L’accertamento di contributi previdenziali può avvenire a seguito di atti di accertamento effettuati dall’Agenzia delle Entrate, come è il caso tipico dell’accertamento relativo a omessa dichiarazione di redditi da parte di soggetti iscritti alla gestione separata, il quale oltre a produrre un debito tributario nei confronti del fisco ne genera anche un altro nei confronti dell’INPS.
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questo articolo è estratto dal libro "Il contenzioso contributivo con l'INPS" di Paolo Maria Gangi, Giuseppe Miceli, Roberto Sarra, edito da Maggioli Editore
1) La giurisdizione
Nel caso in cui dei crediti previdenziali siano accertati con un atto di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, la giurisdizione sarà del giudice ordinario. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione in sede di regolamento di giurisdizione: “deve darsi continuità alla giurisprudenza di queste Sezioni Unite secondo cui rientra nella giurisdizione del giudice ordinario - e non di quello tributario - la controversia avente ad oggetto diritti e obblighi attinenti ad un rapporto previdenziale, anche se originata da pretesa azionata dall’ente previdenziale a mezzo cartella esattoriale. Ciò deriva non solo dall’intrinseca natura del rapporto, ma anche dal rilievo che l’art. 24 del D.Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, sul riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, nell’estendere tale procedura anche ai contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali, espressamente prevede che in presenza di richiesta del versamento di contributi previdenziali il contribuente può proporre innanzi al giudice del lavoro opposizione contro l’iscrizione a ruolo (v. Cass. S.U. n. 15168/10; Cass. S.U. n. 6539/10; Cass. S.U. n. 7399/07)”[1].
questo articolo è estratto dal libro "Il contenzioso contributivo con l'INPS" di Paolo Maria Gangi, Giuseppe Miceli, Roberto Sarra, edito da Maggioli Editore
[1] Corte Cass. 23 luglio 2018, n. 19523
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2) Il condono fiscale
Nel caso di condono fiscale, la somma che il contribuente accetti di pagare a titolo di definizione della lite con il fisco non proietta i propri effetti in ambito previdenziale, in quanto il condono tributario ha natura meramente deflattiva e non di accertamento. Pertanto, nel caso di condono fiscale, in linea generale, l’INPS dovrà dimostrare in giudizio i fatti costitutivi del proprio credito e non potrà limitarsi ad allegare quanto sia già stato oggetto di definizione in sede di condono fiscale. Infatti, secondo una pronuncia della Corte di Cassazione, “la tesi secondo cui la chiusura della lite fiscale mediante condono non determini il definitivo accertamento del maggior reddito imponibile, già affermata in passato nella giurisprudenza di legittimità (Cassazione nn. 8376/13; Cassazione 4307/05), è stata di recente chiaramente ribadita da questa Corte (Cass. nn. 21541/2019, 24774/2019) proprio con riferimento al condono tributario ex art. 39, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011, conv. con modif. in L. n. 111 del 2011”[1].
Si noti, tuttavia, che, in alcuni casi, la giurisprudenza di merito tende ad attribuire valore automatico in ambito previdenziale alle risultanze dell’accertamento tributario cui è seguita una determinazione in via di condono fiscale, quasi attribuendogli un valore confessorio. Si veda, per esempio, il seguente brano tratto da una sentenza della Corte di Appello di Milano: “la doglianza non è fondata in quanto l’intervenuto condono fiscale non vanifica l’accertamento fiscale svolto ma rappresenta una sorta di “patteggiamento” tra il contribuente - e l’amministrazione in ragione del quale il contribuente, pur non portando acquiescenza all’accertamento svolto, ammette in sostanza che il proprio reddito è maggiore rispetto a quello dichiarato e quindi “sana” la propria posizione fiscale versando una somma di entità certamente inferiore a quella che dovrebbe versare in base al reddito effettivo. Come il contribuente non dà acquiescenza all’accertamento fiscale così l’amministrazione non annulla i risultati dell’accertamento svolto per il solo fatto che il contribuente ha deciso di aderire al condono. Conseguentemente l’accertamento del reddito esiste. A ciò va aggiunto che gli odierni appellanti piuttosto che dimostrare un diverso reddito della società, e quindi proprio, hanno preferito invece addivenire ad un accordo tramite il condono fiscale, che è nato al solo fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie. Nemmeno in questa sede hanno offerto di provare il loro reddito contro quello accertato dall’Agenzia delle Entrate e rispetto al quale l’INPS ha calcolato i contributi dovuti. Sussistendo quindi un valido accertamento del reddito degli appellanti viene meno la fondatezza delle censure dagli stessi formulate che, come già evidenziato, si basano esclusivamente sulla asserita inesistenza di un accertamento del reddito”.
