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IL REGIME FISCALE DEGLI IMPATRIATI: ULTIMI CHIARIMENTI

Il regime fiscale degli impatriati: ultimi chiarimenti

Il regime fiscale degli impatriati alla luce delle ultime risposte dell’Agenzia delle Entrate nel corso del 2022

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I recenti chiarimenti espressi dall’Agenzia delle entrate nella risposta a Interpello 460/2022 in materia di regime degli impatriati, hanno suscitato forti critiche e perplessità: il parere fornito non pare affatto rispettoso del dettato legislativo, oltre che risultare contraddittorio in alcune sue parti

Si ritiene pertanto  doveroso riassumere la normativa in questione, la sua pratica attuazione e i precedenti orientamenti che l’Amministrazione finanziaria aveva comunicato ai contribuenti in diverse occasioni tramite i suoi documenti di prassi. 

Questo articolo è un estratto della circolare del giorno Prassi recente sul regime fiscale degli impatriati  disponibile anche nell'abbonamento alla circolare del giorno di Fiscoetasse.
Dello stesso autore segnaliamo:

1) Regime impatriati: Premessa

Il c.d. regime degli impatriati ha visto la sua iniziale formulazione con il c.d. “Decreto Internazionalizzazione[1], e rientra tra quelle misure di favore previste per: 

  • le persone fisiche;
  • che trasferiscono la residenza fiscale in Italia; 
  • per svolgervi un’attività lavorativa 
  • subordinata (e assimilata), o 
  • autonoma, o 
  • d’impresa

La predetta disposizione è stata oggetto di modifiche operate con l'art. 5 del “Decreto Crescita”[2], in vigore dal 01.05.2019, le quali hanno trovato applicazione[3] in funzione delle variazioni stabilite dall'art. 13-ter, comma 1 del D.L. 124/2019[4]

Per ultimo, il D.L. 21/2022[5] ha disposto talune precisazioni in merito in particolare ai rapporti di lavoro degli sportivi

Il regime fiscale in argomento prevede determinate detassazioni particolarmente vantaggiose per i lavoratori che impatriano, al fine di incentivare massivamente il numero dei “contribuenti italiani” e, conseguentemente, il volume delle entrate nelle casse dello Stato.

Un’analoga normativa di favore è stata in precedenza varata con successo in altre nazioni[6], rispetto alle quali l’Italia si è, per così dire, “accodata”. 

Come noto, le agevolazioni in questione possono arrivare fino al 90% di esenzione del reddito prodotto per i primi 5 anni, e possono essere oggetto di ulteriore proroga quinquennale al ricorrere di talune condizioni

Vediamo meglio cosa stabilisce la legge. 

[1] art. 16 del D.Lgs 147/2015.

[2] D.L. 34/2019 (convertito nella Legge 58/2019).

[3] ai sensi del comma 2 del citato articolo 5 del Decreto Crescita.

[4] convertito nella Legge 19 dicembre 2019, N. 157.

[5] convertito con modificazioni dalla Legge 51/2022.

[6] Belgio, Francia, Irlanda, Portogallo, Regno Unito e Spagna.

Questo articolo è un estratto della circolare del giorno Prassi recente sul regime fiscale degli impatriati  disponibile anche nell'abbonamento alla circolare del giorno di Fiscoetasse.
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2) Regime fiscale impatriati: regime generale

L’art. 16 del D.Lgs 147/2015, nella sua attuale versione, prevede che i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo e (più di recente) i redditi d’impresa, prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato[1], concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni

  • i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei 2 periodi d'imposta precedenti l’impatrio e si impegnano a risiedervi per almeno 2 anni
  • l'attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano

In tema di lavoro subordinato, giova precisare che non rileva la nazionalità del datore di lavoro, né la circostanza che il lavoro venga prestato in modalità c.d. “smart working”: ciò che conta è che la prestazione lavorativa sia concretamente svolta in Italia. Inoltre, l’agevolazione è concessa solo nel caso in cui, la predetta prestazione di lavoro sia eseguita in Italia per la maggior parte del periodo di imposta, nonché per i redditi qui prodotti; pertanto, se l’impatriato, nello stesso periodo di imposta ha lavorato – esempio – i primi 5 mesi all’estero e i successivi 7 mesi in Italia, in tale anno si usufruirà delle agevolazioni, ma con riguardo soltanto ai redditi prodotti negli ultimi 7 mesi.

L’anzidetta percentuale tassabile del reddito scende dal 30% al 10% (dunque, 90% di reddito non imponibile) per i soggetti che trasferiscono la residenza in una delle seguenti regioni

  • Abruzzo; 
  • Molise; 
  • Campania; 
  • Puglia; 
  • Basilicata; 
  • Calabria; 
  • Sardegna; 
  • Sicilia. 

