-19) è arrivata a superare la soglia dei 110 miliardi di euro! È di immediata evidenza come la chiusura in entrata crei dei vantaggi economicamente apprezzabili in capo ai limitati soggetti autorizzati ad operarvi.