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RITENUTE PER LAVORATORE AUTONOMO NON RESIDENTE

Ritenute per lavoratore autonomo non residente

Tassazione dei redditi per attività di professionisti non residenti in Italia: come funziona

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L’art 23 del TUIR afferma che i redditi di lavoro autonomo sono imponibili in Italia solo se l’attività è esercitata nel territorio dello Stato Italiano: in caso contrario tali redditi non sono soggetti a tassazione nel nostro paese.

L’attività però potrebbe essere esercitata in parte in Italia e in parte all’estero: necessario quindi avere un criterio per ripartire il compenso nazionale da quello estero.

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1) Prestazioni in Italia da parte di professionisti esteri: regime di tassazione

Nella valutazione della modalità di tassazione del professionista non residente è necessario prendere in considerazione diversi elementi.

In un ipotetico percorso per definire la corretta tassazione, cercando di non tralasciare elementi rilevanti, ci viene in soccorso la risoluzione n 429 del 25 ottobre 2019.

Il caso è quello di un professionista italiano che ha trasferito la propria residenza Svizzera, dove dimora abitualmente con la moglie ed i due figli; iscrivendosi all'AIRE.

Il professionista si reca in Italia per svolgere la sua attività di ortopedico, con la partita IVA italiana, nei confronti di clienti privati, di diversi centri medici e che i suoi compensi professionali sono interamente prodotti in Italia, non esercitando in Svizzera alcun tipo di attività.

Ciò posto, chiede quale sia il corretto trattamento fiscale del reddito prodotto in Italia soprattutto alla luce della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra i due paesi.

L’Agenzia nella sua riposta anzitutto proporne una riflessione sul concetto di residenza: l'articolo 2, comma 2, del TUIR, ci ricorda che si considerano residenti "le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile".

I tre requisiti secondo prassi dell’Agenzia dell’Entrate (CM 304/1997) sono alternativi e non concorrenti: ne consegue che è sufficiente che si verifichi uno solo di essi, affinché il soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia.

Il domicilio è il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi; mentre la residenza è il luogo in cui una persona ha la dimora abituale.

Autorevole dottrina ha osservato che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’Aire non è elemento determinante per escludere che il soggetto sia fiscalmente residente in Italia: se il soggetto ha stabilito il domicilio o la residenza in Italia lo stesso è fiscalmente residente nel nostro paese indipendentemente dall’iscrizione AIRE.

Secondo prassi dell’Amministrazione Finanziaria si considera fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo qui la propria attività, mantenga il “centro dei propri interessi familiari e sociali” in Italia (ad esempio, se la famiglia del soggetto ha la dimora in Italia C.M. 26 gennaio 2001 n. 9/E) e ancora con la risoluzione n. 351 del 7 agosto 2008, ha precisato che deve essere considerato fiscalmente residente in Italia il soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero per motivi di lavoro ( ad esempio, nel caso di un lavoratore autonomo il quale presti la propria attività indipendente all’estero per un certo periodo di tempo) mantiene in Italia i propri legami familiari o il centro dei propri interessi patrimoniali e sociali.

Ulteriormente la giurisprudenza quando afferma che ai fini della determinazione del luogo di domicilio occorre che esista la volontà della persona di stabilire in un dato luogo il centro delle proprie relazioni familiari, sociali ed economiche (Corte di Cassazione, 22 maggio 1963, n. 1342).

Si rileva come spesso il problema della residenza non si ponga, essendo all’estero, ma rimanga da indagare il domicilio inteso in senso ampio, comprensivo quindi non solo di rapporti di natura patrimoniale, economica, ma anche morali, sociali e familiari.

Nel caso in esame un ulteriore elemento di analisi, deriva dal fatto che la Svizzera fa ancora parte dell’elenco di cui al D.M 4 maggio 1999 relativo agli Stati aventi un regime fiscale privilegiato e che, ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, del T.U.I.R., si considerano comunque residenti in Italia, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato.

