Autori: Giuseppe Napoli[1] e Lorenzo Sacchetti[2]
Il reato di “Omesso versamento Iva”
L’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, come noto, punisce chiunque non versi, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo (27 dicembre dell’anno successivo rispetto al periodo di imposta di riferimento), “l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale”, per un ammontare superiore a euro 250 mila, per ciascun periodo d’imposta.
La consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, nel definire il perimetro applicativo della citata fattispecie, ha chiarito che la stessa:
- concerne il mancato versamento dell’imposta indicata nel rigo VL38 (che riprende i dati del VL32) del Modello Iva considerati i versamenti periodici effettuati secondo quanto (fedelmente) riferito dal contribuente e – al netto di meri errori di calcolo – se tali indicazioni sono obiettivamente false, può sussistere il reato di Dichiarazione infedele, ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, ma non quella del 10-ter[3];
- non è applicabile agli omessi versamenti dell’Iva periodica che, ad evidenza, non rappresentano frazioni anticipate della fattispecie incriminata[4];
- fa riferimento a un debito erariale che non può essere quello “effettivo” risultante dai registri contabili, dalle fatture emesse, dalla contabilità di impresa o, ancora, dal bilancio, ma esclusivamente quello indicato nella dichiarazione annuale presentata dal contribuente[5];
- proprio in quanto presuppone che il debito Iva risulti dalla dichiarazione del contribuente, non è integrato qualora nella stessa dichiarazione sia esposto un credito tributario[6].
In via di sintesi, dunque, secondo l’attuale assetto normativo e giurisprudenziale di riferimento, il valore rilevante ai fini dell’imputazione di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, è quello risultante dalla dichiarazione annuale così come indicato – salvo meri errori di calcolo – nel rigo VL38/VL32 dallo stesso contribuente in ossequio alle istruzioni di compilazione del Modello Iva e non quello ricostruito da altri documenti contabili/fiscali, con la conseguenza che:
- se in dichiarazione, seguendo le istruzioni di compilazione dettate dall’Agenzia entrate, è fedelmente[7] esposto un debito sottosoglia (VL32) o un credito finale (VL33), la fattispecie ex art. 10-ter non può ritenersi integrata;
- se, di contro, il Quadro VL del Modello Iva reca importi “obiettivamente non veritieri”, in grado di incidere sulla determinazione dell’imposta dovuta, potrebbe sussistere il reato di “Dichiarazione infedele” ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000[8].
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1) Le istruzioni per la compilazione del Modello Iva predisposte dall’Agenzia delle entrate
Ai fini della presente disamina risulta necessario soffermare l’attenzione sul fatto che la compilazione della dichiarazione Iva deve necessariamente avvenire secondo le istruzioni predisposte annualmente e approvate, su espressa delega[9], di volta in volta, con provvedimento a firma del Direttore dell’Agenzia delle entrate.
In particolare, il Quadro VL del Modello Iva, espone la liquidazione dell’imposta annuale, ovvero la differenza tra debiti Iva (rigo VL3 e da rigo VL20 a VL23) e crediti Iva (rigo VL4, VL11, campo 1, e da rigo VL24 a VL31), al fine di determinare l’imposta dovuta o l’eventuale Iva a credito annuale, valori rispettivamente da esporre nei righi VL32 o VL33.
A decorrere dall’anno 2017, a differenza di quanto accadeva in precedenza[10], le istruzioni di compilazione del rigo VL30, articolato su 3 campi informativi[11], dispongono l’indicazione:
- nel campo 2, dell’ammontare complessivo dell’Iva periodica dovuta;
- nel campo 3, del totale dei versamenti periodici (realmente) effettuati o compensati[12];
- nel campo 1, del maggiore tra l’importo indicato nel campo 2 e quello indicato nel campo 3[13].
E sarà tale ultimo importo ad essere computato nel conteggio finale dell’imposta dovuta per l’anno! Infatti, a differenza di quanto accadeva fino al 2016, costituisce credito Iva e va quindi sottratto dal valore dell’imposta dovuta (vgs. rigo VL3 indicante l’Iva derivante dal confronto tra le operazioni attive e passive), il valore più alto tra l’Iva periodica dovuta e quella effettivamente versata/compensata con la conseguenza che, come appare evidente, il totale dell’Imposta dovuta su base annuale – se l’Iva periodica non è stata versata – sarà comunque decurtato dall’ammontare dell’Iva periodica dovuta, anche se i versamenti periodici non sono stati realmente eseguiti!
