Gli enti non commerciali sono considerati enti che svolgono esclusivamente o principalmente attività istituzionale come previsto dallo Statuto sociale e dalla normativa fiscale.
L’ente non commerciale, può, in ogni caso, svolgere attività commerciale in via marginale e secondaria.
La scelta di aderire ad un regime fiscale piuttosto che ad un altro dipenderà da caratteristiche oggettive e soggettive che dovranno essere studiate bene prima di porre in essere qualsiasi attività.
Lasciando ad altro momento la discussione sull’impatto della fiscalità diretta sulle attività commerciali, vogliamo soffermarci sui regimi fiscali esistenti per gli enti non profit nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto.
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1) I regimi Iva degli enti non commerciali: forfettario o ordinario
I regimi iva che possono essere presi di riferimento dall’ente sono sostanzialmente due:
- Il regime forfettario
- Il regime ordinario
Il regime forfettario in campo iva è riservato solo ad alcuni tipi di associazioni ed è stato introdotto dalla Legge 398/91; tale regime nato in primis per le sole associazioni sportive dilettantistiche è stato poi esteso a tutte le associazioni senza scopo di lucro.
A breve, però, con l’entrata in vigore della parte fiscale del Codice del Terzo Settore la 398/91 tornerà alle sue origini e sarà applicabile alle sole associazioni sportive dilettantistiche.
Le regole fiscali cambieranno dal periodo di imposta successivo all'autorizzazione UE e cmq non prima del periodo di imposta successivo all'operatività del RUNTS che avvenuta a partire dal 23 novembre 2021. Leggi RUNTS: dal 23 novembre comincia la migrazione di ODV e APS
Il metodo di calcolo di questo regime è piuttosto semplice; sulle fatture di vendita si applica l’iva ordinaria ma viene riversata allo Stato con un abbattimento del 50% (Per quanto riguarda invece i proventi conseguiti dalla cessione o concessione di diritti televisivi e trasmissione radiofonica, l’abbattimento è pari ad 1/3 dell’imposta).
Per completezza di informazione tale regime secondo la Circolare 18/E del 1° agosto 2018 può essere applicato “per tutti i proventi conseguiti nell’esercizio delle attività commerciali, connesse agli scopi istituzionali” e comunque solo per le associazioni che hanno ricavi commerciali annuali che non superano i 400.000 euro.
Il regime su cui però vogliamo soffermare la nostra attenzione è il regime iva ordinario.
Il regima iva ordinario è quello più conosciuto e sicuramente più usato dal settore profit e da qui che forse troppe volte si opera dando per scontato alcuni aspetti che appartengono al settore del non profit e che andrebbero, invece, studiati e compresi.
Ritorniamo al concetto di ente non commerciale che, come abbiamo già detto svolge in via principale se non esclusiva attività istituzionale.
Se l’attività istituzionale è l’unica attività svolta dall’ente non vi sarà necessità di aprire una posizione iva in quanto non sussiste attività commerciale.
Se, però, l’ente svolge anche attività commerciale (in via continuativa) ci sarà la necessità di aprire una posizione iva e operare di conseguenza.
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2) La detrazione Iva sulle fatture degli enti non commerciali
La scelta del regime ordinario farà sì che si opererà con la modalità di detrazione iva su vendita/ iva su acquisti.
Su questo punto dobbiamo ricordarci che ai sensi dell’art. 19 ter del DPR 633/72 comma 1 l’iva da portare in detrazione sarà soltanto quella relativa alle fatture di acquisto che riguardano l’attività commerciale o quanto meno una parte dell’iva delle fatture di acquisto relative a beni/servizi con utilità promiscua.
Contrariamente l’iva sulle fatture che riguardano esclusivamente l’attività istituzionale sarà SEMPRE indetraibile.
Il comma 2 dell’art. 19 inoltre riporta che la detraibilità spetta soltanto se le due attività sono gestite con contabilità separata conforme agli articoli 20 e 20 bis del DPR 633/72.
Quindi è fondamentale che quando si opera la detrazione iva sia chiaro all’operatore contabile se sta trattando una fattura che riguarda la sfera commerciale oppure una fattura che riguarda la sfera istituzionale o entrambe.
Importante per l’identificazione sarebbe che le fatture passive che riguardano la sfera istituzionale riportassero soltanto il codice fiscale dell’ente mentre per le fattura passive che riguardano solo la sfera commerciale dovrebbe essere indicata soltanto o anche la partita iva.
Questo modus operandi è sicuramente non pratico e spesso molto difficile da porre in essere non solo per un’organizzazione contabile interna di enti che il più delle volte hanno dimensioni piuttosto contenute e che non si possono permettere una gestione così complessa , spesso anche perchè i fornitori non abituati a lavorare con il mondo del non profit difficilmente riusciranno a comprendere le motivazioni perché in alcune fatture dovrà essere inserito soltanto il codice fiscale e perché in altre dovrà figurare anche la partita iva.
Il consiglio è di controllare ogni singolo documento e contabilizzarlo correttamente onde evitare di doversi ritrovare a dover riversare importi considerevoli di iva che sono stati indebitamente portati in detrazione.
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