Quindi la cancellazione dall’anagrafe non è sufficiente in quanto se il contribuente non riesce a fornire prova contraria circa la sua effettiva residenza in Svizzera lo stesso è comunque fiscalmente residente in Italia.

Tuttavia, se dimostra la sua effettiva residenza in Svizzera, potrà essere assoggettato a tassazione in Italia in qualità di soggetto non residente sulla base dei soli redditi prodotti in Italia (come da articolo 23 citato in calce).

Il secondo elemento di riflessione proposto dall’Agenzia è quello sul coordinamento della normativa italiana con le convenzioni contro le doppie imposizioni.

L’articolo 75 del DPR 600/73, infatti, ci ricorda che nell’applicazione delle norme relative alle imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia: è necessario dunque confrontarsi con le previsioni delle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Va ulteriormente fatto presente che in mancanza di Convenzione il reddito del lavoratore autonomo fiscalmente residente in Italia, anche se svolto all’estero, è sempre tassato nel nostro paese, senza alcuna necessità di indagine.

La norma convenzionale OCSE, che tratta generalmente i professionisti all’articolo 14, si può provare a riassumere nel seguente modo: la discriminante per individuare il paese di tassazione è la presenza o meno di una base fissa per l’esercizio delle sue attività nello Stato diverso da quello di residenza, in altre parole un centro di attività di carattere fisso o permanente.

Infatti, in presenza dello svolgimento dell’attività professionale in Italia attraverso una base fissa, il reddito derivante da tale attività è soggetto a tassazione in Italia e, nell’ipotesi in cui tale reddito sia erogato da un sostituto d’imposta, quest’ultimo in fase di pagamento dovrà effettuare una ritenuta d’acconto, nella misura del 20%, prevista dall’art. 25, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973.

Nello specifico caso oggetto di interpello dunque, la presenza della base fissa in Italia del professionista con residenza fiscale in Svizzera permette anche allo Stato della fonte (Italia) di tassare i redditi attribuibili a tale base fissa.

Viene infine ricordato che la doppia imposizione subita potrà essere eliminata attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta nello Stato di residenza del contribuente.

L’Agenzia, con questa risposta, ribadisce quindi quanto già espresso con la risoluzione n 154 del 2009 ovvero che il rinvio al comma 1 dell’articolo 25 conferma la volontà di escludere, per i soggetti non residenti che rendono in Italia prestazioni di servizi per il tramite di una base fissa nello Stato, l’applicazione della ritenuta a titolo definitivo ex art. 25, comma 2, del citato DPR.

Tale comma 2, stabilisce che “se i compensi e le altre somme sono corrisposte a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese”.

Ciò in quanto, una volta accertata la sussistenza di un collegamento stabile tra l’esercizio dell’attività professionale e il territorio italiano, la modalità di tassazione dell’imponibile è demandata alla legislazione domestica. Più precisamente, la presenza di una base fissa indica che l’operatore straniero ha raggiunto un livello di penetrazione economica nel territorio tale da renderlo equiparabile ad un professionista residente. D’altronde, la previsione della ritenuta a titolo di imposta e quindi definitiva ex art. 25, comma 2 del DPR 600/73 deriva dall’esigenza di evitare che soggetti non residenti che operano nel territorio italiano possano sottrarsi alla potestà impositiva nazionale.

Tale finalità non ha ragion d’essere nei confronti delle società che operano in Italia con una sede operativa radicata nel territorio e soggetta agli adempimenti fiscali previsti dalla normativa italiana.

