La questione dell’ICI (e conseguentemente anche dell’IMU) sull’abitazione principale sta letteralmente intasando gli organi della giustizia tributaria. Infatti da tempo, sulla base di elaborazioni giurisprudenziali che hanno generato non poche perplessità, gli appetiti dei Comuni, sovente in cattive acque dal punto di vista finanziario, si sono scatenati su coloro che hanno fruito delle agevolazioni (detrazione o addirittura esenzione) in costanza di matrimonio con il coniuge altrove residente.
Al riguardo va ricordato che l’agevolazione prevista dall’art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992 (sia in termini di detrazione che di esenzione ) è relativa all’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del contribuente, intendendosi per tale “quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”.
Con Con l’art. 1, comma 173, lett. b), Legge n. 296/2006, a partire dall’anno di imposta 2007 si è poi specificato che per abitazione principale deve intendersi, “salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica”.
Quindi messi insieme tali riferimenti, i Comuni, verificata a) la residenza del contribuente b) la costanza di matrimonio c) la residenza dell’altro coniuge, hanno con facilità tratto la conclusione per cui ogni volta che un contribuente regolarmente sposato abbia un coniuge altrove residente l’agevolazione non spetta. In molti casi, fortunatamente, il personale amministrativo risolve in contraddittorio le situazioni in cui i motivi di un temporaneo trasferimento di dimora di uno dei coniugi ha fondamento logico (es. motivi di lavoro, motivi di cura di un familiare altrove residente, motivi di reale separazione di fatto). Oppure al contrario vengono risolte situazioni in cui ad onta delle diverse risultanze anagrafiche per svariate ragioni (es. diverse residenze prematrimoniali non variate, residenza per ottenere i benefici del registro, poi conservata, ecc.) il “focolare domestico” è unico ed uniche sono le agevolazioni.
In altri casi alcuni Enti che, come detto, con facilità hanno mosso contestazioni, con altrettanta faciloneria omettono di considerare le reali situazioni di fatto, giungendo a dei veri e propri paradossi giuridici che non hanno alcuna possibilità di tenuta rispetto ai principi dell’Ordinamento.
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1) Il matrimonio e l’obbligo di residenza comune
E’ noto che sul versante civilistico l’art. 143, comma 2, c.c. impone l’obbligo di coabitazione. Il successivo articolo 144, comma 1°, precisa tuttavia che i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. Quindi è normale la coabitazione ed è previsto l’accordo dei coniugi sulla abitazione coniugale, ma è altresì prevista la valorizzazione delle esigenze di entrambi. Non ultime quelle lavorative o concernenti i rapporti con i genitori e/o la famiglia di provenienza.
In ogni caso, si tratta di un accordo sottoposto alla regola rebus sic stantibus[1], che si forma attraverso comportamenti concludenti e di cui ciascun coniuge può chiedere la revisione al mutare dei presupposti sui quali fu fondato. Si ammette, pertanto, il dissenso del coniuge, ad esempio, quando, fissata concordemente la residenza familiare in un certo luogo, manifesti successivamente l'indisponibilità a rimanervi, perché non intende più sopportare la condizione di pendolare o la lontananza dai propri parenti[2].
Quindi se vogliamo riferire la normativa fiscale all’esistenza di un “focolare domestico” di derivazione diretta dal diritto di famiglia, occorrerà necessariamente riprendere anche i limiti e le condizioni che sottendono a tale riferimento e che poggiano proprio sulla lettura delle regole civilstiche.
La giurisprudenza tributaria di merito ha più volte ribadito che trasferire da parte di uno dei coniugi la propria residenza per motivi di lavoro, non integra la rottura dei vincoli matrimoniali e dunque non comporta la perdita delle agevolazioni ICI-IMU[3].
2) Il passaggio all’IMU
Nel passaggio dall’ICI all’IMU va poi sottolineato il fatto che l’art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2011, escludendo dall’imposta l’abitazione principale precisa che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Quanto ai benefici doppi, nel caso in cui i coniugi possiedano residente distinte, la norma appena citata pone poi un vincolo preciso: “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.
