L’Equity Crowdfunding consiste nell’offerta online ad un Gruppo di persone, di azioni o quote di una società privata.
Una differenza rilevante tra questa tipologia ed il Crowdfunding "classico" è rappresentata dal fatto che chi partecipa all’iniziativa diventa socio effettivo dell’attività imprenditoriale ed è, quindi, possibile perdere l’intero capitale investito. Nella maggioranza dei casi registrati a livello internazionale e nazionale il settore è assoggettato ad una precisa regolamentazione da parte delle autorità di controllo competenti.
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1) L'equity Crowfounding
Lo strumento consente ad un ampio gruppo di investitori di finanziare Startup e PMI ricevendo come contropartita una partecipazione al capitale.
Se l’azienda diventa redditizia aumenterà il suo valore intrinseco e conseguentemente si registrerà un apprezzamento della partecipazione dell’investitore.
Per proporre un’operazione di Equity-Crowdfunding è necessario che:
- la raccolta di capitali online rispetti in Italia il regolamento sulla raccolta di capitali di rischio della Consob, l’Autorità italiana per la vigilanza dei mercati finanziari. Pertanto, ogni raccolta di capitali aperta al pubblico, viene formalizzata online secondo il regolamento che prevede diverse tutele per gli investitor;
- il business plan e financial plan siano redatti in conformità con le best practice del mercato. Ogni progetto viene attentamente vagliato. La verifica comprende anche i requisiti di onorabilità e professionalità dell’Offerente, per consegnare agli investitori un investimento il più sicuro possibile;
- l’operazione venga canalizzata attraverso una società veicolo creata ad hoc per il progetto di investimento. Un veicolo tutela al meglio sia gli investitori che gli imprenditori poiché, mantenendo separati e distinti i patrimoni, si eviterà confusione tra gli stessi;
- il gestore del portale trasmetta l’ordine di adesione dell’investimento ad un Intermediario che provvede a perfezionare la sottoscrizione degli strumenti finanziari in un conto segregato a favore dell’Offerente;
- affinché la raccolta di capitali online possa essere conclusa positivamente è necessario che un investitore professionale sottoscriva almeno il 5% dell’offerta complessiva. La condizione è stata prevista per tutelare la posizione degli investitori privati meno esperti.
- lo statuto della società deve contenere alcune clausole statutarie specifiche che saranno oggetto di controllo da parte del gestore al momento della richiesta di ammissione del progetto.
2) Lo statuto della società: quali clausole inserire
In quest’articolo ci soffermeremo brevemente sulle clausole tipo di una società veicolo per un’operazione di crowdfunding.
Innanzitutto, dobbiamo ricordare che il legislatore ha ampliato notevolmente la platea dei soggetti che possono accedere all’Equity crowdfunding. Infatti, precedentemente lo strumento era accessibile esclusivamente alle PMI innovative, le quali, come noto, hanno particolari requisiti costitutivi, tuttavia, con la novella apportata dalla legge di stabilità 2017 ( cfr. n. 232/2016), d.l. n. 50/2017 ed infine d.lgs. n. 129/2017, l’accesso è stato esteso a tutte le PMI come definite dal regolamento UE n. 1129/2017. Trattasi di società che abbiano almeno due dei seguenti requisiti: numero medio dipendenti nel corso dell’esercizio inferiore a 250, totale stato patrimoniale inferiore a 43 mln. di euro e fatturato netto annuale non superiore a 50 mln. di euro.
Passando alle clausole statutarie tipiche dello statuto di una società che lancia un’operazione di crowdfunding, ci preme evidenziare che sono riconducibili a due tipologie:
- Clausole che tutelano il gruppo di controllo e la governance della società da eccessive ingerenze nella gestione della società da parte dei nuovi sottoscrittori
- Clausole che tutelano la posizione degli investitori privati
Le clausole sub a) si sostanziano nella creazione di differenti tipi di categorie di quote, ciascuna con differenti tipi di partecipazione agli utili e/o limitazioni più o meno stringenti del diritto di voto. Ad esempio, si potrebbe strutturare un’operazione dove il gruppo fondatore della società acquisisca delle quote denominate con la lettera “A”, che hanno pieni poteri: di nomina e revoca degli amministratori, partecipazione piena agli utili, diritto di ispezione dei registri sociali etc.; creare poi delle quote “B” dedicate alla società di venture capital senza alcuna sostanziale limitazione se non quella del potere di revoca degli amministratori; infine, delle quote “C” destinate ad una operazione di Equity Crowdfunding con limitazione della partecipazione agli utili e con esclusione del diritto al voto. Come noto, tale possibilità è stata positivizzata nel nostro ordinamento per effetto delle modifiche apportate dal Decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito in Legge 21 giugno 2017, n. 96, (Legge di Bilancio del 2017), che ha esteso a tutte le PMI, e non solo alle società innovative e start-up, la possibilità di emettere quote societarie con esclusione del diritto di voto ovvero dotate di voto plurimo superando il principio del one share one vote. Le recenti modifiche normative sono utilizzate di frequente nella strutturazione della governance delle società che ricorrono all’Equity crowdfunding in quanto consentono di acquisire liquidità aggiuntiva senza rinunciare al controllo societario.
Per quanto concerne le clausole sub b) interessano la “compliance” al disposto di cui all’art 24 del Regolamento Consob in tema di crowdfunding, il quale al fine di garantire la posizione degli investitori privati prevede l’obbligatorio inserimento nello statuto di talune clausole nonché il rispetto di precise condizioni per l’offerta.
Nello specifico, il gestore della piattaforma deve verificare la presenza di clausole statutarie che assicurino meccanismi di exit tramite l’utilizzo del recesso convenzionale ovvero della co-vendita a favore dei soci di minoranza, nell’ipotesi in cui i soci di maggioranza cedano direttamente o indirettamente a terzi le loro quote. La differenza sostanziale nella scelta tra recesso convenzionale e clausole di co-vendita consiste nella regolamentazione normativa dell’istituto del recesso, disciplinato dall’art. 2473 c.c., laddove, invece, l’istituto della co-vendita, di derivazione anglosassone, seppure ammissibile in relazione all’autonomia negoziale statutaria, lascerebbe maggiori e più incerti margini interpretativi, specie se non compiutamente regolamentato a livello statutario.