Il caso in esame riguarda il ricorso proposto dalle Entrate avverso sentenza della CTR in merito alla tassazione dei ricavi conseguiti da un centro ippico, a cui era stata disconosciuta sia in primo che in secondo grado, la qualifica di ente non commerciale.
In particolare, il giudice d’appello, confermando la sentenza di primo grado, riteneva prevalente l’attività commerciale (servizio di “scuderizzazione”) su quella istituzionale, nella misura, rispettivamente del 52 e del 48%.
Del resto, le conclusioni del giudice d’appello trovavano piena conferma in quanto riportato nell’avviso di accertamento (per l’anno 2007) delle Entrate, dove risultava evidente che l’attività principale svolta fosse proprio quella commerciale.
Le Entrate, tuttavia, nel ricorso per Cassazione, contestano il fatto che il giudice d’appello, come pure quello di prime cure, avendo comunque accertata la qualifica di attività commerciale dell’ente, ai fini del pagamento delle imposte, avesse distinto i ricavi da attività commerciale, soggetti a imposta e quelli da attività istituzionale, esentati dalla stessa.
Infatti, la CTR non considerava come ricavi le quote associative e le lezioni di equitazione rese in favore degli associati, mentre vi venivano fatti rientrare le remunerazioni richieste per il mantenimento dei cavalli di proprietà.
In altri termini, il recupero a tassazione dei relativi ricavi veniva subordinato alle richiamate quote percentuali (52% e 48%), escludendo quindi dalla tassazione stessa i ricavi derivanti dall’attività istituzionale.
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1) La perdita della qualifica di ente non commerciale
La Cassazione interviene sul punto richiamando in primis il principio di diritto stabilito nella precedente e recente pronuncia n. 526 del 14 gennaio 2021 per cui «la perdita della qualifica di ente non commerciale si applica anche agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche ed alle associazioni sportive dilettantistiche, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 149, comma 4. (…) Ciò, però, nel senso, come chiarito da questa Corte, che anche gli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche e le associazioni sportive dilettantistiche possono perdere la qualifica di ente non commerciale, ma soltanto se l’esercizio prevalente di attività commerciale perdura per più di un periodo di imposta, e non solo per un unico periodo di imposta, come per gli altri enti non commerciali. Per le associazioni sportive dilettantistiche, l’ambito applicativo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 149, comma 4 è stato esteso dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 90, comma 11».
Inoltre, chiarisce la Corte «in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111 (ora art. 148) in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica), ma dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato del tutto estrinseco e neutrale dell’affiliazione alle federazioni sportive ed al Coni» (v., Cass., sez. 5, 5 agosto 2016, n. 16449).
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2) Modalità di determinazione del reddito
In conseguenza della perdita della qualifica di ente non commerciale, la modalità di determinazione del reddito per l’intero periodo di imposta è quella propria degli enti commerciali come stabilito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, comma 1, lett. b.
In tal caso ogni entrata viene attratta nella categoria del reddito di impresa, con l’obbligo di annotare nell’inventario, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 15, tutti i beni facenti parte del patrimonio dell’ente. Tale iscrizione deve essere effettuata entro 60 giorni dall’inizio del periodo d’imposta in cui ha effetto il mutamento di qualifica.
Relativamente, poi, agli obblighi contabili, l’ente è tenuto a predisporre un prospetto delle attività e delle passività da redigere con i criteri di cui al D.P.R. n. 689 del 1974, nonchè ad attivare le scritture contabili di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 14 e ss.
Si verifica, quindi, a seguito della perdita della qualifica di ente non commerciale, l’attrazione di ogni entrata alla categoria del reddito di impresa, con applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 55 e 81.
Ne deriva che la qualificazione del reddito non è determinata dalla oggettiva rilevanza della natura della fonte da cui proviene, nè dal contenuto dell’attività svolta, ma solo dalla qualificazione soggettiva del produttore, ossia dal nesso di collegamento dell’attività esercitata con lo specifico assetto organizzativo.
Infatti, la natura commerciale dell’organizzazione denota l’esistenza di una struttura predisposta allo svolgimento di attività commerciale, idonea quindi a realizzare atti della medesima natura, con altri soggetti commerciali.
Questo perchè la tutela dell’interesse al gettito fiscale costituzionalmente rilevante giustifica la presunzione assoluta dell’esistenza del connotato di commercialità dell’attività svolta dai soggetti organizzati in forma societaria.
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3) Il principio di diritto
I giudici di legittimità cassano dunque la sentenza della CTR con rinvio alla medesima Commissione Tributaria Regionale ma in diversa composizione, che dovrà conformarsi al seguente principio di diritto: «in caso di perdita della qualifica di ente non commerciale da parte di un’associazione sportiva dilettantistica - ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 149 - per la prevalenza dell’attività commerciale rispetto a quella istituzionale, per almeno due periodi di imposta, tutti i proventi dell’ente devono essere assoggettati a tassazione come reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55 e 81, compresi quelli derivanti da attività non commerciale, come le quote associative e le lezioni equestri svolte in favore dei soci, senza corrispettivi specifici, non potendosi distinguere i proventi da attività istituzionale da quelli derivanti dalla attività commerciale prevalente».