In altre parole, se i debiti (somma rigo VL3 e da rigo VL20 a VL23) risultano maggiori dei crediti Iva (somma righi VL4, VL11, campo 1, e da rigo VL24 a VL31), la determinazione del valore annuale finale, sarà influenzata anche dai versamenti periodi non realmente effettuati in quanto considerati a credito ai fini del computo definitivo.
Inoltre, sulla base delle Istruzioni dell’Agenzia delle entrate relative alle successive annualità 2019-2020, in caso di crediti superiori ai debiti Iva, dal valore dell’Iva a credito da indicare nel rigo VL33, bisogna sottrarre i versamenti di Iva periodica non realmente effettuati e, se da tale operazione deriva un valore negativo, tale rigo non deve essere compilato[14].
Tali disposizioni, in sostanza, consentono la formulazione di una dichiarazione annuale Iva compendiante un valore finale di Iva dovuta (VL32/VL38) completamente epurato dall’Iva periodica mensile/trimestrale, anche se non versata dal contribuente, o la presenza di un Credito Iva c.d. “potenziale” (in quanto connesso all’Iva periodica non versata) con la conseguenza che, come potrebbe verificarsi frequentemente[15], si avrà una dichiarazione priva di indicazioni sia nel rigo VL32/VL38 che nel VL33/VL39, pur in presenza, come detto, di Iva periodica non versata per importi al di sopra della soglia di rilevanza penale, anche milionari.
2) I riflessi problematici della questione
È evidente come la scelta operata dall’Amministrazione finanziaria sia stata fondata sulla circostanza che i versamenti di Iva periodica eventualmente non effettuati durante l’anno, sono ordinariamente sottoposti a specifiche procedure di recupero automatizzato da parte dei competenti Uffici (art. 54-bis, del D.P.R. n. 633/1972).
Ma tale circostanza, come accennato, è comunque in grado di determinare notevoli ripercussioni in ordine alla definizione del valore di “Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale”, in rapporto, sia al dato letterale dell’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000, sia alla citata giurisprudenza di legittimità.
Così come interpretata, infatti, la norma finisce per punire penalmente solamente chi esponga nella dichiarazione annuale Iva, e dunque nel rigo VL32, un’imposta dovuta (anche di poco) superiore alla soglia di punibilità di 250.000 euro, senza tener assolutamente conto degli importi a titolo di Iva dovuta periodica maturati in corso d’anno (ma non versati) la cui riscossione, di contro, è affidata esclusivamente agli strumenti amministrativi tributari depurati, quindi, da quella “accelerazione” che il Legislatore penal-tributario aveva voluto imporre con l’introduzione della norma in commento.
Si deve notare, poi – come, da ultimo, indirettamente confermato dalla recente giurisprudenza di legittimità[16] – che la fedele attuazione delle istruzioni di compilazione ministeriali certamente sgombra il campo da qualsiasi possibilità che tali comportamenti costituiscano reato, non solo ai sensi dell’art. 10-ter del decreto penal-tributario citato, ma anche circa le altre ipotesi illecite contemplate dallo stesso decreto (artt. 4[17] e 10-quater[18]).
Un’ultima considerazione riguarda l’impellente necessità di assicurare la corretta e puntuale riscossione dei tributi, esigenza questa chiaramente rimarcata anche dall’attuale esecutivo Draghi[19]. Obiettivo che, ad evidenza, non può certamente essere perseguito depotenziando quei presidi che il Legislatore penal-tributario ha predisposto proprio per sopperire a quelle carenze emerse in relazione al funzionamento del sistema amministrativo di riscossione delle imposte[20].
3) Note
[1] Professore a contratto di Diritto Processuale Tributario presso l’Università Luiss Guido Carli e docente presso la scuola di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Roma. Dottore commercialista e revisore legale.
[2] Appartenente all’Amministrazione finanziaria. Laureato in Giurisprudenza e autore di articoli e monografie in materia tributaria.
[3] Cfr. Cassazione, Sez. 3, sentenza n. 31367 del 21.04.2021.
