L’uomo è antiquato, il diritto è antiquato.
Heidegger (L’abbandono) nel 1959 teorizzava che, già allora, l’uomo non risultava assolutamente preparato al fatto che il mondo si fosse trasformato in un completo dominio della tecnica. Il diritto, dal suo canto, vive una profonda crisi d’identità dovuta alla supremazia della tecnica.
Occorre premettere che il diritto è sempre risultato mutevole. Solo chi è portato a credere e non a interpretare (attività quest’ultima molto più dispendiosa) può confidare in formule come quella (abusata) della certezza del diritto.
Il diritto è sempre risultato incerto; il diritto è semplicemente “una tregua tra due conflitti: il conflitto risolto dal prevalere di una volontà e il conflitto che altre volontà, discordi o ostili, muovono contro la norma appena deliberata” (N. Irti).
In sostanza, il diritto non risulta altro che il dominio temporaneo di una volontà sulle altre, ma quando quest’ultime avranno a loro volta il dominio, tenderanno ad affermare – con le proprie leggi – il loro di dominio.
Dario Deotto: dalla prefazione all'ebook Criptovalute e dichiarazione dei redditi 2022
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Dario Deotto: dalla prefazione all'ebook Criptovalute e dichiarazione dei redditi 2022
1) La tecnologia Blockchain e la precarietà delle norme
A questa precarietà “strutturale” del diritto occorre affiancare la crisi della sua “territorialità”.
Le leggi, infatti, hanno bisogno di un territorio, mentre oggi (in realtà, già da qualche decennio) una buona fetta dell’economia prescinde da un territorio.
Si è, sostanzialmente, in presenza di un’economia senza Stati e di Stati che rischiano di essere svuotati dal loro potere impositivo (il diritto è sì positivo, ma è chiaramente impositivo, nel senso che tende a regolare-conformare le vicende degli umani).
Si pensi alle questioni tributarie: i sistemi normativi si fondono su due fattori di collegamento al territorio.
Il primo è quello della residenza, che giustifica l’assoggettamento a tassazione dei redditi ovunque prodotti dai residenti.
L’altro è il luogo oggettivo di produzione del reddito (lo Stato della fonte), che porta ad assoggettare a tassazione i redditi ivi prodotti anche da soggetti non residenti.
Così i redditi dei soggetti non residenti che esercitano un’attività d’impresa si considerano prodotti nel territorio di uno Stato quando sono riferibili ad una stabile organizzazione.
In questo modo si realizza la sovranità impositiva (dal punto di vista tributario) dello Stato nel suo territorio. Il fatto è che con taluni dei fenomeni riconducibili alla digitalizzazione dell’economia (la locuzione “economia digitale” appare impropria), il principio della potestà impositiva sul territorio risulta venire meno perché questi fenomeni prescindono, come si è già rilevato, da un territorio (si dice che sono a-territoriali).
Si può quindi constatare che l’evoluzione della tecnica ha messo in crisi sia il ruolo del diritto che dell’uomo.
Occorre considerare che con il termine “tecnica” va inteso sia l’universo di “mezzi”, che nel loro insieme compongono l’apparato tecnico, sia la razionalità che presiede il loro impiego in termini di funzionalità ed efficienza.
Va preso atto che se prima la tecnica risultava il “mezzo” per ovviare all’insufficienza dell’umano, ora il “mezzo tecnico” si è trasformato, di fatto, in “fine”, poiché il “fine” dell’uomo è divenuto il potenziamento a dismisura del mezzo tecnico (Severino). Fino a relegare probabilmente l’uomo a suo funzionario e a svelare tutta la vulnerabilità del diritto, anch’esso subordinato all’apparato tecnico.
Tant’è che da qualche parte si ipotizza che la tecnologia Blockchain potrà oscurare gli ordinamenti giuridici fino a farli scomparire. O, comunque, si prospetta l’inutilità del diritto in una società completamente uniformata e conformata al dominio della tecnica. La regola tecnica verrebbe a sostituire, in sostanza, la regola giuridica.
