Nell’ambito delle imposte dirette, in caso di accertamenti bancari, la legittimità della ricostruzione della base imponibile attraverso l'utilizzo delle movimentazioni acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente (anticipato alla fase amministrativa) in quanto l'invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce una mera facoltà da esercitarsi in piena discrezionalità e non un obbligo per l'ufficio. Pertanto, dal mancato esercizio di tale prerogativa non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti.
A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione con le ordinanze n. 23823/2020 e n. 23824/2020.
Di seguito facciamo il punto sugli orientamenti della giurisprudenza e la posizione dell'Agenzia in materia
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1) Contraddittorio e indagini finanziarie
La vicenda della perentorietà del contraddittorio endoprocedimentale nel contesto delle indagini finanziarie è stata diffusamente dibattuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità.
La sentenza della Corte di Cassazione a SS.UU. n. 24823/2015 ha generato plurime critiche in dottrina, rappresentando un esempio delle criticità esistenti nelle relazioni tra la funzione legislativa e quella giurisprudenziale e delle complessità che devono quotidianamente affrontare contribuenti, professionisti e Agenzia delle Entrate.
La Legge delega in ambito tributario aveva attribuito al legislatore delegato l’incombenza di “rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine” e di subordinare i “successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale”, ma la modifica introdotta dal D.L. n. 34/2019 al D.Lgs. n. 218/1997 non è stata in grado di inserire il contraddittorio preventivo tra i principi generali cardine dell’ordinamento tributario: l’art. 4-octies ha, difatti, disposto che “L'ufficio, fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l'invito a comparire di cui all'articolo 5 per l'avvio del procedimento di definizione dell'accertamento”.
Di conseguenza, la disciplina è tecnicamente realizzata al fine di immettere un obbligo per l’Amministrazione finanziaria, chiamata a notificare al contribuente un appello all’adesione.
Considerato, poi, che l’intervento modificativo di cui sopra si è inserito nel capo II del titolo I dedicato alla definizione degli accertamenti nell’ambito delle imposte dirette e dell’IVA, se ne conclude che l’invito ad aderire deve precedere l’emissione di un accertamento generale soltanto per imposte dirette, IVA e IRAP (art. 25 D.Lgs. n. 446/1997) e non per gli altri tributi indiretti e locali.
Siamo di fronte, pertanto, a una semplice estensione del contraddittorio, come previsto dalla previsione contenuta nel co. 6 dell’art. 5-ter, situazione che genera una serie di ingiustificate disparità di trattamento in relazione alle diverse modalità di accertamento.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare 17/E/2020, ha fornito chiarimenti interpretativi sulla nuova disciplina che, secondo quanto previsto dal co. 2 dell’art. 4-octies del D.L. 34/2019, trova applicazione per gli avvisi di accertamento emessi a far data dal 1 luglio 2020.
Con riguardo agli accertamenti originati dalle indagini finanziarie si ritiene che, nonostante l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, un confronto antecedente alla notifica dell’avviso tra contribuente e Ufficio sia necessario, stabilendo la norma che i prelevamenti e i versamenti possono essere posti alla base delle rettifiche solo se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario.
Del resto, si ritiene che un diverso orientamento risulterebbe contrario ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica Amministrazione, oltre che lesivo degli interessi dei contribuenti e del loro diritto di difesa.
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