Non si vuole nel presente contributo entrare nella diatriba dottrinale sulla definizione di base fissa e sulla sua assimilazione al concetto di stabile organizzazione e ovviamente non si vuole trascurare il fatto che l’articolo 14 OCSE sia stato abrogato, facendo rientrare i redditi da lavoro autonomo nell’articolo 7 (utili di impresa) del commentario OCSE. Tuttavia, si preferisce fare riferimento a prassi dell’Agenzia delle Entrate (risoluzione n.154/2009 citata) che ha chiarito che il termine stabile organizzazione (tipizzato nel nostro ordinamento articolo 162 del TUIR) si riferisce esclusivamente ad attività di natura imprenditoriale, mentre la “base fissa” indica un autonomo centro di imputazione di interessi giuridico-tributari per lo svolgimento di attività di lavoro autonomo.

STEABILE ORGANIZZAZIONE

BASE FISSA

Attività di natura imprenditoriale

Attività di lavoro autonomo

2) Adempimenti del committente italiano in caso di professionista estero in Italia

Il sostituto d’imposta prima del pagamento, dovrà adottare una corretta procedura per l’applicazione delle convezioni contro le doppie imposizioni al fine di evitare contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Il primo passaggio è inquadrare correttamente il rapporto che si instaura con il soggetto non residente, al fine di verificare se il tipo di reddito corrispondente al rapporto è considerato tassabile oppure no dalla convenzione stipulata con lo Stato in cui risiede il soggetto che viene pagato.

E’ ovviamente consigliato se non addirittura necessario riferirsi al testo in vigore della Convenzione, senza dare per scontato l’esistenza delle condizioni standard: le convenzioni ricalcano, nella maggior parte dei casi, il modello OCSE, ma questo è stato modificato più volte e non ha comunque carattere obbligatorio, rimanendo liberi gli stati di accordarsi sulla base delle reciproche volontà.

Dovrà chiaramente essere letto attentamente il testo della convenzione che si intende applicare, accertando in particolare se essa preveda la non tassazione di quel determinato reddito prodotto in Italia dal soggetto non residente. Se così non è la tassazione dovrà avvenire secondo le regole generali.

Accertate le condizioni dell’esenzione, occorrerà acquisire la documentazione che attesti la loro sussistenza: sicuramente utile è una dichiarazione rilasciata dal beneficiario effettivo dei redditi, dalla quale deve risultare

  • il luogo di effettuazione della prestazione se in Italia o all’estero (in caso contrario come è noto scatta la presunzione di territorialità sul territorio italiano);
  • attestazione relativa all’inesistenza di una stabile organizzazione sul territorio dello Stato italiano.

Si tratta quindi di una richiesta di applicazione della convenzione, con la dichiarazione dell’interessato che sussistono le condizioni previste.

Tale dichiarazione non è tuttavia ritenuta sufficiente dall’amministrazione finanziaria per attestare la residenza nello Stato estero: a questo fine l’Agenzia delle Entrate richiede l’acquisizione di un certificato che provenga dalle autorità amministrative dello Stato di residenza e che documenti il possesso della qualità di residente (in pratica una certificazione rilasciata dall’ufficio imposte nel luogo di residenza del lavoratore autonomo dalla quale risulti che il percettore è fiscalmente tassato nello stato estero dove presenta le dichiarazioni dei redditi).

In questo senso si è espressa prassi dell’Agenzia delle Entrate (Risoluzione 59/2000 e Risoluzione 68/2000) e quindi evidenziando come l’applicazione diretta della convenzione da parte del sostituto è una facoltà e che “nel caso in cui il sostituto intenda attenervisi è fatto obbligo al medesimo di acquisire, dai beneficiari del reddito, la documentazione atta a dimostrare l’effettivo possesso dei requisiti previsti negli accordi”.

L’applicazione della convenzione è quindi una facoltà da parte del sostituto d’imposta il quale potrebbe non voler assumersi la responsabilità di accertare i requisiti e quindi applicare la ritenuta.

Al professionista non rimarrebbe altro da fare se non presentare istanza di rimborso, della ritenuta subita, allo Stato italiano entro 48 mesi, qualora si configurassero le condizioni di tassazione soltanto all’estero.

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