[4] Cfr. Cassazione, Sez. 3, sentenza n. 8352 del 24.06.2014.
[5] Così, Cass., SS.UU., 28 marzo 2013, n. 37424; Cass., Sez. III pen., 30 marzo 2018, n. 14595 e n. 12378 del 17 aprile 2020.
[6] Cfr. Cass., Sez. III pen., 16 settembre 2016, n. 38487; Cass., Sez. III pen., 19 settembre 2012, n. 40361.
[7] Ci si riferisce alla corretta attuazione delle istruzioni di compilazione del Modello Iva.
[8] A seguito delle modifiche registrate a decorrere dal 2015, infatti, l’art. 1, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 74/2000 annovera, tra gli “elementi attivi o passivi” anche le “componenti che incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta”. Conseguentemente, ad esempio, la falsa indicazione di Iva periodica come versata nel rigo VL30 costituisce, senz’altro, uno dei casi di “inesistenza” punito dalla richiamata disposizione vgs., sul punto, la richiamata Cass., sent. n. 31367/2021).
[9] Cfr. D.P.R. n. 322/1998.
[10] In tale contesto, si deve segnalare l’importanza del rigo VL29 (per i Modelli Iva fino al periodo di imposta 2016) nel quale doveva essere esposto il totale dei versamenti eseguiti in base alle liquidazioni periodiche ex art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 100/1998. Secondo tali istruzioni, infatti, nel rigo VL29 andava indicata l’imposta realmente versata o comunque compensata con crediti spettanti.
[11] Che, dal 2019, diventano 5, sebbene nulla cambi nella sostanza.
[12] Ivi compresi l’acconto Iva e gli interessi trimestrali, nonché l’imposta versata a seguito di ravvedimento ex art. 13 D.Lgs. n. 472/1997.
[13] O della somma dei campi 3, 4 e 5 per le annualità successive.
[14] Va rilevato, inoltre, come nell’ultimo Mod. Iva 2021 (anno d’imposta 2020), nella Sezione 3, sia stato previsto il nuovo rigo VL41, con la finalità di rilevare nel campo 1, la differenza, se positiva, tra l’Iva periodica dovuta e l’Iva periodica versata e nel campo 2, se positiva, la differenza tra il credito che si sarebbe generato qualora l’Iva periodica dovuta fosse stata interamente versata entro la data di presentazione della dichiarazione annuale (c.d. “credito potenziale”) e il credito effettivamente liquidato nel rigo VL33. L’eventuale Iva periodica non versata, dunque, a decorrere dal Mod. Iva 2021, sarà evidenziata nel rigo VL41 - campo 1, mentre nel rigo VL41 - campo 2, sarà evidenziato l’importo del credito da dichiarazione annuale Iva cui il contribuente avrebbe avuto diritto, se avesse effettivamente versato l’Iva periodica dovuta durante l’anno.
[15] Soprattutto nei casi di contribuente ordinario con aliquote Iva equivalenti in acquisto e vendita.
[16] Il riferimento è alla già citata sentenza della Cassazione n. 31367/2021 che ha
[17] Infatti, salva la dimostrazione che si tratti di valori obiettivamente falsi in grado di determinare condotte di evasione, punite a norma dell’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 – consiste nell’apposizione di elementi reali e non “inesistenti” secondo quanto previsto dalla nuova formulazione del citato art. 4.
[18] La compensazione che si sviluppa in dichiarazione tra crediti e debiti Iva (c.d. Iva da Iva) viene effettuata senza utilizzo del Mod F24 e, dunque, non può integrare il reato di “Indebita compensazione”.
[19] Proprio in relazione ad alcune polemiche riferite al mancato funzionamento del sistema di riscossione dei tributi, infatti, il premier Draghi, a marzo di quest’anno, ha affermato che: “Lo Stato non ha funzionato, bisogna cambiare qualcosa” e ha evidenziato la necessità di una radicale riforma.
[20] Basti considerare, sul punto, che la mancata applicazione della norma penal-tributaria, esclude la possibilità di adottare – soprattutto in quei casi connotati da ipotesi di fraudolenza e dalla presenza di amministratori di fatto – le più dissuasive misure ablative di natura penale per equivalente in capo alla persona fisica responsabile, previste dall’art. 12-bis, dello stesso D.Lgs. n. 74/2000.
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