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CONTENZIOSO TRIBUTARIO: LA DIFFICILE DIFESA PERSONALE DEL CONTRIBUENTE

Contenzioso tributario: la difficile difesa personale del contribuente

La scelta della difesa personale nel contenzioso tributario: condizioni per attuarla

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E’ irta di difficoltà la procedura per il contribuente che voglia difendersi personalmente contro le pretese dell’Amministrazione finanziaria.

La difesa personale incontra il limite di 3.000 euro oltre il quale è necessario rivolgersi ad un professionista abilitato (dottore commercialista, avvocato, ecc.). 

La soglia è rappresentata soltanto dai tributi pretesi non dagli interessi, dalle sanzioni e dalle spese di notifica, ovvero dalle sole sanzioni se queste costituiscono l’unica pretesa. Insomma, è una facilitazione.

Ma l’entusiasmo frena subito poiché il secondo scoglio è rappresentato dall’oggetto dell’atto: è necessario conoscere la materia per districarsi tra:

  • norme sostanziali (ad es., il reddito, le detrazioni, ecc.),  
  • la prassi, che non di rado impone regole particolari integrative,
  • e le regole procedurali sulle modalità da seguire per far valere le proprie ragioni.

Va tenuto presente che il ricorso deve essere intestato alla Commissione tributaria provinciale competente, ma va notificato all’ente impositore. 

E, quindi, ecco nuova la scelta: presentare il ricorso su supporto cartaceo o in via telematica?  Quali sono i pro e quali sono i contro?

1) Contenzioso tributario: il ricorso su supporto cartaceo

Il contribuente che non ha conoscenze telematiche (e che non è titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata), ovviamente, sceglie di redigere il ricorso su supporto cartaceo e deve notificarlo all’ente impositore.

La notifica può essere fatta (art. 16, commi 2 e 3, del d.lgs. 31.12.1992, n. 546) secondo quanto previsto dall’art. 137 e seguenti del codice di procedura civile: 

  • l’atto, in duplice copia, 
  • è consegnato all’ufficiale giudiziario che lo notifica e gli restituisce copia con la relata di avvenuta consegna
  • copia che poi va depositata presso la segreteria della commissione tributaria con il relativo fascicolo contenente:
    • la nota di iscrizione a ruolo, 
    • l’atto impugnato, 
    • gli eventuali documenti a propria difesa
    • il pagamento del contributo unificato tributario. 

Tuttavia, è prevista anche la semplificazione: la notifica può essere fatta mediante consegna diretta o a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, ma qui ecco insorgere un ulteriore problema. Sull’atto che viene depositato con il fascicolo è necessario apporre la dicitura che la copia del ricorso è conforme all’originale che è stato notificato.

E ora interviene la procedura: siccome il valore della pratica non è superiore a 50.000 euro, si apre la fase di mediazione con l’ente impositore che si dilunga obbligatoriamente per 90 giorni affinché le parti pervengano ad una accordo che eviti il processo vero e proprio. Fino alla scadenza del termine di 90 giorni il ricorso non è procedibile.

Se il contribuente vuole insistere con le proprie ragioni, entro il 30° giorno successivo va depositato il fascicolo presso la segreteria della commissione tributaria.

Purtroppo, il contribuente non ha considerato il contenuto dell’art. 16-bis: non avendo indicato il proprio indirizzo di posta elettronica nel ricorso e se l’indirizzo non è reperibile da pubblici elenchi, le comunicazioni sono eseguite elusivamente mediante deposito in segreteria della commissione tributaria. 

Tuttavia, questa regola non si applica per le comunicazioni nell’ambito dei processi tributari per i quali non vige l’obbligo della modalità telematica: sul sito internet della Giustizia tributaria è presente l’avvertenza tranquillizzante, "la comunicazione è eseguita dalla segreteria della commissione tributaria mediante spedizione in plico senza busta con raccomandata con avviso di ricevimento".

Se la sentenza respinge le doglianze del contribuente, è possibile proporre il ricorso in appello, sempre su supporto cartaceo, avanti la Commissione tributaria regionale.

Ma, forse, le difficoltà già incontrate fanno indulgere l’interessato a rivolgersi ad un difensore abilitato, dovendo, però, sostenere oneri professionali che si aggiungono al contributo unificato tributario e alle spese processuali maggiorate del 50% a favore dell’ufficio, determinate dalla commissione con la sentenza.

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2) Contenzioso tributario: il ricorso notificato a mezzo posta elettronica certificata

Il contribuente può notificare il ricorso all’ente impositore a mezzo di posta elettronica certificata (PEC) secondo le regole contenute nel d.m. 23.12.2013, n. 163, e nei successivi decreti attuativi. Ma deve possedere un computer ed essere titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata.

L’indirizzo PEC deve essere indicato nel ricorso introduttivo poiché, in caso contrario, e se l’indirizzo non risulta dai pubblici elenchi, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito nella segreteria della Commissione tributaria.

L’adempimento non è semplice poiché vanno osservate anche le regole informatiche presenti nel d.lgs. 7.3.2005, n. 82, la registrazione al SIGIT per depositare con gli allegati e gli standard degli atti processuali e dei documenti informatici allegati.

Insomma, non mancano le difficoltà per cui, avendo conoscenza di una semplice legislazione fiscale e procedurale del processo tributario telematico, fatti un po’ i conti tra l’ammontare della pretesa fiscale (compresi interessi e sanzioni) e il costo del professionista, con il rischio anche di essere condannato alla refusione delle spese processuali, il contribuente può decidere, a malincuore, di non presentare il ricorso e di pagare una somma ritenuta ingiusta.

In definitiva, le difficoltà operative per atti di modico valore, cioè non superiore a 3.000 euro (46,5% dei ricorsi pervenuti alle commissioni tributarie provinciali nell’anno 2020) rappresentano un deterrente per proporre i ricorsi.

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