La problematica operativa per il professionista deceduto non è chiara. Anzi i più recenti orientamenti di prassi in materia di IVA hanno accresciuto dubbi e perplessità.
La normativa è piuttosto scarna: l’art. 35-bis del DPR 26.10.1972, n. 633, dispone:
- gli obblighi derivanti “dalle operazioni effettuate dal contribuente deceduto possono essere adempiute dagli eredi, ancorché i relativi termini siano scaduti non oltre quattro mesi prima della data della morte del contribuente, entro sei mesi da tale data” (comma 1);
- “resta ferma la disciplina per le operazioni effettuate anche ai fini della liquidazione dell’azienda dagli eredi dell’imprenditore” (comma 2)..
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Dunque, a differenza dell’imprenditore individuale, la problematica del professionista è del tutto assente dalla norma, fatta eccezione per il rispetto degli adempimenti da parte degli eredi, entro il termine semestrale concesso, i quali ai fini dell’IVA devono osservare gli obblighi:
- di eseguire la liquidazione periodica;
- di cessione dei beni strumentali;
- di presentazione del modello di liquidazione periodica e della dichiarazione annuale.
Inoltre, ai fini dell’Irpef, devono presentare la dichiarazione REDDITI-PF, per la posizione fiscale del de cuius. Invece, i crediti riscossi successivamente al decesso vanno imputati agli eredi, i quali possono esercitare l’opzione per la tassazione separata (art. 7, comma 3, del d.p.r 22.12.1986, n. 917).
La circolare 16.2.2007, n. 11/E, aveva precisato che “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale”.
Altra precisazione è stata fatta con al risoluzione 20.8.2009, n. 232/E: la cessazione dell’attività del professionista non coincide con il momento in cui si astiene dall’effettuare le prestazioni professionali “bensì con quello successivo in cui chiude i rapporti professionali fatturando le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’art. 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata”.
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1) Le perplessità operative della risoluzione 11.3.2019, n. 34/E
L’erede di un professionista, prendendo atto delle precedenti interpretazioni, dopo aver rilevato che il padre aveva emesso fatture ad esigibilità differita nei confronti della pubblica amministrazione, che non ancora erano state riscosse dal genitore, si era posto il problema di dover mantenere ancora aperta la partita IVA.
L’Agenzia delle entrate ha affermato che la lettura sistematica dell’art. 35-bis consente di applicare anche alla figura del professionista quanto disposto dal comma 2, in materia di azienda.
In altri termini, la scelta va fatta tra il mantenere la partita IVA fino all’incasso dell’ultima parcella e l’anticipare la fatturazione e procedendo alla chiusura della partita IVA (salvo compilare l’ultima dichiarazione computando anche le operazioni per le quali non si è verificata l’esigibilità dell’imposta).
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2) La semplificazione data con la risposta 12.2.2020, n. 52
L’erede di un architetto aveva evidenziato che il padre, dopo essersi insinuato un credito professionale nei confronti di un fallimento, aveva cessato l’attività e successivamente era deceduto.
Gli eredi sono subentrati nel credito ma, per procedere alla sua liquidazione, il curatore aveva chiesto l’apertura della partita IVA chiusa ovvero l’apertura di una nuova partita IVA, richiamandosi alla sentenza 21.4.2016, n. 8059, della Corte di cassazione.
Secondo l’erede, il percepimento del credito dovrebbe essere documentato con una quietanza soggetta all’imposta di bollo poiché troverebbe applicazione il contenuto della r.m. 6.6.1973, n. 501918, secondo cui “nel caso di decesso del titolare di un’impresa individuale prima del verificarsi del momento impositivo, poiché l’impresa ha cessato di esistere per effetto della morte del titolare, non vi è dubbio che i corrispettivi pagati agli eredi e riguardanti prestazioni rese dall’imprenditore deceduto devono considerarsi fuori dal campo di applicazione dell’IVA per assenza del presupposto soggettivo”.
Sorprendente il parere dell’Agenzia delle entrate poiché, dopo aver affermato che la prestazione resa dal de cuius, oggetto del credito, “rientra nel campo di applicazione dell’IVA, anche se il prestatore (de cuius) ha chiuso anticipatamente la partita IVA, ha adottato l’adozione di una prassi semplificativa: siccome gli eredi si trovano di nell’impossibilità di riaprire la partita IVA del de cuius e di emettere la fattura nel momento dell’incasso, l’obbligo di fatturazione “deve essere assolto dal committente (curatore fallimentare)” ai sensi dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. 18.12.1997, n. 471.
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3) Il passo indietro con la risposta 19.11.2021, n. 785
La vedova di un avvocato, ritenendo che i crediti professionali fossero stati riscossi, aveva chiuso la partita IVA. Tuttavia, dopo oltre un anno dal decesso sono emerse ulteriori posizioni attive nei confronti di titolari di partita IVA e di altri soggetti.
Sorprende nuovamente il parere dell’Agenzia delle entrate, che rappresenta un passo indietro rispetto al precedente pronunciamento:
- “il fatto generatore del tributo IVA e, dunque, l’insorgenza della relativa imponibilità va identificato con la materiale esecuzione della prestazione, ne consegue che … l’obbligo si trasferisce agli eredi”;
- “l’stante, in qualità di erede del professionista deceduto dovrà chiedere la riapertura della partita IVA del de cuius e fatturare le prestazioni dallo stesso effettuate”.
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4) Conclusioni
Il problema della riscossione dei crediti del professionista deceduto appare ben lungi dall’essere chiarito lasciando l’interprete senza alcuna certezza sul comportamento da seguire.
La formula più semplice è fatturare i crediti e chiudere la patita IVA.
Ma i clienti pagheranno gli importi dovuti?
L’alternativa, altrettanto semplice: il cliente si autofattura, ma solo nel caso di fallimento dell’impresa debitrice.
L’ultima soluzione: fare resuscitare la partita IVA, ma il de cuius che cosa ne pensa?
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