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RIMBORSI PER CONNESSIONE INTERNET DIPENDENTE IN SMART WORKING

Rimborsi per connessione internet dipendente in smart working

Smart working e rimborsi per le connessioni Internet, per il dipendente rientrano nel calcolo del reddito da lavoro: a dirlo l'Agenzia in una risposta a un interpello

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In risposta ad un’istanza di interpello riguardante un tema molto discusso negli ultimi mesi, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente specificato che il rimborso riconosciuto ai dipendenti per le connessioni ad Internet effettuate per garantire le prestazioni lavorative “a distanza” rileva nei loro confronti sul piano fiscale (e quindi rientra nel calcolo del reddito da lavoro dipendente) ai sensi dell’art. 51, comma 1 del TUIR, mentre per il datore di lavoro questi rimborsi possono considerarsi deducibili ai sensi dell’art. 95, comma 1 del TUIR nella misura in cui l’attivazione della connessione dati rappresenti una “conditio sine qua non” per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

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1) La sintesi della risposta dell'Agenzia

Come noto il diritto di interpello consente ad ogni singolo contribuente di poter chiedere al Fisco un parere su una particolare tematica di tipo fiscale. A fronte della presentazione dell’istanza da parte del contribuente, vige il principio del silenzio-assenso (in mancanza di una risposta scritta e motivata da parte dell’Agenzia delle Entrate entro un dato termine, vale la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente nella propria richiesta).

Con la risposta n. 371 del 24/05/2021 l’Agenzia delle Entrate ha fornito un importante chiarimento in merito all’assoggettamento a tassazione dei rimborsi riconosciuti dai datori di lavoro ai propri dipendenti per i costi sostenuti da questi ultimi per la connessione ad Internet (tramite dispositivo mobile o mediante abbonamento al servizio dati domestico) finalizzata allo svolgimento dell’attività lavorativa da remoto (c.d. smart working), così come stabilito dalla Legge n. 81 del 2017.

Ad avviso della società istante, il rimborso di questi particolari costi non può costituire retribuzione imponibile in capo al lavoratore ai sensi dell’art. 51 del TUIR in quanto strumentale allo svolgimento delle attività di lavoro a distanza. Per il soggetto giuridico richiedente, inoltre, questo tipo di rimborsi rappresentano per l’azienda dei costi riconducibili alle “Spese per prestazioni di lavoro dipendente” deducibili nella determinazione del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 95 del TUIR

A rettifica di quanto ritenuto dalla società istante, l’Agenzia delle Entrate, partendo dal principio di “onnicomprensività” e dal presupposto che le retribuzioni comprendono tutte le somme e tutti i valori (in termini di beni e di servizi) percepiti dal dipendente in relazione al proprio rapporto di lavoro, ha fatto presente che ai sensi dell’art. 51 del TUIR anche le somme erogate dal datore di lavoro a titolo di rimborso spese costituiscono per il lavoratore reddito di lavoro dipendente.

A ciò ha aggiunto, tra altre specificazioni di prassi, che con la Risoluzione n. 74/E del 20/06/2017 è stato osservato che i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

In forza di tale ultimo assunto, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che nel caso sottoposto alla propria attenzione attraverso l’interpello presentato dalla società, il rimborso del datore di lavoro non riguarda il solo costo riferibile all’esclusivo interesse dello stesso datore di lavoro, posto che la società rimborserebbe tutte le spese sostenute dal proprio dipendente sostenute per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione dati.

Non si è neanche ritenuto puntualmente relazionabile l’utilizzo della connessione dati da parte del dipendente e l’interesse del datore di lavoro, posto che il contratto relativo all’attivazione della connessione non risulta scelto e stipulato dal datore di lavoro ed in tal modo quest’ultimo rimarrebbe formalmente estraneo al rapporto negoziale stipulato tra il lavoratore e il gestore.

L’Agenzia delle Entrate ha inoltre osservato che dalla descrizione presentata nell’istanza di interpello non sarebbe neanche emerso l’importo del costo che verrebbe rimborsato dal datore di lavoro, consentendo di fatto al lavoratore un pieno accesso a tutte le funzionalità oggi fruibili e offerte dalla tecnologia presente sul mercato.

Per tali ragioni il rimborso del costo del traffico dati che la società intenderebbe riconoscere ai propri dipendenti “non sembra poter essere escluso dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente e, conseguentemente, rileverà fiscalmente nei confronti dei dipendenti ai sensi dell’articolo 51, comma 1 del TUIR”.

Dal punto di vista del datore di lavoro, invece, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il rimborso spese per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione Internet, accordato al dipendente che presta la propria attività lavorativa in modalità smart working, per come rappresentato nell’istanza di interpello risulta sostenuto per soddisfare un’esigenza del dipendente, legata alle modalità di prestazione lavorativa in smart working, e concorre ad assicurare la “rispondenza della retribuzione alle esigenze del lavoratore”.

Ne consegue, pertanto, che nel caso in cui l’attivazione del servizio di connessione dati rappresenti un obbligo implicito della prestazione in modalità “a distanza”, i rimborsi erogati ai dipendenti per il sostenimento di detti costi vanno assimilati alle “Spese per prestazioni di lavoro” e come tali sono da ritenere deducibili ai sensi dell’art. 95, comma 1 del TUIR.

Fonte immagine: Foto di Kevin Phillips da Pixabay

Allegato

Risposta a interpello del 24.05.2021 n. 371
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