Come più volte detto, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità e contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Appello di Milano, in realtà, dovrebbe essere l’INPS a fornire le prove dei fatti costitutivi del proprio diritto di credito e non gli opponenti a dover fornire la prova contraria all’accertamento effettuato in sede tributaria che non ha, né si comprende come possa avere, efficacia di presunzione, addossando al contribuente l’onere della prova contraria.
In alcuni casi, è lo stesso legislatore a prevedere specificamente che gli accertamenti compiuti dall’Agenzia delle Entrate estendano i propri effetti anche ai contributi previdenziali, come nel caso della mediazione introdotta dall’art. 17-bis D.Lgs. n. 346 del 1992, aggiunto dall’articolo 39, comma 9, n. 98 del 2011, successivamente modificato dall’articolo 1, comma 611, lettera a), L. n. 147 del 2013 (da ultimo sostituito dall’articolo 9, comma 1, lettera I), del D.Lgs. n. 136 del 2013, a decorrere dal 10 gennaio 2016) o l’accertamento definito con adesione (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 218 del 1997).
L’impugnazione davanti all’autorità giudiziaria cui si riferisce il comma 3 dell’art. 24 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, secondo cui “se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice”, può riferirsi anche a un accertamento effettuato dall’Agenzia delle Entrate e opposto innanzi la commissione tributaria[2].
[1] In tal senso, Corte Cass. 25 maggio 2020, n. 9596. Sulle problematiche inerenti all’applicabilità del comma 3 dell’art. 24 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, si veda supra, in questo capitolo, par. 5 e 6
[2] Corte Cass. 25 agosto 2020, n. 17652.5 Il recupero dei crediti contributivi del ’INPS
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3) La prescrizione della pretesa contributiva in caso di accertamento dell’Agenzia
Nel caso in cui da un accertamento effettuato dall’Agenzia delle Entrate risultino anche dei crediti contributivi a favore dell’INPS, la notifica del relativo avviso di accertamento al contribuente produrrà effetti diversi con riferimento alla prescrizione.
Sotto un primo profilo, la notifica dell’avviso di accertamento non può essere considerato il fatto costitutivo del diritto dell’Istituto e, pertanto, dal punto di vista della prescrizione, tale notifica non può rappresentare dies a quo da cui essa inizia a decorrere.
Per altro verso, la notifica dell’atto di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate ha efficacia interruttiva della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c. A tale proposito giova riportare un brano tratto da una pronuncia della Corte di Cassazione: “l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 1 D.Lgs. n. 462 del 1997, di un determinato reddito dapprima non emerso, non individua fatti costitutivi del diritto contributivo dell’ente previdenziale ma dispiega soltanto efficacia interruttiva della prescrizione, anche a beneficio dell’INPS (principio consolidato: v. Cass. n. 13463 del 2017 cit. e numerose successive conformi)”[1].
[1] Corte Cass. 6 ottobre 2020, n. 21473, che conferma: Corte Cass. 27 febbraio 2020, n. 5413; Corte Cass. 24 luglio 2018, n. 19640; Corte Cass. 29 maggio 2017, n. 13463.
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