Il principio contabile OIC 9 disciplina il trattamento contabile delle perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali che deve essere adottato dal le società che redigono il bilancio in base al Codice Civile.
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1) OIC 9 Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali
Il principio contabile OIC 9 - Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali per prima cosa fornisce una definizione di perdita durevole intendendo per tale quella diminuzione di valore che porta il valore recuperabile di un’immobilizzazione ad essere inferiore rispetto al suo valore netto contabile nell’ambito di in una prospettiva di lungo termine. Ne consegue che se il valore recuperabile di un’immobilizzazione risulta essere inferiore rispetto al suo valore contabile, occorre rilevare l’immobilizzazione in bilancio a tale minor valore, imputando la differenza a conto economico. Il valore recuperabile di un’attività, secondo la definizione data dall’OIC 19, è costituito dal maggiore tra il suo fair value e il suo valore d’uso. Ad ogni modo non occorre sempre stimare il fair value di un’immobilizzazione e al contempo il suo valore d’uso in quanto nel caso in cui uno dei due valori risulti essere superiore al valore contabile, già questo di per sé è sufficiente per ritenere che non abbia subito una riduzione di valore.
Nel caso in cui non si possa stimare il valore recuperabile di una singola immobilizzazione, occorre passare a determinare il valore recuperabile dell’unità generatrice di flussi di cassa della quale fa parte l’immobilizzazione. L’unità generatrice di flussi di cassa è costituita dal più piccolo gruppo identificabile di attività che è in grado di generare flussi finanziari in entrata che siano ritenuti indipendenti dai flussi finanziari in entrata generati da altre attività o gruppi di attività. Pertanto può darsi il caso in cui una singola attività non sia in grado di generare autonomamente dei flussi di cassa in entrata e pertanto non può essere considerata a sé stante ai fini della determinazione delle perdite di valore.
Il fair value è da intendersi come quel prezzo che alla data di valutazione la società riuscirebbe a percepire dalla vendita di un’attività (ovvero che pagherebbe per il trasferimento di una passività) nell’ambito di una normale transazione tra operatori di mercato. Inoltre ai fini della stima del valore recuperabile, al fair value vanno sottratti i costi di vendita.
Passando invece alla stima del valore d’uso, la società può calcolarla basandosi sul valore attuale dei flussi finanziari futuri (in entrata e in uscita) che prevede saranno generati dall’attività in esame, considerando sia il suo utilizzo che la dismissione finale. A tali flussi finanziari occorre applicare un tasso di attualizzazione appropriato che in qualche modo rifletta il rendimento che gli investitori vorrebbero ottenere nel caso in cui si trovassero ad effettuare un investimento che generasse flussi finanziari similari (in termini di rischio, importi e tempistica) a quelli che la società si aspetta dall’attività in esame. Il tasso di sconto utilizzato deve essere calcolato al lordo delle imposte e deve riflettere le valutazioni correnti del mercato in merito al valore temporale del denaro, e ai rischi specifici dell’attività per i quali non si è proceduto a rettificare le stime dei flussi finanziari futuri. Per stimare i flussi finanziari in entrata e in uscita bisogna utilizzare i piani previsionali più recenti di cui si dispone. Tuttavia si tenga presente che generalmente tali piani vengono redatti con riferimento ad un periodo superiore ai cinque anni e qualora sia necessario effettuare stime di flussi finanziari con riferimento ad un orizzonte temporale più lungo si può ricorrere per gli anni successivi ad un tasso di crescita che può essere a seconda dei casi stabile o in diminuzione o in crescita. Tale tasso di crescita non deve comunque essere superiore al tasso medio di crescita a lungo termine previsto in generale nel settore industriale o comunque nello Stato in cui opera la società che sta effettuando la valutazione, a meno che un tasso superiore non possa essere comunque giustificato.
Alla chiusura di ogni esercizio bisogna verificare la sussistenza di un indicatore che un’immobilizzazione possa trovarsi ad aver subito una riduzione di valore. In presenza di un tale indicatore si procede dunque alla stima del valore recuperabile e se vi sono le condizioni si procede alla svalutazione.
Tra gli indicatori di possibili perdite di valore vi sono i seguenti:
- nel corso dell’esercizio il valore di mercato di un’attività risulta essersi ridotto in maniera significativa;
- durante l’esercizio sono intercorse, o comunque si verificheranno nel breve periodo, variazioni significative che porteranno a impatti negativi per la società: tali variazioni possono riguardare ad esempio gli scenari di mercato, la tecnologia o il quadro normativo in cui la società opera;
- durante l’esercizio sono intercorsi, o comunque si verificheranno nel breve periodo, significativi cambiamenti nel modo di utilizzare un’immobilizzazioni tal per cui hanno avuto o avranno un impatto negativo sulla società;
- nel corso dell’esercizio sono aumentati i tassi di interesse di mercato o altri tassi di rendimento degli investimenti: ne consegue che risulta essere probabile che tali variazioni abbiano impatto sul tasso di attualizzazione che viene preso a riferimento per calcolare il valore d’uso di un’attività e che riducano il valore recuperabile;
- il valore contabile delle attività nette della società risulta essere superiore al loro fair value;
- l’attività ha subito un evidente deterioramento fisico o è stato oggetto di obsolescenza tecnica.
Allorquando vengono meno i motivi che hanno portato a rilevare una svalutazione occorre rilevare un ripristino di valore nei limiti del valore che l’attività avrebbe avuto ove la rettifica di valore non fosse mai stata registrata.
Ai fini della determinazione delle perdite durevoli, le società che per due esercizi consecutivi non hanno superato due dei tre seguenti limiti possono applicare un approccio semplificato:
- numero medio dei dipendenti durante l’esercizio non superiore alle 50 unità,
- attivo di bilancio non superiore a 4,4 milioni di euro,
- ricavi delle vendite e delle prestazioni non superiori a 8,8 milioni di euro.
Inoltre anche le entità che risultano essere micro-imprese ai sensi dell’art. 2435-ter del codice civile possono applicare un approccio semplificato.