In questa precisazione molti inizialmente hanno visto un limite alla doppia residenza nel comune ma non in comuni diversi. Ed in effetti la circolare 18 maggio 2012, n. 3/DF del Ministero dell’Economia e delle Finanze, al punto 6, ha detto: a) che in caso di doppia residenza nel Comune “..il contribuente può scegliere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni IMU per questa previste; le altre, invece, vanno considerate come abitazioni diverse da quella principale con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati” b) che “Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative”.
Sempre al punto 6 si esprime la ratio alla base della nuova disposizione. Ovvero: “Lo scopo di tale norma è quello di evitare comportamenti elusivi in ordine all’applicazione delle agevolazioni per l’abitazione principale, e, quindi, la norma deve essere interpretata in senso restrittivo, soprattutto per impedire che, nel caso in cui i coniugi stabiliscano la residenza in due immobili diversi nello stesso comune, ognuno di loro possa usufruire delle agevolazioni dettate per l’abitazione principale e per le relative pertinenze”.
Pare quindi che nelle regole dell’IMU sia difficile ravvisare la necessità di una sola “residenza familiare” come quella che, per l’ICI, si è determinata a far data dalla sentenza 15 giugno 2010, n. 14389, della Corte di Casszione.
Secondo tale impostazione, infatti “Il concetto di "abitazione principale" considerato dalla norma - tenuto conto della identità della ratio ispiratrice, tesa comunque a tutelare una specifica situazione fattuale involgente i membri della famiglia -,all’evidenza, richiama quello tradizionale di "residenza della famiglia"desumibile dall’art. 144 c.c., comma 1, ... per cui è del tutto legittima l’applicazione al primo dell’elaborazione giurisprudenziale propria della norma codicistica, in particolare del principio per il quale (Cass., 1^, 24 aprile 2001 n. 6012, che richiama "Cass. 5 maggio 1999, n. 4492; 26 giugno 1992, n. 8019") per "residenza della famiglia" - da tenere distinta dai luoghi di "eventuali domicili fissati altrove ai sensi dell’art. 45 c.c." - deve intendersi il "luogo" ("in relazione al quale", in particolare, "deve realizzarsi, con gli adattamenti resi necessari dalle esigenze lavorative di ciascun coniuga, l’obbligo di convivenza posto dall’art. 143 c.c.") di "ubicazione della casa coniugale" perché questo luogo "individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famìglia", "salvo che" (si aggiunge opportunamente) "tale presunzione sia superata dalla prova" che lo "dello spostamento... della propria dimora abituale" sia stata causata dal "verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza".
Quindi se dovessimo mutuare il concetto di abitazione principale ai fini IMU dalla lettura della regola relativa all’ICI si dovrebbero completamente ignorare a) la precisazione normativa relativa al limite della doppia residenza nel comune b) la circolare del MEF appena citata. Ovvero l’interpretazione di carattere nomofilattico prevalicherebbe in qualche modo la norma stessa e la prassi che l’ha interpretata, con espresso riferimento, tra l’altro, alla ratio iuris.
E’ comunque chiaro che già nella prima lettura della Suprema Corte, vengono considerate come deroghe al principio della “residenza familiare”, e quindi alla lettura più restrittiva, a) il caso della diversa dimora abituale per motivi di lavoro (chiaro in tal senso è il passaggio “deve realizzarsi, con gli adattamenti resi necessari dalle esigenze lavorative di ciascun coniuga, l’obbligo di convivenza posto dall’art. 143 c.c.”) b) il fatto che tale presunzione per cui c’è una sola residenza familiare “.. sia superata dalla prova" che lo "dello spostamento... della propria dimora abituale" sia stata causata dal "verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza”.
