L’erede è chiamato a rispondere di tutti i debiti facenti capo al de cuius non soltanto con i beni oggetti del patrimonio dell’estinto ma altresì, nel caso in cui questi ultimi non siano sufficienti al loro assolvimento, con il proprio patrimonio personale.
Questa disposizione è sancita dagli articoli 752 e seguenti del Codice civile i quali prevedono la responsabilità dei coeredi del defunto al pagamento dei debiti e pesi ereditati, in proporzione alle loro quote ereditarie, salvo una disposizione testamentaria differente.
In deroga alla suddetta responsabilità “pro quota” o “parziaria” l’articolo 65 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede che per le obbligazioni di carattere tributario gli eredi sono responsabili in solido e non per quota ereditaria, attribuendo in sostanza all’erario la facoltà di richiedere a ciascuno di essi di onorare l’intero debito del de cuius.
1) I debiti per sanzioni non si trasferiscono all'erede
La trasmissibilità non interessa tuttavia le eventuali sanzioni comminate al defunto e pertanto gli eredi sono responsabili unicamente della somma capitale e dei relativi interessi.
Con l’accettazione dell’eredità viene attribuita agli eredi la responsabilità per le obbligazioni relative ai beni e ai redditi del de cuius; tale accettazione può essere espressa, quando la volontà di essere erede viene manifestata in modo diretto in un atto formale, oppure tacita, quando la persona chiamata all’eredità compie un atto che implica necessariamente la volontà di accettare l’eredità.
Per i redditi posseduti dal defunto anteriormente alla sua morte, è compito degli eredi sia il pagamento dell’imposta sia la presentazione della dichiarazione ai sensi dell’art.65 del D.P.R.600/73 secondo i termini ordinari se il decesso è avvenuto nel periodo oggetto dell’imposta oppure entro il mese di febbraio dell’anno successivo; nel caso in cui il decesso sia avvenuto successivamente a tale data i termini, sia della presentazione della dichiarazione sia del pagamento delle imposte, sono prorogati di sei mesi.
Per ciò che concerne i redditi che, pur prodotti dal defunto, vengono percepiti direttamente dagli eredi, essi stessi diventano i soggetti passivi dell’imposta e potranno sottoporli a tassazione separata ai sensi dell’art.7 c.3 del DPR 917/86 salvo opzione per l’imposizione ordinaria. Per poter usufruire di questa possibilità i redditi in questione devono essere imputati al periodo d’imposta in cui sono percepiti (ovvero i redditi soggetti a tassazione con il criterio di cassa) e pertanto oltre ai redditi di lavoro dipendente la tassazione separata può essere applicata ai redditi di lavoro autonomo, di capitale e ai redditi diversi, ma non hai redditi fondiari o d’impresa che vanno imputati nella dichiarazione dei redditi del de cuius.
Fintantoché l’eredità non viene accettata non esiste alcun soggetto passivo d’imposta ovvero alcun titolare del reddito conseguito e pertanto, dell’obbligazione tributaria.
Se tale situazione si protrae oltre il periodo d’imposta ed il chiamato all’eredità non l’ha accettata, oppure non è nel possesso dei beni ereditati, ai sensi dell’art.528 del codice civile, si costituisce eredità giacente ed occorre eleggere un curatore del patrimonio ereditario.
In questo caso il soggetto passivo d’imposta non è individuato nel “patrimonio ereditario”, bensì, in colui al quale verrà attribuita successivamente l’eredità in via definitiva e pertanto le imposte verranno liquidate, dal curatore, durante il periodo di eredità giacente, in via provvisoria.
Nel caso in cui il soggetto chiamato all’eredità sia una persona fisica oppure non sia ancora individuato si applicano le norme Irpef (titolo I, sezione I DPR 917/86), diversamente, nel caso in cui si tratti di una persona giuridica si applicano le norme Ires per gli enti non commerciali.
In seguito, al momento dell’accettazione dell’eredità, tali redditi concorreranno a formare il reddito complessivo dell’erede con effetto retroattivo e pertanto quest’ultimo sarà tenuto a riliquidare le imposte versate nei periodi d’imposta precedenti.
2) Rinuncia all'eredità per non rispondere dei debiti
Al fine di non incorrere nel rischio di essere chiamati a rispondere con i beni propri dei debiti del defunto esistono due forme di tutela da parte dell’erede. La prima, a carattere permanente, è la rinuncia all’eredità nelle forme previste dall’art. 519 C.c. in quanto lo stesso “non diventa erede e pertanto non può essere chiamato a rispondere delle obbligazioni tributarie riferibili al de cuius” (Risoluzione Ministero delle Finanze 5.11.1980, n. 7/3801).
La seconda, a carattere transitorio, si attua mediante l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario. In tale ipotesi si comporta una limitazione legale della responsabilità patrimoniale dell’erede per i debiti ereditari entro il valore massimo dell’eredità ricevuta. Ciò sta a significare che nell’ipotesi si verifichi una successione onerosa, ove le passività eccedano le attività, l’erede non sarà chiamato a rispondere delle obbligazioni trasmessegli oltre i limiti del valore del patrimonio ereditario, poiché con l’accettazione dell’eredità con beneficio dell’inventario viene elusa la confusione del suo patrimonio con quello del defunto. Il beneficio d’inventario, di cui la legge ne richiede la forma solenne della dichiarazione ricevuta da un notaio o da un cancelliere del tribunale del circondario ove la successione si è aperta, è rimesso alla facoltà di ogni chiamato, che ha l’onere di specificare nell’atto di accettazione se intenda avvalersi di tale diritto.
Tale forma di tutela ben si adatta alle ipotesi in cui si è chiamati a decidere sull’accettazione di un’eredità avendo una sommaria conoscenza della situazione economico patrimoniale del congiunto de cuius.