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IRAP E AVVOCATO COLLABORATORE ESTERNO. ESCLUSIONE DEL PRESUPPOSTO IMPOSITIVO

IRAP e avvocato collaboratore esterno. Esclusione del presupposto impositivo

La Cassazione conferma con ordinanza quali sono i presupposti impositivi IRAP per la libera professione, nel caso specifico di un avvocato

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La Cassazione, con la recente ordinanza del 16 novembre 2021, n. 34484, torna a confermare che non è soggetto al pagamento dell’IRAP l’avvocato che esercita l’attività professionale come collaboratore esterno di uno studio legale, in presenza di specifici requisiti che vanno a escludere il presupposto impositivo.

1) IRAP e collaboratore esterno studio legale: i fatti di causa

Il ricorrente esercita la professione di avvocato, quale semplice collaboratore esterno di uno studio legale, senza assumere all’interno di esso né una funzione direttiva o di responsabilità né la qualifica di associato. 

Si limita solo ad utilizzare beni posti a disposizione dallo studio per l’esercizio dell’attività lavorativa (come ufficio, pc, telefoni e servizi di segreteria, etc).

2) IRAP avvocato: Ordinanza Cassazione n. 34484 del 16 novembre 2021

La pronuncia in esame richiama la (nota) sent. 10/05/2016, n. 9451 delle Sezioni Unite che, componendo il contrasto emerso nell’ambito della sezione tributaria, ha affermato il principio per cui: «con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione - previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: 

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; 

b) impieghi beni strumentali eccedenti secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive».

Rileva la Suprema Corte che, nel caso de quo, la CTR adita si sia invece limitata a ricavare la sussistenza del presupposto per l’applicazione dell’Irap dal fatto che «il contribuente, per svolgere la propria attività di avvocato, si è avvalso di un’autonoma organizzazione, avendo utilizzato beni e servizi propri ed in associazione con altri professionisti». 

In questo modo, tuttavia – sottolinea sempre la Suprema Corte - il giudice di secondo grado (CTR) ha del tutto trascurato di verificare la sussistenza, nel caso concreto, dei due requisiti realmente rilevanti al fine di integrare il presupposto impositivo: cioè se il contribuente fosse il responsabile dell’organizzazione (e non, dunque, semplicemente inserito in un’organizzazione riferibile ad altrui responsabilità ed interesse) e se i beni utilizzati eccedessero il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività.

La sentenza di secondo grado viene dunque cassata e rinviata alla CTR in diversa composizione, al fine di verificare la sussistenza o meno dei presupposti impositivi dell’IRAP. 

La CTR dovrà, quindi, pronunciarsi nel caso di specie allineandosi al principio per cui il presupposto dell’IRAP è costituito dall’esercizio di un’attività autonomamente organizzata e diretta alla produzione/allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi nonché, con riferimento alle attività professionali, il professionista deve configurarsi come il responsabile dell’organizzazione (e non essere inserito meramente in strutture organizzative riferibili all’altrui responsabilità ed interesse) e l’attività professionale deve risultare svolta con l’utilizzo di fattori idonei ad accrescerne la produttività. 

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