Non basta, a nostro avviso. Perché se le predette due situazioni sono tutelate, non potrebbero non esserlo altre circostanze che possono essere assimilabili. Per esempio il temporaneo spostamento di un coniuge in altro comune per assistere un genitore o un familiare malato; il trasferimento di uno (o entrambi) i coniugi per avvicinarsi a un figlio che ha avuto un bambino e che ha necessità di aiuto; e così via.
Un’ultima questione in ambito IMU va posta con riguardo ad un mutamento normativo a valere dal 2012 in avanti. Infatti nell’articolo 13, secondo comma, del d.l. 201/2011 la iniziale espressione “Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”, diviene con il D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, “Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Al di là del dato letterale non pare che la modifica possa portare a conclusioni diverse da quelle finora tracciate. Questo perché il periodo successivo recita ancora: “Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”. Quindi la regola per cui solo la residenza dell’intero nucleo familiare legittima l’agevolazione non è assoluta: al contrario va applicato il principio per cui una sola agevolazione per nucleo familiare è ammessa. Se affermassimo che in caso di familiari residenti anagraficamente in comuni diversi l’agevolazione non spetta a nessuno avremmo una frattura evidente dei principi costituzionali, sotto il profilo dell’uguaglianza e della capacità contributiva.
3) Le pronunce della Cassazione
Dopo la celeberrima (e molto discussa) sentenza n. 14389/2010 già citata, la Corte ha elaborato alcuni principi che vale la pena di riportare in sintesi prima di affrontare le ultime due pronunce dei giorni scorsi.
In primo luogo vale la regola per cui le risultanze dei registri di stato civile hanno solo valore presuntivo. Quindi possono essere superate dalla prova fornita dal contribuente. A tal riguardo: “In tema di ICI, ai fini del riconoscimento dell'agevolazione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, per l'immobile adibito ad abitazione principale, le risultanze anagrafiche rivestono un valore presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito" (Cass. ordd. nn. 12299/17, 13062/17, 15444/17)”. [4] Nel caso esaminato nella ordinanza della sezione filtro, in particolare, si è ritenuto che i giudici d'appello avessero “malgovernato" il superiore principio di diritto, in quanto, non avevano tenuto conto che la diversa residenza anagrafica dei coniugi, “costituisce solo una presunzione circa il luogo di residenza effettiva, che può essere oggetto di prova contraria, che non è stata oggetto di verifica da parte della CTR, benchè la normativa lo prevedesse”.
Sulla separazione di fatto vale il principio per cui si può fruire della doppia agevolazione se le condizioni effettive mostrano una diversa dimora abituale. In tal senso sbaglia il giudice di appello che non compia “nessun accertamento sulla separazione di fatto tra i .. coniugi, limitandosi su tale punto a richiamare le deduzioni degli appellanti, ma ha soltanto statuito in diritto, affermando il principio generale che un'abitazione può essere ritenuta principale soltanto se nella stessa dimorano sia il contribuente che i suoi familiari, con la conseguenza che "per il sorgere del diritto alla detrazione...non è sufficiente che il contribuente dimori abitualmente nell'unità immobiliare se...il coniuge, non separato legalmente, dimori altrove", per giungere alla conclusione "che nessuno dei due immobili, abitati in via esclusiva uno dalla S. e l'altro dal G., può essere considerato abitazione principale ai sensi della norma in commento"[5].
Per la Corte va valorizzato il trasferimento della dimora abituale "per la frattura del rapporto di convivenza, cioè di una situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della coesistenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale", con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra "casa coniugale" e "abitazione principale".
A contrario tuttavia si legge in altra massima che va dato rilievo alle risultanze anagrafiche “a nulla rilevando, ai fini fiscali, la situazione di separazione di fatto, che è una situazione transeunte, suscettibile di essere revocata in qualsiasi momento dagli stessi coniugi, mentre, le agevolazioni fiscali, sono notoriamente di stretta interpretazione e richiedono per essere riconosciute di presupposti certi”[6].
