Con la risposta all’interpello n.219 del 20 luglio 2020 l’Agenzia delle Entrate ha nuovamente fornito chiarimenti sul recupero dell’IVA addebitata a titolo di rivalsa così come previsto dall’art.60, comma 7, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA).
Obiettivo di tale norma è ripristinare la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa e dal diritto di detrazione consentendo il normale funzionamento dell’imposta che deve incidere i consumatori finali e non gli operatori economici.
La rivalsa a seguito di accertamento si differenzia da quella ordinaria per il suo carattere facoltativo, collocandosi temporalmente in un momento successivo all’effettuazione dell’operazione e presuppone l’avvenuto versamento definitivo della maggiore IVA accertata.
Inoltre essa ha natura di istituto privatistico, inerendo non al rapporto tributario ma ai rapporti interni tra i contribuenti, pertanto l’unica possibilità consentita al fornitore per il recupero dell’Iva pagata all’Erario, in caso di mancato pagamento dell’Iva da parte del cessionario o committente, è quella di adire l’ordinaria giurisdizione civilistica, non potendosi invocare altri istituti contemplati dalla normativa Iva, nel caso specifico la nota di variazione in diminuzione ai sensi dell’art.26, comma 2 del DPR 633/72.
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1) La fattispecie dell’istanza di interpello
La società istante, nello svolgimento della propria attività, ha venduto in regime di non imponibilità ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a) del DPR 633/72, a seguito della presentazione da parte di due società acquirenti, di lettere d'intento, rivelatesi in seguito false in base ad accertamenti effettuati dall'Agenzia delle Entrate.
A seguito di contestazione con avviso di accertamento, la società ha effettuato il pagamento dell'IVA non versata avvalendosi della definizione agevolata di cui all'articolo 2 del decreto legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136. Dopo aver effettuato il pagamento, ha esercitato nei confronti delle ditte debitrici il diritto di rivalsa come previsto dall'articolo 60 del DPR 633/72.
Non essendo state pagate le fatture emesse, l'istante ha, quindi, instaurato la procedura per il recupero del credito attraverso decreto ingiuntivo, ottenendo la certificazione dell'Ufficiale giudiziario dell'avvenuto pignoramento con esito negativo in relazione ad una società debitrice, mentre in relazione all’altra, è ancora in attesa della suddetta certificazione.
La società istante ha pertanto presentato interpello ai sensi art.11, comma 1, lettera a) legge n.212/2000, chiedendo se, nel caso di specie, potesse emettere le note di variazione in diminuzione ex articolo 26, comma 2, del DPR 633/72, previste nell'ipotesi di procedura esecutiva rivelatasi infruttuosa e, potesse di conseguenza esercitare il diritto a detrazione dell'IVA addebitata in rivalsa e non incassata.
2) La normativa – l’articolo 60 DPR 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA)
L'articolo 60 del DPR 633/72 è stato modificato in seguito alla chiusura della procedura di infrazione n. 2011/4081 aperta contro l’Italia dalla Commissione europea, in quanto la preclusione posta dal settimo comma dell’art. 60 del decreto IVA è stata ritenuta non conforme ai principi comunitari di neutralità e proporzionalità dell’imposta sul valore aggiunto.
La precedente formulazione della norma infatti, precludeva espressamente al cedente/prestatore il diritto di rivalersi, nei confronti di cessionari di beni o committenti di servizi, dell’imposta o maggiore imposta pagata in conseguenza d’accertamento o rettifica. Il divieto era stato giustificato da valutazioni pratiche in ordine all’inopportunità di una riapertura dei rapporti contrattuali allo scopo di recuperare, a posteriori, l’imposta non addebitata al momento di effettuazione dell’operazione.
L’articolo 93 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, (cosiddetto “Decreto liberalizzazioni”), ha quindi modificato il settimo comma dell’articolo 60 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 che nella nuova formulazione in vigore dal 24 gennaio 2012 dispone: "Il contribuente ha diritto di rivalersi dell'imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell'imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione".
In base a tale disposizione il contribuente può esercitare la rivalsa dopo aver effettivamente pagato all'Erario l'imposta accertata, le sanzioni e gli interessi. Essa prevede, inoltre, che l'esercizio del diritto a detrazione da parte del cessionario o committente sia subordinato, in deroga agli ordinari principi, all'avvenuto pagamento dell'IVA addebitatagli in via di rivalsa dal cedente o prestatore.
L'articolo 60, ultimo comma è volto a ripristinare la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa (esercitabile dal fornitore soggetto passivo a condizione che il medesimo abbia definitivamente corrisposto le somme dovute all'erario a titolo di imposta, interessi e sanzioni) e dal diritto di detrazione (esercitabile dal cliente soggetto passivo a condizione che il medesimo abbia corrisposto quanto addebitatogli a titolo di rivalsa), consentendo il normale funzionamento dell'imposta, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici, secondo l’approccio di tipo economico sostanziale che ravvisa nel consumo il presupposto dell’IVA, in aderenza con quanto ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenze C-330/95; C230/87).
3) La prassi - Il parere dell’Agenzia delle Entrate
A parere dell’Agenzia delle Entrate, non risulta condivisibile la soluzione di prevedere l'emissione di una nota di variazione in diminuzione dell'Iva, allorché successivamente all'inutile esercizio della rivalsa ai sensi dell'articolo 60, ultimo comma, del DPR 633/72, il cessionario committente sia stato cancellato dal registro delle imprese senza che il credito dell'istante sia stato soddisfatto, ovvero all'esito infruttuoso di procedure esecutive esperibili, in presenza delle condizioni specifiche fissate normativamente, anche nei confronti di altri soggetti.
Il diritto di rivalsa in esame ha natura “speciale” e va comunque interpretato alla luce dei principi generali del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto.
