Negli ultimi mesi, a oltre un anno dal D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 che ha introdotto agli artt. 119 e ss. il cd. superbonus, si è acceso il dibattito, in seno alla compagine governativa e nella società civile, sull’opportunità di prevederne la proroga, al momento disposta solo per IACP, condomini e persone fisiche dal recente D.L. n. 59 del 6 maggio 2021.
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1) Le criticità emerse nel primo periodo di applicazione della norma
Sono note le finalità della norma, tesa, da una parte, al rilancio economico del Paese grazie a un forte incentivo al mercato dell’edilizia e, dall’altra, alla riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, secondo la logica di un’economia sostenibile.
La questione fondamentale, però, è se tale disciplina abbia o no dato prova di conseguire gli scopi per i quali è nata, non solo perché la riqualificazione degli edifici, non potendo avvenire a dileggio della normativa edilizia e urbanistica, impone le necessarie certificazioni in materia (ostacolando fin da subito e fortemente l’accesso alle agevolazioni in esame), ma soprattutto perché occorre valutare la compatibilità fra le misure introdotte e l’efficienza della PA, quantificabile sulla base delle risorse attuali o del prossimo futuro.
Da un punto di vista strettamente di mercato, in aggiunta alla difficoltà del privato di barcamenarsi in un vero e proprio ginepraio burocratico, non può non trascurarsi l’aumento dei prezzi di materiali e manodopera per l’eventualità di revisioni in corso d’opera.
Più in generale, è stato registrato un arricchimento di pochi general contractors a danno degli altri operatori economici, stretti fra le decisioni assunte dal soggetto più forte e il citato fenomeno del rincaro dei costi (con il rischio di una “zombificazione” dell’economia).
Non meno insidioso si rivela il profilo fiscale, atteso che l’asseverazione di congruità dei costi e il visto di conformità, in presenza delle anzidette fluttuazioni di mercato, delle incertezze interpretative e di operatori non sempre affidabili, rendono concreto e grave il rischio di una ripresa impositiva negli anni a venire.
Anche a tale riguardo, il cd. superbonus mal si concilia con una situazione di scarsa coerenza, da non sottovalutare: siamo ai primi posti in Europa per frodi IVA, con un tasso di evasione fiscale poco rassicurante.
Più volte l’UIF, l’Unità d’informazione finanziaria interna alla Banca d’Italia, ha evidenziato le possibili attività illecite legate al godimento delle misure di sostegno introdotte dal D.L. n. 34/2000, in specie con le comunicazioni del 16 aprile 2020 e dell’11 febbraio 2021.
A tacere dei fenomeni di riciclaggio, la generalizzata facoltà di cessione dei crediti alimenta, con tutta evidenza, le opportunità di utilizzo di crediti inesistenti e indebite compensazioni – spesso per tali attività, soggetti già noti al fisco si avvalgono di nuove società o consorzi o di terzi prestanome, ostacolando ulteriormente le azioni di contrasto. Lo Stato investe in strumenti di profilazione degli operatori e di blocco delle attività, ma sembra davvero difficile a oggi, non temere come, nonostante tutto, si arrivi al controllo troppo tardi.
Peraltro, in una logica di economia sana, appare irrazionale che l’Erario versi “moneta fiscale”, consentendo agli operatori di ricevere immediata liquidità per mezzo dell’intermediazione di una banca, senza esigere nulla sul piano della condotta dei contribuenti: si può non aver pagato per anni le imposte, continuare a evadere e tuttavia beneficiare da subito del credito, salvi “futuri” controlli (basti pensare alla ben diversa disciplina dei pagamenti dovuti dallo Stato in base ai contratti pubblici).
Suona davvero incomprensibile come non si possa aver pensato alla possibilità di onerare l’intermediario finanziario–istituto di credito (che, ove coinvolto, percepisce un generoso 10% di profitto) delle opportune verifiche di conformità e, soprattutto, dell’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta.
Anche dal punto di vista sanzionatorio (qualora si giunga a un controllo con esiti positivi), le difficoltà non mancano, giacché a carico del cessionario del credito sono escluse le sanzioni, se non per dolo, evidentemente da provare.
Orbene, giuste tali premesse, l’ipotesi di una proroga generalizzata del cd. superbonus (che non è l’ordito su cui riannodare l’economia del Paese) appare incompatibile con l’attuale contesto normativo e socio-economico, cui, molto meglio si addice il tradizionale finanziamento - anche come credito d’imposta non cedibile - al diretto interessato e nel corso degli anni, proprio in ragione di una stabilità che per sua natura esula dalla disciplina emergenziale (si pensi ad altri incentivi in materia energetica o a quelli per la rottamazione dei veicoli inquinanti).
Se questo è lo scenario, non rimane che sperare nella volontà politica di assicurare al Paese un ambiente culturale e infrastrutturale (scuole, ospedali, reti logistiche, ecc.) al passo con l’Europa, abbandonando velleità “green” solo nel nome, ma pregiudizievoli per la copertura finanziaria dei ben più urgenti interventi strutturali e in grado di alimentare un’economia con molteplici sfumature di grigio.
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