Negli ultimi giorni il mondo no profit/ETS ha assistito ad una accelerazione che sembra portare fuori dal pantano operativo in cui si era fermata la riforma di cui al DLGS 17/2017.
L’universo del “non lucrativo” è alla finestra aspettando la pubblicazione in GU del RUNTS, con la speranza che la sua reale istituzione operativa segua velocemente.
Nel frattempo giungono dal MdL interessanti novità in materia di organo amministrativo negli Ets.
Il Ministro del Lavoro ha risposto ad un quesito della Regione Autonoma del Friiuli Venezia Giulia la quale chiede se sia ammissibile per un ETS prendere nel proprio assetto amministrativo un organo a composizione monocratica o necessariamente collegiale, come da tradizione.
La risposta è contenuta nella nota rubricata nel registro ufficiale ministeriale al n. 9313 del 16 di Settembre.
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1) Il dibattito della dottrina e le fonti normative
La posizione della dottrina
Trova spazio nella nota in questione una ricostruzione delle due opposte posizioni dottrinali:
- la prima secondo cui, in assenza di specifiche previsioni, la configurazione monocratica può ritenersi ammissibile;
- la seconda, invece, sulla base delle espressioni utilizzate dal legislatore e dal favor partecipationis alla base del CTS, ipotizza la necessità di una composizione plurale dell’organo di amministrazione.
Tra i fautori della possibilità di configurazione monocratica dell’organo di amministrazione sono anche coloro che, in considerazione del rinvio generale operato dal Codice del Terzo settore alle disposizioni del codice civile “in quanto compatibili” (art. 3 comma 2) nonché del rinvio specifico a puntuali norme poste dal codice civile in materia societaria, ritengono possibile un’applicazione analogica delle norme in materia di società (ma non di società cooperative), in particolare quelle che consentono di optare per un’amministrazione unipersonale in alternativa a quella di tipo collegiale.
Tale ricostruzione non sembra del tutto soddisfacente.
Infatti, il rinvio al Codice civile sia pure previa valutazione di compatibilità secondo quanto disposto all’articolo 3 è formulato in via del tutto generale, senza particolare riferimento alla materia societaria e non è necessariamente riconducibile ad essa; al contrario, il rinvio a puntuali disposizioni della disciplina delle società, in materia di conflitto di interessi, di responsabilità degli amministratori, di cause di ineleggibilità e decadenza degli stessi, proprio per la sua specificità e limitatezza, sembra volto a profilare un quadro puntuale di maggiori presidi e garanzie per l’ente più che a consentire una generale applicabilità agli enti del Terzo settore dei modelli organizzativi di tipo societario (salvo naturalmente il caso dell’impresa sociale costituita in forma societaria).
Inoltre, non può essere tralasciato il fatto che, nella formulazione dell’articolo 4 del Codice, il legislatore nell’elencare le tipologie di enti che possono rientrare nel Terzo settore, prima in via specifica (le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici…) poi in maniera più ampia (gli altri enti di carattere privato) escluda espressamente le società, fatta eccezione, evidentemente, per quelle in possesso della qualifica di impresa sociale.
Il modello e la disciplina societaria sembrerebbero quindi sostanzialmente estranei al Terzo settore, all’infuori delle esplicite previsioni disposte dalle norme sopra richiamate.
Nel caso delle imprese sociali costituite in forma societaria, anche qualora le disposizioni civilistiche relative alla forma in cui l’impresa è costituita (d.lgs. 112/2017, art. 1, comma 5) consentissero una composizione monocratica dell’organo di amministrazione, tale possibilità potrebbe risultare preclusa dalle specifiche ipotesi riguardanti tali tipologie di ETS (cfr. ad es. la presenza di almeno un componente dell’organo di amministrazione da parte dei lavoratori ed eventualmente degli utenti, art. 11, comma 4 lett. b).
Per i sostenitori del secondo orientamento, invece, nella disciplina degli organi rinvenibile nel capo II del Codice, il legislatore ha espressamente previsto in capo all’ente la facoltà di decidere tra organo di controllo monocratico o collegiale solo nelle norme che disciplinano l’organo di controllo (art. 30, ivi compresa l’ipotesi in cui lo stesso svolga compiti di revisione legale); l’assenza di tale manifesta volontà legislativa nel caso dell’organo di amministrazione ha fatto propendere alcuni per l’esistenza di un limite alla libera individuazione della struttura organizzativa di quest’ultimo.