Forse si tratta di visioni troppo allarmistiche, però è un dato di fatto che la nuova economia risulta a-territoriale, mettendo in crisi la potestà degli Stati. Così che o il diritto viene ad assumere una connotazione planetaria o, comunque, i singoli Stati dovranno avere legislazioni sempre più uniformi.
Diversamente, la tecnica avrà definitivamente preso il sopravvento sia sul diritto che sull’uomo.
Dario Deotto: dalla prefazione all'ebook Criptovalute e dichiarazione dei redditi 2022
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2) Il fenomeno delle criptovalute
In questo contesto, uno di questi fenomeni a-territoriali, oggetto oggi sempre più di rilevante interesse, risulta quello delle criptovalute.
Il legislatore italiano ha regolato il fenomeno ai fini della disciplina antiriciclaggio definendo le valute virtuali “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
Si tratta di una definizione che, a nostro avviso, coglie nel segno in quanto, in primo luogo, riconosce la rilevanza delle criptovalute come mezzo di scambio e non di pagamento.
Il “mezzo di scambio” non ha una dimensione temporale: è l’utilizzo che se ne fa “ora e adesso”. La funzione di mezzo di pagamento consente invece di estinguere il debito che è stato contratto.
Inoltre, la disciplina del Dlgs 231/2007 individua – correttamente - la “funzione multiforme” delle criptovalute: quest’ultime possono risultare sia mezzo di scambio che strumento d’investimento, così come viene stabilito – sempre giustamente - che le criptovalute non risultano necessariamente collegate ad una valuta avente corso legale. Inoltre nel 2021 è intervenuto il Dlgs 184, che ha stabilito chiaramente che le criptovalute “non possiedono lo status giuridico di valuta o denaro”.
Tali previsioni stridono tuttavia con la rilevanza tributaria che, in alcuni documenti di prassi, è stata attribuita dall’agenzia delle Entrate. Quest’ultima, infatti, ha assimilato le criptovalute alle valute estere.
Occorre rilevare che una valuta si può considerare tale quando ha un legame con un territorio. Le criptovalute non hanno, evidentemente, questo legame. Così è senz’altro da disconoscere la connotazione delle criptovalute come valute estere che porterebbe ad applicare, per le persone fisiche “private” – sempre secondo l’Agenzia - la specifica disciplina prevista dagli articoli 67 e 68 del Tuir.
L’articolo 67, comma 1, lettera c-ter del Tuir, in particolare, ritiene espressiva di un’attività di investimento, come presunzione assoluta di legge, anche il (semplice) prelievo delle valute estere da depositi e conti correnti. Tale previsione viene in parte attenuata dal successivo comma 1-ter dell’articolo 67, con il quale viene stabilito che le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere derivanti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che, nel periodo d’imposta in cui esse sono realizzate, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi continui. Tale previsione non può, evidentemente, essere applicata ad un fenomeno “vivace” e multiforme come le criptovalute.
I sette giorni lavorativi continui risultano, ad esempio, un concetto che mal si concilia con il “cryptomondo”, così come il riferimento al cambio al 1° gennaio del periodo di riferimento e ai “depositi e conti correnti” dimostrano tutta l’inadeguatezza dell’accostamento delle criptovalute (molte nascono in corso d’anno e, comunque, il “cambio” tra inizio d’anno e qualche mese dopo può mutare notevolmente) alle valute estere. Con la conseguenza che il trattamento di eventuali plusvalenze derivanti da un loro impiego come strumento di investimento, escludendosi l’assimilazione alle valute estere, deve essere ricercato nelle altre disposizioni dell’articolo 67 del Tuir. La soluzione più plausibile, a nostro avviso, è che eventuali plusvalenze debbano essere assoggettate a tassazione come redditi diversi ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera c-quinquies, dello stesso Tuir, posta la funzione di “chiusura” di tale disposizione.
Anche se questa conclusione non piace a molti perché comporta l’irrilevanza di eventuali minusvalenze.
È chiaro che sarebbe opportuno che il diritto positivo disciplinasse questi fenomeni in modo organico e uniforme. E lo stesso deve valere per il nuovo fenomeno degli Nft.
Dario Deotto: dalla prefazione all'ebook Criptovalute e dichiarazione dei redditi 2022
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