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COMPENSO RISCOSSO DA UN PROFESSIONISTA FORFETTARIO DOPO LA CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ

Compenso riscosso da un professionista forfettario dopo la cessazione dell’attività

Facoltà di semplificare la tassazione per i compensi percepiti dopo la chiusura della partita IVA per i contribuenti forfettari e conseguenze per chi fa una scelta differente

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L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 17/E del 30 maggio 2012, in relazione al regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità di cui all’articolo 27, commi 1 e 2, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha modificato il regime dei contribuenti minimi, disciplinato dall’art. 1, commi da 96 a 117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha chiarito che “in un’ottica di semplificazione che tiene conto delle dimensioni dell’impresa e, in particolare, dall’esiguità delle operazioni economiche che ne caratterizzano l’attività, si ritiene che è rimessa alla scelta del contribuente la possibilità di determinare il reddito relativo all’ultimo anno di attività tenendo conto anche delle operazioni che non hanno avuto in quell’anno manifestazione finanziaria”.

Con la circolare n. 10/E del 4 aprile 2016 tale chiarimento è stato ribadito anche con riferimento ai contribuenti che accedono al regime forfetario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

In altri termini, i contribuenti che accedono ai predetti regimi agevolati possono far concorrere alla determinazione del reddito anche ricavi ancora da incassare al momento della chiusura della partita IVA, imputando all’ultimo anno di attività anche le operazioni che non hanno avuto ancora manifestazione finanziaria.

Tale precisazione vale a prescindere dal tipo di attività (professionale o d’impresa) esercitata, poiché i soggetti che accedono ai predetti regimi determinano comunque il reddito secondo il criterio di cassa.

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Questo articolo è estratto dall' utilissimo libro "Il regime forfettario dalla A alla Z" di Salvatore Giordano pubblicato da Maggioli Editore a marzo 2021

1) Il caso del contribuente che non porta a tassazione il fatturato non percepito nell’ultimo anno di attività

Vediamo ora il caso dell’istante che dichiara di aver svolto la sua attività professionale fino a fine 2017 nel regime dei minimi, pur avendo fatturato il compenso in questione prima della chiusura della partita IVA, non si è avvalso di tale facoltà.

A tal riguardo, l’articolo 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, (di seguito TUIR) prevede che per redditi di lavoro autonomo s’intendono quelli che “[...] derivano dall’esercizio di arti e professioni.

Per esercizio di arti e professioni s’intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo [...]”.

Attraverso tale norma il legislatore ha voluto delineare il concetto di esercizio di arti e professioni, al fine di distinguerlo dal lavoro svolto in modo occasionale di cui all’articolo 67, comma 1, lettera l), del TUIR.

In particolare, rientrano nella prima tipologia quelle attività svolte dal contribuente con regolarità, stabilità e continuità.

La circostanza che il contribuente, al momento dell’incasso del compenso, non abbia partita IVA fa sì che, nel caso in esame, non sia possibile riscontrare il requisito soggettivo dell’abitualità che è alla base delle attività di lavoro autonomo.

Si ritiene, pertanto, che il compenso percepito dall’istante nel 2019, quando ormai, avendo chiuso la partiva IVA, non svolgeva più la sua attività professionale in maniera abituale, debba essere dichiarato come reddito diverso, ai sensi del comma 1, lettera l), dell’articolo 67 del TUIR, indicandolo nel quadro RL, rigo RL15, del modello Redditi Persone fisiche 2021.

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