Le Fonti Normative
Può essere utile, in proposito, ricordare che l’intero Codice del Terzo settore, come pure la legge delega da cui esso è scaturito trovano il proprio fondamento negli articoli 2 e 118 cost., e nel principio di autonomia che caratterizza il complesso degli enti che operano nel Terzo settore. I tratti caratteristici di questi ultimi risiedono preliminarmente nell’assenza di scopo di lucro, nell’esercizio di specifiche attività di interesse generale, nelle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che ne orientano l’operare.
All’interno del perimetro del Terzo settore, in linea con la struttura del Codice e con il contenuto dei titoli dal II al V ove si vengono progressivamente a collocare le disposizioni via via più stringenti, a partire dalle prime, applicabili alla generalità degli enti fino a giungere a quelle che definiscono e disciplinano i cd. enti a disciplina particolare, possono essere individuate varie tipologie di enti, ognuna con proprie specifiche caratteristiche. Tale struttura “flessibile” oltre a consentire l’evoluzione successiva degli enti verso assetti organizzativi diversi da quelli iniziali, sembra non precludere al momento la futura emersione di soggetti aventi struttura e caratteristiche attualmente non conosciuti, in linea con le peculiarità di un settore estremamente vitale e mutevole sulla base del sorgere dei nuovi bisogni sociali.
L'impossibilità di una risposta univoca
Per questa ragione, risulta difficoltosa e forse inappropriata una risposta univoca al quesito prospettato; la stessa dovrebbe invece tenere conto proprio della molteplicità delle tipologie e delle caratteristiche dei soggetti collocati all’interno del Terzo settore, partendo dal presupposto che la struttura organizzativa dovrebbe essere una conseguenza, ragionevole e coerente, della natura, della vocazione dell’ente, dello stadio vitale in cui esso si trova, delle modalità più razionali che esso individua per perseguire le proprie finalità ultime e il proprio oggetto sociale, sia pure all’interno dei limiti posti dalla legge e più in generale, dalla volontà del legislatore.
Peraltro, l’individuazione da parte di quest’ultimo di specifiche tipologie di enti e di una disciplina più stringente cui gli stessi devono assoggettarsi, non va intesa come una compressione della sopra citata autonomia degli enti ma al contrario come la proposta di modelli organizzativi che, predefiniti pur nella loro flessibilità, disegnano assetti e rapporti tra gli organi dell’ente in grado di garantire il miglior raggiungimento degli obiettivi propri e di quelli generali; fermo restando che l’ente – purché nell’osservanza delle norme generali – potrebbe non conformarsi a tali modelli senza perdere la possibilità di essere qualificato come ETS ma semplicemente rinunciando alla possibilità (e agli eventuali benefici) di una qualificazione più specifica.
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2) Il principio della autonomia
Il richiamo al principio dell’autonomia degli ETS, particolarmente quella organizzativa, potrebbe tuttavia ad avviso del MdL, non giustificare del tutto la tesi di quanti sostengono, in termini assoluti, che la nomina di un amministratore unico possa ritenersi sempre consentita “in assenza di una disposizione che obblighi alla necessaria collegialità dell’organo”. Tale autonomia infatti deve essere intesa come funzionale all’individuazione di assetti organizzativi coerenti con le finalità e le caratteristiche dell’ente. In tal senso, per le ragioni sopra richiamate, potrebbe difficilmente trovarsi adeguato un richiamo analogico all’art. 2380-bis, comma 3 del codice civile, in materia di società per azioni.
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3) L'articolo 26 del CTS e i suoi limiti
Ciò detto, l’utilizzo nell’articolo 26 del termine “amministratori” al plurale, la mancata previsione in caso di organo di amministrazione dell’espressa possibilità di una costituzione monocratica dell’organo a differenza di quanto previsto nel caso dell’organo di controllo, nonché soprattutto le previsioni dei commi 2, 4 e 5 inducono a ritenere che il legislatore abbia ipotizzato una composizione collegiale dell’organo; tuttavia è necessario ricordare che ai sensi del comma 1 e della collocazione specifica dell’articolo, quest’ultimo è applicabile non alla generalità degli ETS ma alle associazioni del Terzo settore e, con alcune limitazioni, alle fondazioni del Terzo settore. Nello specifico, per espressa previsione del comma 8, a queste ultime si applicano i commi 3, 6 e 7, che si ritengono conciliabili anche con una composizione monocratica dell’organo di amministrazione; i commi 4 e 5, in caso di fondazioni che prevedano un organo assembleare o di indirizzo, “possono trovare applicazione in quanto compatibili”.
4) Amministratore unico per Fondazioni e Associazioni?