Il altra massima più recente si comincia a dipanare invece proprio la tematica della separazione di fatto tra i coniugi, ovviamente documentata. La situazione di reale separazione, seppur di fatto, non è assimilabile a quella in cui i coniugi risultino solo anagraficamente residenti in luoghi diversi. Infatti secondo la Corte “occorre distinguere l'ipotesi in cui il presupposto di fatto, in relazione al quale deve valutarsi l'applicabilità del beneficio per la casa principale, sia costituito dalla mera circostanza che due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, da quella, ben diversa, in cui risulti accertato che il trasferimento della dimora abituale di uno dei coniugi sia avvenuto "per la frattura del rapporto di convivenza, cioè di una situatone di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della coesistenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale, con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra casa coniugale e abitazione principale" (v. Cass., sez. 6-5, 17/5/2018, n. 12050, non massimata). Nel primo caso, infatti, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l'abitazione principale" ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all'agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della "abitazione principale" del suo nucleo familiare”[7].
In altra sentenza, evidentemente avallando l’impostazione appena esposta, i Giudici di Legittimità rilevano tuttavia che “Le doglianze della ricorrente, che prospetta una separazione di fatto coniugale e rivendica il proprio diritto di fissare in autonomia la dimora abituale, valevole anche per ottenere l'agevolazione richiesta, sono formulate in termini meramente assertivi e privi di un valido supporto probatorio”[8].
Un altro tema, correlato alla spettanza dell’agevolazione, è quello della pretestuosa assunzione di doppia residenza per fruire di doppia esenzione. Il comportamento appare censurabile al punto che la Corte evidenzia come non possa che spettare una unica agevolazione per nucleo familiare. Letteralmente: “Nel caso in esame, quindi, i giudici dell'appello non hanno tenuto nella giusta considerazione che la agevolazione CI riguardanti gli immobili adibiti ad abitazione principale costituiscono un vantaggio fiscale di natura eccezionale e, pertanto, nel caso di coniugi non legalmente separati, non può essere duplice, bensì singola per nucleo familiare”[9].
Ancor più esplicita sul punto un’altra sentenza che, ricordato che la casa su cui si fa valere l’agevolazione deve costituire l’abitazione non solo del contribuente, ma anche del proprio nucleo familiare, statuisce: “Da tale principio risulta, quindi, che per ogni nucleo familiare non può esservi che una sola abitazione principale”[10].
In un altro caso si ammette al beneficio la contribuente che ha dimostrato, secondo la CTR, che il marito risiede presso una unità adibita in realtà a studio professionale e che quindi la residenza del nucleo familiare è presso la propria abitazione, facendo rilevare altresì come il marito non abbia goduto dei benefici per la casa (in realtà lo studio) ove risulta anagraficamente residente[11].
Quando anche si afferma che l’abitazione principale è solo quella di residenza non solo del contribuente, ma anche di tutta la famiglia secondo le risultanze anagrafiche in realtà si dice che ciò vale “salvo prova contraria” come la norma prevede. E solo se la prova non è fornita scatta il recupero dell’agevolazione[12].
In una massima più recente dell’anno in corso si ravvisa nuovamente il limite dell’utilizzo dell’agevolazione in una per nucleo familiare. Infatti “Nel caso di specie trattandosi di una coppia di coniugi non separata legalmente, ma con due distinte residenze anagrafiche, consentire il godimento di tale esenzione, comporterebbe la possibilità per lo stesso nucleo familiare di usufruire di una doppia esenzione per una doppia abitazione principale. Infatti è stato accertato che solo la ricorrente ha la propria residenza anagrafica nel Comune di Bari mentre il proprio coniuge, non legalmente separato, non solo ha residenza e dimora abituale in Roma ma ha usufruito in tale Comune dell'agevolazione in materia di ICI”[13].
Segnaliamo infine (con riferimento all’IMU) una recente massima in cui si afferma, in termini forse eccessivamente perentori e sicuramente non del tutto allineati alla giurisprudenza di Legittimità fin qui esaminata che “Ciò comporta, la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente” [14]. E’ la questione cui abbiamo fatto riferimento in precedenza riferendo le novità introdotte dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, e la necessità di una lettura sistematica delle stesse.