La rivalsa a seguito di accertamento si differenzia da quella ordinariamente prevista in quanto ha carattere facoltativo, si colloca temporalmente in epoca successiva all'effettuazione dell'operazione e presuppone l'avvenuto versamento definitivo della maggiore Iva accertata da parte del cedente/prestatore.
Affinché la neutralità sia effettivamente ripristinabile, con la circolare n. 35/E del 2013, è stato chiarito che il diritto di rivalsa è ammesso a condizione che l’accertamento abbia consentito l’individuazione esatta della società cessionaria e la riferibilità dell’IVA accertata alle operazioni di cessione effettuate.
Va però rilevato che anche in presenza di tutte le condizioni necessarie a rendere il diritto potenzialmente esistente (definitività dell’accertamento, effettuazione dei versamenti dovuti, individuazione del cessionario e riferibilità dell’IVA alle operazioni), la rivalsa, pur astrattamente configurabile, potrebbe non essere più esercitabile.
Ciò peraltro è stato più volte chiarito dalla prassi (cfr. circolare n. 35/E del 2013, risposte ad interpelli n. 84 del 26 novembre 2018, n. 531 del 26 novembre 2019, n. 176 del 31 maggio 2019): " anche in presenza di tutte le condizioni necessarie a rendere il diritto potenzialmente esistente ..., la rivalsa operata ai sensi dell'articolo 60 ha natura di istituto privatistico, inerendo non al rapporto tributario ma ai rapporti interni fra i contribuenti" (risposta n. 84) e, quindi, "(...) in caso di mancato pagamento dell'Iva da parte del cessionario o committente, l'unica possibilità consentita al fornitore per il recupero dell'Iva pagata all'Erario, addebitata in rivalsa e non incassata, è quella di adire l'ordinaria giurisdizione civilistica, non potendosi invocare altri istituti contemplati dalla disciplina Iva (nel caso specifico la nota di variazione in diminuzione ai sensi dell'articolo 26, commi 2 e 3 del decreto in materia IVA)" (risposta n. 531 del 2019).
Come già detto, l'operatività dell'articolo 60, settimo comma, del DPR 633/72 presuppone la definizione dell'accertamento ed il pagamento dell'imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. La circolare n. 35/E del 2013 chiarisce che si tratta di quanto dovuto sulla base di un accertamento resosi definitivo attraverso uno degli istituti sotto elencati:
- accertamento con adesione, di cui agli articoli 6 e seguenti del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218;
- adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio di cui ai commi 1bis e seguenti, dell’articolo 5 del d.lgs. n. 218 del 1997;
- adesione ai processi verbali di constatazione di cui all’articolo 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997;
- acquiescenza di cui all’articolo 15 del d.lgs. n. 218 del 1997;
- conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48 del d.lgs. n. 546 del 1992;
- mediazione di cui all’articolo 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546;
o, per mancata impugnazione dell’atto di accertamento nei termini previsti dalla legge, ovvero, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza, nell’ipotesi di contestazione, in sede giudiziale, della pretesa dell’amministrazione finanziaria.
Non è, invece, consentita la rivalsa, né l’esercizio del diritto alla detrazione, dell’imposta o della maggiore imposta versata a seguito di atti non divenuti definitivi.
4) Adempimenti per l’esercizio della rivalsa e della detrazione
Al fine di esercitare il diritto alla rivalsa dell’IVA pagata a titolo definitivo in sede di accertamento il cedente/prestatore dovrà emettere una fattura (o una nota di variazione in aumento di cui all’articolo 26, primo comma del DPR n. 633 del 1972), con le indicazioni previste dall’articolo 21 ovvero con i dati semplificati di cui al successivo articolo 21-bis, (richiamando altresì, laddove emessa/e, la/e fattura/e originaria/e), e con gli estremi identificativi dell’atto di accertamento che costituisce titolo alla rivalsa. Il documento andrà annotato nel registro di cui all’articolo 23 del DPR n. 633 del 1972 solo per memoria, perché l’imposta recuperata a titolo di rivalsa non dovrà partecipare alla liquidazione periodica, né essere indicata in una posta a debito nella dichiarazione annuale.
Il diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente è, invece subordinato, ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del DPR n. 633 del 1972, all'avvenuto pagamento dell'IVA accertata addebitata in via di rivalsa, mediante annotazione del documento integrativo nel registro di cui all’articolo 25 del DPR n. 633 del 1972.
La norma non prevede particolari oneri a carico del cessionario/committente in ordine al riscontro dell’avvenuto versamento all’Erario dell’imposta oggetto di accertamento, pertanto questi è tenuto solo all’osservanza degli ordinari doveri di diligenza e cautela in ordine alla verifica della correttezza e regolarità della fattura (o della nota di variazione in aumento) emessa da parte del cedente/prestatore.
Con riguardo agli adempimenti formali prodromici all’esercizio del diritto alla detrazione, sebbene l’articolo 60, settimo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 non preveda specifici oneri, come precisato dalla circolare n. 35/E del 2013, si ritiene che il contribuente possa predisporre un documento (al quale allegare per completezza l’atto di accertamento e l’attestato di versamento), da registrare ai sensi dell’articolo 25 del DPR n. 633 del 1972, dal quale si evinca l'ammontare dell'imposta versata a seguito di accertamento, nonché il titolo giustificativo della detrazione d’imposta (art. 60, settimo comma del DPR n. 633 del 1972, estremi identificativi dell’accertamento).
Tale documento non andrà annotato nel registro di cui all'art. 23 del DPR n. 633 del 1972 e, dunque, non concorrerà alla determinazione dell'Iva dovuta sulle operazioni attive in fase di liquidazione periodica o di dichiarazione annuale.