La disciplina differenziata trova una spiegazione nella distinzione di caratteristiche, obiettivi e natura tra le due tipologie di enti. Elemento peculiare dell’associazione è come noto l’esistenza di una pluralità di associati che insieme perseguono uno scopo comune; nella fondazione è l’esistenza di un patrimonio preordinato al raggiungimento di un determinato scopo.
Caratteristiche necessarie e inderogabili delle associazioni del Terzo settore sono il carattere aperto (quindi la possibilità di nuovi ingressi), la democraticità interna (che si esprime a sua volta nei principi di uguaglianza tra gli associati e di elettività dei titolari di cariche sociali, tale secondo principio temperato dalle disposizioni recate proprio dai commi 4 e 5 dell’articolo 26). Anche l’organo di amministrazione (in quanto componente di un peculiare assetto organizzativo volto a garantire e promuovere la massima partecipazione democratica degli associati alla vita dell’ente e alle attività che questo è chiamato a svolgere) dovrebbe avere caratteristiche coerenti con tali principi; d’altra parte esso è chiamato oltre che a gestire le risorse dell’ente, a concretizzarne le finalità partecipative applicando i principi di democrazia e uguaglianza; inoltre, è subordinato all’organo assembleare, il quale è chiamato periodicamente ad approvarne l’operato, con l’eventuale supporto dell’organo di controllo, che si pronuncia anche sull’adeguatezza della struttura organizzativa.
L’organo assembleare è sovrano, potendo anche disporre eventuali modifiche statutarie che conferiscano all’ente una fisionomia o finalità diverse da quelle originariamente individuate dai soci fondatori.
Nel caso delle fondazioni, l’operato dell’organo di amministrazione è teso fondamentalmente a gestire un patrimonio destinato in conformità con la volontà originariamente espressa dai fondatori; il controllo interno ad opera dell’apposito organo e quello esterno esercitato dall’autorità governativa sono sempre presenti; anche qualora gli statuti prevedano l’esistenza di organi assembleari o di indirizzo, i compiti di questi ultimi non possono essere individuati in maniera incompatibile con la natura fondativa dell’ente o con la volontà del fondatore (art. 25 comma 3).
Gli enti religiosi:
Anche in caso di enti religiosi civilmente riconosciuti, il regolamento che disciplina lo svolgimento delle attività ai fini dell’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore può prevedere che l’amministrazione sia affidata ad un organismo di carattere monocratico. Infatti, in tal caso l’applicazione del Codice riguarda soltanto lo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5 così da salvaguardare il rispetto della struttura e della finalità di tali enti, sulla base di accordi tra l’ordinamento italiano e altri ordinamenti giuridici in cui detti enti si trovano ad operare.
5) Conclusioni
Conseguentemente, la diversa natura dell’organo di amministrazione e dei rapporti con gli altri organi e con l’esterno nelle due tipologie di ente potrebbe suggerire, sotto un profilo sistematico ancor più che per effetto della lettura testuale delle norme, la preferibilità di una composizione collegiale dell’organo di amministrazione nel caso delle associazioni e per altro verso, la possibilità di un amministrazione monocratica nelle fondazioni, ferma restando l’obbligatorietà dell’individuazione puntuale da parte dello statuto delle caratteristiche dell’organo.
In tale contesto, in termini di estrema residualità si può configurare l’ipotesi diversa in cui, nel caso di associazioni in fase di costituzione, l’individuazione nell’atto costitutivo di un organo di amministrazione monocratico temporaneo con il rinvio ad una integrazione elettiva dell’organo stesso entro un determinato periodo (ad esempio un esercizio annuale) o anticipatamente qualora si sia raggiunto un numero di soci superiore al minimo. In tal caso, infatti, laddove il numero di associati iniziali sia particolarmente ridotto, l’individuazione iniziale nell’atto costitutivo di una pluralità di amministratori in numero di poco inferiore o magari addirittura coincidente con quello degli associati potrebbe comportare problemi di funzionamento dell’ente o non consentire una effettiva distinzione tra organo di amministrazione e organo assembleare o tra le rispettive manifestazioni di volontà, rendendo di fatto inoperante il controllo operato dal secondo sul primo. Per evitare ciò, un organo di amministrazione monocratico potrebbe costituire una eventualità percorribile sia pure per un periodo limitato previsto comunque dall’atto costitutivo.
Quanto detto in generale riguardo le associazioni del Terzo settore vale per le tipologie di enti a disciplina particolare riconducibili comunque alla tipologia associativa, fatte salve eventuali disposizioni specifiche in linea di massima ancor più stringenti.