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SCISSIONE E ABUSO DEL DIRITTO: È NECESSARIO DIMOSTRARE I DISSIDI TRA I SOCI?

Scissione e abuso del diritto: è necessario dimostrare i dissidi tra i soci?

L’Agenzia delle entrate conferma che la scissione non proporzionale non è elusiva, ma i contribuenti ancora non ci credono

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La risposta n.421 del 1° ottobre 2020 affronta un caso di scissione non proporzionale oggetto di interpello da parte di una società, mossa dalla preoccupazione che l’operazione che intendeva porre in essere potesse essere considerata elusiva ai sensi dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente (l.212/2000).

Il tema non è certo nuovo (si veda ad esempio la risposta n.72 del 2020, praticamente uguale a quella in esame), così come non è nuova la risposta fornita dall’Agenzia delle entrate, che, correttamente e senza sorprese, considera non abusiva l’operazione e consolida un orientamento che rispecchia lo spirito dell’attuale disciplina dell’abuso del diritto.

1) Il quesito sulla scissione societaria e le valide ragioni

La società istante è un’immobiliare che esercita attività di locazione, ed è partecipata da quattro persone fisiche: i soci Tizio e Caio, nudi proprietari ciascuno del 50 per cento della società, ed i soci Sempronio e Mevio, usufruttuari ciascuno del 50 per cento della società.

I soci Tizio e Caio ad un certo punto non vanno più d’accordo, perché hanno idee diverse sul futuro della società (pare che uno dei due sia più propenso a vendere gli immobili, l’altro a locarli). Con una scissione non proporzionale, i due vorrebbero dividersi gli immobili (e le altre poste attive e passive della società, naturalmente), rendendosi autonomi (i soci usufruttuari, invece, resterebbero al 50 per cento ciascuno in entrambe le società).

Così come in altri interpelli aventi ad oggetto la scissione societaria. da parte della società istante risalta un certo timore di censura da parte dell’Agenzia delle entrate, probabilmente legato all’approccio che aveva in passato l’Amministrazione nei confronti di casi analoghi. 

Ci riferiamo in primo luogo all’accento che la società istante pone sul conflitto tra i soci, che motiverebbe l’esigenza della separazione. È davvero necessario sottolinearlo, e magari dimostrarlo con verbali di assemblea, scambio di corrispondenza ed atti giudiziari? Sicuramente no.

Fino a qualche anno fa un’operazione come la scissione non proporzionale poteva essere vista come – almeno tendenzialmente – elusiva, e quindi era necessario giustificarla con la presenza di valide ragioni economiche o extrafiscali, ed il conflitto tra i soci era la più ricorrente (anche perché, normalmente, è davvero alla base della maggior parte delle separazioni).

La società istante, nell’interpello in esame, sottolinea che la conflittualità tra i soci potrebbe portare allo scioglimento della società, e quindi alla fine dell’impresa. Non sappiamo se abbia fornito elementi a sostegno della dichiarata conflittualità, ma sappiamo che la dimostrazione dell’esistenza di valide ragioni economiche o extrafiscali è necessaria solo nel caso in cui un’operazione possa essere considerata elusiva.

Nel caso della scissione non proporzionale, in linea generale e senza dubbio nel caso in esame, l’operazione posta in essere non procura alcun vantaggio fiscale indebito, essendo semplicemente preordinata, come è nella natura stessa della scissione, alla separazione del patrimonio societario, senza alcuna conseguenza fiscale che interessi direttamente i beni della società o le posizioni dei soci: nessun salto d’imposta, nessuna assegnazione in aggiramento delle disposizioni specifiche, nessuna rivalutazione del valore delle quote. Semplicemente, quella che prima era una impresa, ora è due imprese. 

In questo senso l’Agenzia delle entrate, nella risposta in esame, sottolinea come la scissione sia fiscalmente neutrale e non determini la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d’impresa: gli eventuali plusvalori restano latenti, e concorreranno alla formazione del reddito secondo le ordinarie regole impositive in caso di alienazione o destinazione a finalità estranea all’esercizio dell’impresa.

Per questa stessa ragione, sembra frutto di eccessiva preoccupazione anche la precisazione, fornita dall’istante, dell’assenza da parte dei soci dell’intenzione di cedere le quote della società dopo la scissione. La preoccupazione di una contestazione di abuso del diritto della cessione di quote deve ritenersi anch’essa superata (sebbene qualche dubbio permanga, circa il punto di vista dell’Agenzia delle entrate, nel caso di società che possiedono singoli beni e non imprese).

Si potrebbe forse pensare nel caso in esame che la preoccupazione dell’istante sia collegata alla natura dell’impresa, essendo una società immobiliare un soggetto un po’ a metà strada, se vogliamo, tra una vera impresa commerciale ed una società di godimento, come dimostra il fatto che l’attività di immobiliare di gestione può essere esercitata anche da una società semplice.

Nel caso in esame, però, la natura di impresa commerciale non viene mai posta in dubbio, e quindi anche la cessione di quote post scissione non dovrebbe presentare criticità (conformemente all’indirizzo che prende avvio con la risoluzione 97/E del 25 luglio 2017). Del resto, è la stessa società istante a sottolineare che le due società, dopo la scissione, avranno “una consistenza patrimoniale adeguata a consentire l’esercizio dell’attività già svolta nel pieno rispetto del principio dell’operatività”.

2) Il parere dell'Agenzia delle Entrate

Le considerazioni, sebbene non in maniera esplicita, sono avallate dalla stessa Agenzia delle entrate nella risposta 421, perché, nel corpo del parere reso:

a) non viene fatto alcun cenno alla verifica dell’effettiva sussistenza dello stato di conflittualità;

b) non viene fatto alcun cenno all’impegno da parte dei soci a non cedere le partecipazioni dopo la scissione;

c) non è presente, a differenza di altre risposte (ad esempio la n.13 del 2019) alcuna raccomandazione nei confronti dei soggetti coinvolti a tenere o non tenere un certo comportamento ai fini del mantenimento del giudizio di non elusività.

Qualche parola invece l’Agenzia la spende circa il possibile riscontro di una sperequazione nei valori patrimoniali delle due società post scissione. Si tratta di una formula presente in tutte le risposte che hanno ad oggetto scissioni non proporzionali, correttamente apposta a monito rispetto a comportamenti impropri in sede di scissione. 

Se i soci, infatti, approfittassero di una scissione, fiscalmente neutrale, per nascondere una cessione di quote tra di loro, l’Agenzia potrebbe intervenire con una contestazione. Nel caso esaminato dalla risposta 421, ad esempio, pur dichiarando che dopo la scissione i valori sarebbero divisi in  parti uguali, i due soci al 50 per cento della società oggetto di scissione potrebbero ripartire il patrimonio in misura diseguale, ad esempio 60 per cento alla società interamente partecipata dal primo socio e 40 per cento alla società interamente partecipata dal secondo socio; in questo modo realizzerebbero una vera e propria cessione di quote del 10 per cento della società.

Ciò presupporrebbe però una concordata alterazione dei valori presenti nel progetto di scissione e presumibilmente un pagamento in nero da parte di un socio in favore dell’altro. Come è evidente, quindi, si tratterebbe di un comportamento illecito e sicuramente rientrante nel campo della vera e propria evasione fiscale, non dell’abuso del diritto

Allegato

Risposta a interpello del 01.10.2020 n. 421
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