Nell’ipotesi in cui un soggetto rientri in Italia iscrivendosi presso l’anagrafe nazionale della popolazione residente di un Comune situato in una regione diversa da quelle anzidette, non potrà godere della maggiore detassazione pari al 90% del reddito, neanche nell’ipotesi in cui successivamente, pur se nel medesimo periodo di imposta, lo stesso trasferisca la residenza in una delle regioni del sud Italia. 

Ciò che rileva ai fini dell’accesso al regime agevolato di maggior favore è, infatti, il luogo di acquisizione della residenza al momento dell’impatrio

Ne consegue che, in detta ipotesi, il contribuente non potrà godere della tassazione agevolata del solo 10% del reddito. 

Possono beneficiare del particolare regime di favore anche i cittadini italiani non iscritti all'AIRE[2] rientrati in Italia a decorrere dal 2020, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni nei 2 periodi d'imposta precedenti l’odierno impatrio. 

Le disposizioni di favore si applicano per 5 anni, a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento effettivo della residenza nel territorio dello Stato. Superfluo, dunque, precisare che se l’impatrio avviene nel secondo semestre dell’anno, il quinquennio decorre dall’anno successivo a quello in cui è avvenuto. 

Il Legislatore ha, poi, stabilito che le agevolazioni in questione spettano per ulteriori 5 anni

  • ai lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo; 
  • ai lavoratori che diventano proprietari di almeno un'unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento o nei 12 mesi precedenti allo stesso. L'unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli (anche in comproprietà). 

In entrambi i casi, i redditi risultano esenti da imposizione per il 50%

Invece, per i lavoratori che abbiano almeno 3 figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, i redditi in parola, in tutto tale secondo quinquennio, sono esenti da imposizione per il 90% del loro ammontare. 

Le differenti condizioni sopra riportate (al verificarsi delle quali è riconosciuto l’ampliamento dei periodi d’imposta agevolabili) non sono tra loro cumulabili: pertanto, l’ampliamento è possibile solo per ulteriori 5 periodi di imposta. Ne consegue che la detassazione del reddito, fermi e impregiudicati tutti gli altri specifici requisiti di legge, potrebbe essere fruibile complessivamente su un arco temporale massimo di 10 anni. 

L’estensione del beneficio temporale in presenza di almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo, è riconosciuta: 

  • sia qualora il figlio sia nato prima del trasferimento in Italia, 
  • sia successivamente, 

a condizione che tale presupposto sussista entro la scadenza del primo quinquennio di fruizione dell’agevolazione. Dunque, per un soggetto che sia fiscalmente rientrato in Italia nel 2020, il primo figlio (ovvero il terzo figlio) devono essere nati entro il 31.12.2024, ai fini dell’estensione dell’agevolazione per un totale complessivo di 10 periodi d’imposta. La circostanza che, successivamente al rientro, i figli diventino maggiorenni[3], non determina la perdita dei benefici fiscali relativamente all’ulteriore quinquennio. 

Per quanto riguarda, invece, l’estensione del beneficio temporale in presenza di acquisto di unità immobiliare, la stessa è riconosciuta in tutti i casi in cui l’impatriato acquisti un’unità immobiliare di tipo residenziale nel territorio dello Stato nei 12 mesi precedenti al rientro. La disposizione prevede, peraltro, che l’acquisto possa avvenire anche «successivamente» al rientro: questo significa che l’impatriato, ai fini dell’agevolazione, dovrà acquistare l’unità immobiliare entro e non oltre i primi 5 periodi di imposta di fruizione del regime e permanere per tutto il periodo agevolato. 

Da notare che, nell’ipotesi di acquisto di un’unità immobiliare di tipo residenziale, la circostanza di essere già proprietario di un altro immobile (sempre di tipo residenziale) sul territorio dello Stato, non impedisce l’accesso all’estensione dell’agevolazione. Viceversa, il predetto requisito relativo alla proprietà dell’unità immobiliare non risulta soddisfatto se l’acquisto riguarda la sola nuda proprietà o il solo diritto di usufrutto (deve trattarsi di piena proprietà). Anche la mera sottoscrizione di un preliminare di compravendita non è sufficiente a integrare il presupposto per l’estensione del regime agevolato. 

[1] ai sensi dell'articolo 2 del TUIR.

[2] considerati dalla nostra normativa fiscalmente residenti in Italia nel periodo in cui avevano soggiornato all’estero.

[3] ovvero, fiscalmente non più a carico.

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Fonte immagine: Foto di kalhh da Pixabay
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