4) Le due sentenze del 3 e 4 novembre 2020 della Sezione Tributaria
Si tratta di due omologhe pronunce[15] che riguardano lo stesso contribuente le quali, come spesso accade per i provvedimenti del Presidente Chindemi, sono chiare e delineano una sorta di “stato dell’arte” della questione ad oggi, in linea con i principi dell’ordinamento.
La Corte ricorda come ai fini della spettanza della detrazione e dell'applicazione dell'aliquota ridotta prevista per le "abitazioni principali", un'unità immobiliare può essere riconosciuta abitazione principale solo se costituisca la dimora abituale non solo del ricorrente, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione nell'ipotesi in cui tale requisito sia riscontrabile solo nel ricorrente ed invece difetti nei familiari (Cass., sez. 6-5, 21/06/2017, n. 15444, Rv. 645041 -01; Cass., sez. 5, 15/06/2010, n. 14389, Rv. 613715 - 01).
Trattandosi oltretutto di norma agevolativa fiscale, essa deve essere di stretta interpretazione e quindi non estensibile ai casi non espressamente previsti in quanto costituisce comunque deroga al principio di capacità contributiva sancito dall'art. 53 Cost..
Con riguardo al concetto di "abitazione principale" considerato dalla norma, va altresì considerato che la giurisprudenza di legittimità (vedi Cass. Sez. 5 n. 14389/2010 in motivazione) ha richiamato quello tradizionale di "residenza della famiglia" desumibile dall'art. 144 c.c., comma 1, ritenendo così legittima l'applicazione al primo dell'elaborazione giurisprudenziale propria della norma codicistica, in particolare del principio per il quale per "residenza della famiglia" deve intendersi il "luogo" di "ubicazione della casa coniugale" perchè questo luogo "individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famiglia", "salvo che" "tale presunzione sia superata dalla prova" che lo spostamento... della propria dimora abituale sia stata causata dal "verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza".
Pertanto occorre distinguere l'ipotesi in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, da quella, in cui risulti accertato che il trasferimento della dimora abituale di uno dei coniugi sia avvenuto "per la frattura del rapporto di convivenza, cioè di una situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della convivenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale, con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra casa coniugale e abitazione principale" (per la differenziazione di tali ipotesi vedi Cass., sez. 6-5, 17/5/2018, n. 12050).
Nel primo caso, infatti, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l'abitazione principale" ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all'agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della "abitazione principale" del suo nucleo familiare.
Ciò per impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per la abitazione principale. Nel secondo caso, invece, la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto, comporta una disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l'abitazione principale" non potrà essere più identificata con la casa coniugale (vedi da ultimo Cass., Sez. 5, n. 15439/19).
Quindi riassumendo possiamo delineare alcuni principi:
- L’agevolazione non può che essere una per nucleo familiare
- Vanno in questo senso contrastate le situazioni in cui i coniugi assumano diverse residenze per fruire della doppia riduzione o esenzione.
- Se tuttavia viene provata la effettiva dimora abituale dei coniugi in luoghi diversi si costituiscono dei “nuclei familiari” diversificati e quindi le agevolazioni spettano due volte.
- Rileva in questo ambito la separazione di fatto per “frattura” del rapporto di convivenza. Dovrebbero rilevare altresì situazioni di fatto diverse nelle quali si ha una effettiva e prevalente dimora separata per i coniugi (es. lavoro).
- Dovrebbe essere sempre possibile provare che ad onta della residenza anagrafica diversa esiste il rapporto di convivenza e quindi fruire di una agevolazione nel luogo nel quale si ha la residenza familiare.
- Nel contesto delle prove, seppur con valore indiziario, possono essere assunte le dichiarazioni di terzi a favore del contribuente, raccolte in sede extraprocessuale, come già affermato dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 del 21 gennaio 2000.
