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POSSO COSTRINGERE IL CONDOMINIO A RIPARARE UN IMPIANTO COMUNE?

Posso costringere il condominio a riparare un impianto comune?

Cosa fare quando un impianto condominiale ha bisogno di manutenzione e l'amministratore non provvede. Si può sospendere il versamento delle quote?

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In ambito contrattuale esiste un mezzo di autotutela, che consiste sostanzialmente nella facoltà di sospendere la prestazione dovuta se l'altra parte non adempie o non offre di adempiere la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento delle due prestazioni siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto (art. 1460 c.c.).

 Tale meccanismo però non può essere utilizzato dal singolo condomino quando il condominio non assume le necessarie iniziative per la manutenzione di un impianto condominiale. 

Vediamo di seguito alcuni casi pratici come insufficiente riscaldamento, mancata messa a norma degli impianti, ecc. e cosa si può fare.

1) Inadempimento del condominio e mancato pagamento delle quote

È possibile che il proprietario di un appartamento non sufficientemente riscaldato per deficienze dell’impianto, si trovi ad attendere lunghi periodi prima di vedere risolto l’inconveniente lamentato.

 In tali casi è evidente che il singolo condòmino per “stimolare” un intervento degli altri condomini sia tentato di  sospendere il pagamento delle quote condominiali relative al servizio riscaldamento.

Tuttavia la circostanza che l'impianto non funzioni correttamente non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le spese di esercizio, posto che il condomino non è titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio e, quindi, non può sottrarsi dal contribuire alle spese lamentando la mancata o insufficiente erogazione del servizio. 

In sostanza, l’esonero dal pagamento dei contribuiti è consentito solo se l’impianto centralizzato, per ragioni strutturali, escluda totalmente il condomino dal relativo servizio, mentre, nel diverso caso in cui venga dedotto un insufficiente grado di riscaldamento nell’unità immobiliare, a causa della colpevole inerzia del condominio nel provvedere alla riparazione dell’impianto, il condomino che si ritiene danneggiato non può sottrarsi al pagamento delle quote.


2) Posso pretendere la messa a norma di un impianto?

L’uso di un impianto comune da parte di ciascun partecipante al condominio si fonda sul rapporto di comproprietà delineato negli artt. 1117 c.c..

Come anticipato sopra, dunque, il singolo condomino non è titolare verso il condominio di un diritto di natura contrattuale relativo al buon funzionamento degli impianti condominiali, che possa essere esercitato mediante un’azione di condanna della stessa gestione condominiale all’adempimento corretto della relativa prestazione contrattuale; ne consegue che il condomino non ha comunque  titolo per richiedere la condanna del condominio ad un “facere”, consistente nella messa a norma dell’impianto comune,  ma può al massimo  avanzare verso il condominio una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione dello stesso nel provvedere alla riparazione o all’adeguamento dell’impianto o sperimentare altri strumenti di reazione e di tutela. 

In altre parole sulla base della giurisprudenza prevalente non si può agire nei confronti del condominio o dei condomini con una causa ordinaria e/o con un ricorso di urgenza.

3) Quale via deve percorrere un condòmino per ottenere la riparazione?

Una soluzione per risolvere il problema è quella di ricorrere a quanto prevede l’art. 1105, ultimo comma, cod. civ. - contemplato in materia di comunione, ma pacificamente applicabile in ambito condominiale in forza del rinvio di cui all’art. 1139 cod. civ. - che prevede il ricorso all’autorità giudiziaria (in sede non contenziosa), qualora non si prendano i provvedimenti necessari per la cosa comune; tale norma presuppone proprio una situazione di disinteresse nei confronti di un impianto, situazione che non è legittima; di conseguenza il singolo condomino  può agire in sede di volontaria giurisdizione: in tal caso l’autorità giurisdizionale viene, eccezionalmente, chiamata ad “amministrare” interessi privati, per prevenire il pericolo della loro lesione. 

 Gli interessati possono adire l'Autorità Giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione affinché sia la stessa ad ordinare i lavori indispensabili. 

I provvedimenti di volontaria giurisdizione, emessi dall’organo giudiziario, vengono richiesti con una domanda, più propriamente con un “ricorso” o “istanza, che può essere lecitamente presentata dalla parte in proprio.

 Così nel condominio minimo ove, invece, non si raggiunga l'unanimità, o perché l'assemblea, in presenza di entrambi i condomini, decida in modo contrastante, oppure perché, alla riunione - benché regolarmente convocata - si presenti uno solo dei partecipanti e l'altro resti assente, è necessario adire l'autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 c.c., non potendosi ricorrere al criterio maggioritario (Cass. civ., sez. II, 07/07/2017, n. 16901).

 Condizione indispensabile, per l'utile esperimento del ricorso fondato sull'art. 1105, quarto comma, c.c., però, è che vi siano dei precedenti sotto il profilo della mancata formazione di una maggioranza, o della mancata esecuzione di una decisione assunta (Trib. Modena 24 febbraio 2009).

 In sostanza all'atto introduttivo del giudizio andranno allegati i documenti (es. verbali di assemblea, ecc.) che dimostrino lo stallo decisionale o esecutivo in cui versa il condominio.


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