Sono necessarie puntuali scelte legislative in grado di superare il dato formale e di stabilizzare il Paese con un processo di trasparenza e affidabilità verso gli investitori esteri
di Giuseppe Napoli [1] e Lorenzo Sacchetti [2]
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1) Il mancato funzionamento del sistema di riscossione: il punto
La questione riferita al mancato funzionamento del sistema di riscossione dei tributi, di recente sembra aver assunto un ruolo di primo piano, giacché nell’ultimo ventennio ha permesso di recuperare solo il 13% del dovuto, a fronte di un carico residuo, al 31.12.2020, di oltre un miliardo di euro.
Sul punto, al Presidente del Consiglio Draghi, che a marzo scorso affermava “Lo Stato non ha funzionato, bisogna cambiare qualcosa” e ripeteva la necessità di una radicale riforma, si univa il direttore dell’Agenzia delle entrate asserendo[3] “se la riscossione non funziona, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza non potranno mai sconfiggere l’evasione fiscale”[4].
Il tema è stato oggetto di analisi anche dalla Corte dei conti nella relazione sul rendiconto generale dello Stato 2020, resa nota qualche settimana fa, nella quale si è posto l’accento sulle gravi lacune del sistema e sull’evidenza, a 20 anni dall’iscrizione a ruolo, di una percentuale di riscossione sotto al 30% del carico netto e, dopo 10 anni, al 15%.
Pure la Corte costituzionale, nella recente sent. n. 120/2021, ha sottolineato l’ingente dimensione delle entrate pubbliche non riscosse, indicando come questa rappresenti una grave anomalia italiana rispetto al panorama internazionale e come ciò sia fonte, peraltro, di inaccettabili squilibri a danno dei pochi debitori solventi.
Ma perché la riscossione non funziona? Il problema deriva dall’inefficienza dell’ente delegato a tali compiti, dalla presenza di diseconomie funzionali dello stesso o la causa va cercata altrove?
Per rispondere, è doveroso prendere le mosse proprio dalla citata relazione della Corte dei conti, utile a consentire lo sviluppo di importanti riflessioni al riguardo.
In particolare, si legge nel predetto rendiconto contabile, che dei 1.424 miliardi di euro da riscuotere a dicembre 2020, la maggior parte afferisce a soggetti non solvibili, riguardo ai quali è emersa l’inefficienza delle misure esecutive già intraprese nei loro confronti (152 a soggetti falliti, 133 a defunti o ditte cessate, 115 a nullatenenti e 445 a contribuenti destinatari di azioni cautelari con esito negativo).
Orbene, come appare subito evidente, sono questi gli aspetti centrali della questione, da cui emerge l’esistenza di criticità sistemiche idonee a coinvolgere non solo la riscossione, ma soprattutto le prodromiche fasi dei controlli e degli accertamenti, come del resto fa notare la stessa magistratura contabile: “Anche osservando i dati degli anni antecedenti al 2020, i risultati finanziari derivanti dall’ordinaria attività di accertamento e controllo sostanziale conseguiti dall’Agenzia delle Entrate continuano ad essere del tutto incoerenti con la dimensione dei fenomeni evasivi registrati in Italia”.
Il dispositivo di contrasto, in altri termini, secondo i giudici contabili non funziona correttamente e non svolge la sua funzione principale, vale a dire quella consistente nella prevenzione dei fenomeni di elusione e di evasione fiscale, con particolare riguardo ai rilevanti danni provocati dalle frodi strutturate a danno dell’Erario e dell’Unione Europea.
La questione è sicuramente molto complessa e pur meritando opportuni e importanti approfondimenti, non impedisce, in ogni modo, di evidenziare in tale sede alcuni punti fondamentali, come correttamente osservato dai giudici contabili.
Si riscontra, infatti, l’esistenza di “patologie ben articolate”, adeguatamente costruite per tormentare il sistema impositivo e imporre l’obbligo di individuare misure maggiormente idonee al loro contenimento: assumono così rilievo, soprattutto in termini economici, le numerose frodi commesse a danno degli interessi erariali e unionali, capaci di interessare più ambiti normativi (amministrativo-tributario, penale-tributario, societario, fallimentare, ecc.).
Sarebbe forse necessario riformulare il quadro normativo di riferimento in tema di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, in chiave di concretezza ed efficacia, al fine non solo di evitare l’espansione del fenomeno del mancato versamento e dell’indebita compensazione d’imposte (divenuto da qualche tempo un’impropria modalità di finanziamento delle attività economiche), ma soprattutto di favorire azioni di controllo in modo da evitare, poi, l’insorgenza di posizioni debitorie di difficile o impossibile solvibilità.
Il sistema di riscossione, non presenta elementi d’inefficienza oggettiva perché, come noto, è munito di incisivi strumenti, adeguati all’attuazione della sua funzione.
Le criticità, a nostro parere, sono da ricercare “all’origine”, vale a dire nella fase dei controlli e degli accertamenti (absit iniura verbis), giacché sovente e non per responsabilità dell’Amministrazione finanziaria, essa riguarda contestazioni e richieste di pagamento nei confronti di soggetti privi di alcuna possibilità materiale di soddisfare la pretesa erariale.
Allora, allo scopo di tutelare l’Erario dall’esercizio di attività imprenditoriali finalizzate all’evasione e non solvibili per l’assenza di beni o utilità confiscabili, una possibile soluzione potrebbe essere quella di prevedere (almeno per determinati profili soggettivi e settori economici con criticità più marcata) l’obbligo di forme di garanzia fideiussoria, in misura fissa al momento della richiesta della partita Iva e poi da commisurare al volume d’affari e ai ricavi registrati annualmente.
In un’ottica di accelerazione dei relativi processi, poi, è fondamentale rendere più concreta, efficiente e, soprattutto, immediata proprio la circolarizzazione delle informazioni e la valorizzazione degli strumenti di conoscenza informatica e telematica disponibili, con particolare riguardo, da ultimo, ai dati e alle informazioni rivenienti dal sistema della fatturazione elettronica, ai movimenti finanziari registrati sui conti bancari e ai dati riferiti ai soggetti detentori di attività e investimenti finanziari oltre confine.
Occorrono, in sostanza, decisioni risolute, tali da inserirsi nel contesto europeo dove il nostro Paese è ai primi posti per frodi Iva, con un serio tasso di evasione fiscale[5].
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2) Note
[1] Professore a contratto di Diritto Processuale Tributario presso l’Università Luiss Guido Carli e docente presso la scuola di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Roma. Dottore commercialista e revisore legale.
[2] Appartenente all’Amministrazione finanziaria, autore di articoli e monografie in materia tributaria.
[3] Una nuova conferma dell’insufficiente indice di riscossione che ha caratterizzato l’ultimo ventennio si rinviene anche nell’audizione del Direttore dell’Agenzia delle entrate presso la Camera dei deputati (VI Commissione finanze, Individuazione delle priorità nell’utilizzo del Recovery Fund, con particolare riferimento a possibili interventi di riforma del sistema fiscale e della riscossione, Roma, 14 settembre 2020, pagina 17), ove si precisa che «[a]lla data del 30 giugno 2020, il valore del carico contabile residuo, affidato dai diversi enti creditori all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000, ammonta a circa 987 miliardi di euro».
[4] https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/07/01/fisco-a-marzo-draghi-aveva-giustificato-il-condono-con-la-promessa-di-riformare-la-riscossione-ma-la-proposta-del-governo-ancora-non-ce/6244292/
[5] Cfr. i lavori della Commissione Europea all’indirizzo web:
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_1579 .