Infine, non è presente nella sentenza ma va ricordata, la regola IMU introdotta dal 2012 in avanti, che richiede non solo la residenza anagrafica del contribuente ma anche quella dei familiari per avere l’agevolazione, va interpretata in conformità ai principi costituzionali. E in questo contesto non avrebbe senso dare una agevolazione ai coniugi con diversa residenza nello stesso comune (come lo stesso articolo 13 prevede) e non concedere alcuna agevolazione ai coniugi con diversa residenza anagrafica in comuni diversi. A tal riguardo va detto che la la CTP di Lecce, con sentenza n. 945 del 15 luglio 2020, ha attribuito il diritto di doppia agevolazione a due coniugi residenti proprio in comuni diversi e proprio con riferimento all’IMU 2013. La CTP ha posto in evidenza come il nuovo dettato normativo in tema di Imu è coerente con l’evoluzione sociale, affermando testualmente che “mentre un tempo la famiglia era una struttura monolitica in cui tutti i componenti si ritrovavano e di fatto convivevano in un’unica abitazione, nell’attuale periodo storico è sempre più frequente l’eventualità di nuclei familiari che, pur rimanendo tali, sono caratterizzati dal fatto che alcuni dei componenti, per motivi di lavoro o di studio, giungono a dimorare in luoghi diversi. Ormai è diffusissima la situazione di coppie di coniugi che vivono in città diverse per motivi di lavoro, pur non essendo separati né giudizialmente e neppure di fatto. Il legislatore si è evidentemente fatto carico di questa nuova situazione e, innovando rispetto alla disciplina dettata in tema di Ici vent’anni prima, ha preso atto delle modifiche sociali nel frattempo consolidatesi e ha ritenuto di non penalizzare i coniugi che vivono distanti l’uno dall’altro, consentendo loro di usufruire dell’esenzione dall’’Imu, ciascuno per la propria abitazione principale.”
5) Riferimenti di Giurisprudenza e Prassi
[1] Barbiera, Il matrimonio, Padova, 2006, 250; Finocchiaro F., 283; Paradiso, I rapporti, 162; Santoro, Passarelli, sub art. 144, 524
[2] Paradiso, La comunità familiare, Milano, 1984, 195..
[3] Cfr. commissione tributaria regionale dell'Abruzzo, quarta sezione, che, con la sentenza 692/2017, ha stabilito che se uno dei coniugi risiede per motivi di lavoro in un comune diverso da quello in cui dimorano i propri familiari, non perde il diritto all'esenzione Ici per l'immobile adibito ad abitazione principale. Gli impegni di lavoro, infatti, giustificano una frattura della convivenza abituale all'interno della stessa casa, ma non fanno venir meno la destinazione ad abitazione principale della famiglia dell'unità immobiliare.
[4] Cass. civ. Sez. VI - 5, Ord., (ud. 06/12/2017) 17-04-2018, n. 9429
[5] Cass. civ. Sez. VI - 5, Ord., (ud. 06/12/2017) 17-05-2018, n. 12050
[6] Cass. civ. Sez. VI - 5, Ord., (ud. 08/05/2018) 07-06-2018, n. 14791
[7] Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 24/01/2019) 07-06-2019, n. 15439
[8] Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 06/03/2019) 09-07-2019, n. 18367. Si veda anche la analoga Cass. civ. Sez. VI - 5, Ord., (ud. 17/04/2019) 24-07-2019, n. 19964
[9] Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 05/06/2019) 07-08-2019, n. 21069
[10] Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 05/06/2019) 07-08-2019, n. 21072
[11] Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 10/09/2019) 14-11-2019, n. 29643
[12] Cass. civ. Sez. VI - 5, Ord., (ud. 27/11/2019) 18-02-2020, n. 3966
[13] Cass. civ. Sez. VI - 5, Ord., (ud. 24/09/2020) 09-10-2020, n. 21873
[14] Cass. civ. Sez. VI - 5, Ord., (ud. 08/09/2020) 24-09-2020, n. 20130
[15] Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 20/02/2020) 03-11-2020, n. 24295 e Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 20/02/2020) 04-11-2020, n. 24538