La bozza di modifica del processo tributario licenziata il 17.5.2022 interviene sul trattamento delle spese del giudizio introducendo un principio, originale, di responsabilità processuale.
Attualmente, il comma 2-octies dell’art. 15 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, dispone che qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa che non è accettata dalla controparte senza giustificato motivo, “restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate nel processo verbale di conciliazione”.
La modifica ha per oggetto il primo periodo per effetto del nuovo art. 48-bis.1 secondo cui per le controverse che sono oggetto del procedimento di ricorso- reclamo, di cui all’art. 17-bis, “la commissione, ove possibile, può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione”.
In tale ipotesi, anche se la proposta è formulata fuori udienza o in udienza, la trattazione della causa può essere rinviata alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. Ma se ciò non avviene, nella stessa udienza si procede alla trattazione dell’udienza.
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1) Ma quale è la nuova cornice delle spese processuali?
Come regola generale:
- la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza (comma 1); tuttavia, esse possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza specifica o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. Si applicano le disposizioni di cui all’art. 96, primo e terzo comma, c.p.c.
- nelle controversie di cui all’art. 17-bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono maggiorate del 50% a titolo di maggiori spese del procedimento.
La nuova norma, qualora sia stata fatta la proposta conciliativa da una delle parti ovvero dal giudice e questa non sia stata accettata senza giustificato motivo dall’altra parte, restano a carico di quest’ultima le spese del giudizio maggiorate del 50%.
In questa cornice, il trattamento delle spese di giudizio è articolato in relazione al valore della controversia, cioè:
- se non si applica l’art. 17-bis, la sentenza liquida le sole spese del giudizio;
- se si applica l’art. 17-bis:
- come regola generale, le spese sono maggiorate del 50%;
- se è stata fatta una proposta conciliativa non accettata dalla parte soccombente la somma delle spese processuali maggiorate del 50% subiscono un ulteriore incremento del 50%.
Il contribuente può impugnare la sentenza contraria confidando sul fatto che il giudizio di appello possa essergli favorevole cancellando il gravame.
Il problema, però, va ampliato anche al caso del contenzioso avviato dal contribuente per la causa di valore fino a 3.000 euro.
In tale ipotesi, la commissione tributaria decide in composizione monocratica, ma, secondo il nuovo ultimo periodo del comma 1 dell’art. 52 la sentenza emessa dal giudice monocratico può essere appellata esclusivamente per violazione di norme sul procedimento, nonché per violazioni di norme costituzionali o di diritto dell’Unione europea, ovvero dei principi regolatori della materia.
In sostanza, per le liti minori prima di contestare la pretesa impositiva è necessario valutare attentamente se le ragioni del contribuente possano essere accolte poiché in caso contrario pende la spada di Damocle della doppia maggiorazione delle spese processuali e dell’impossibilità di proporre appello per questioni di merito.
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