I temi dell’elusione e dell’abuso del diritto sono da sempre oggetto di dibattito e di incertezza. I primi interventi legislativi si limitavano a prevedere elenchi specifici di operazioni da vietare e sanzionare, senza fornire una corretta definizione di tutte le altre fattispecie che dovevano essere individuate dai giudici tributari, ciò causando carenze a livello interpretativo.
1) L’origine delle norme antielusive
La prima struttura della disciplina antielusione, rinvenibile nell’art. 10 della L. n. 408/1990, è risultata da subito priva di un vero e proprio carattere di generalità, a causa del fatto che si limitava a precise operazioni e non alla totalità dei possibili comportamenti dei contribuenti.
Proseguendo su questo orientamento, anche l’emanazione dell’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, in vigore dal Gennaio 2008 e attualmente abrogato, pur ampliando i concetti previsti nella vecchia normativa, si è rivelata un ulteriore fallimento. Si è infatti rilevato come l’emanazione di una norma di carattere generale, data dall'art. 37-bis, abbia reso difficile distinguere, proprio per tale generalità, le situazioni da assoggettare alla disposizione stessa rispetto a quelle che necessitavano di un diverso trattamento. È fallito, inoltre, anche il tentativo di ovviare al problema tramite una serie di deroghe, eccezioni e specificazioni, che si sono trasformate in un mero elenco di casistiche.
Oltretutto, la precedente disciplina sembrava dare ai giudici e al Fisco il potere di rimodellare parti del sistema tributario, ritenendo l'articolo applicabile quasi d'ufficio in ogni stato e grado del processo, dando luogo alle così dette sentenze a sorpresa. I principali motivi che hanno spinto ad un riassetto della normativa derivavano, pertanto, dalla discrezionalità interpretativa, da una oggettiva carenza della legislazione e mancanza di coordinamento fra norme, contraddizioni e dubbi del diritto.
2) L’art. 10-bis
Un punto di svolta è stato raggiunto con la Legge Delega n. 23 del 2014, tramite cui si è tentato di porre un ulteriore freno ai fenomeni abusivi, unificando i concetti di elusione e abuso del diritto in un unico principio poiché entrambi lesivi dei principi costituzionali.
Per tali motivi, a seguito della Legge Delega il Governo è stato impegnato, fra l'altro, ad intervenire sul concetto di abuso del diritto, assicurando una maggiore certezza del diritto tramite la codificazione del principio di abuso, il quale ha assorbito il concetto di elusione e elaborato una serie di garanzie per il contribuente.
Elusione fiscale e abuso del diritto diventano, così, fenomeni giuridici equivalenti, assumendo come principio generale il divieto di abuso (o di elusione), l'inopponibilità all'Amministrazione finanziaria degli effetti di operazioni elusive (o abusive) e la determinazione dei tributi sulla base dell'applicazione delle norme eluse, tenendo conto dell’imposta versata per effetto di tali operazioni.
Con l’emanazione del Decreto Legislativo n. 128 del 15 agosto 2015, è stata conferita una maggiore chiarezza della fattispecie, allontanandosi dal precedente orientamento che associava elusione ed evasione, abrogando l’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973 e introducendo la disciplina dell’abuso del diritto nel nuovo art. 10-bis nello Statuto dei contribuenti1. L’inserimento della disposizione all’interno dello Statuto è direttamente rivolto a porre una maggiore garanzia nei confronti dei contribuenti, grazie al fatto che tale disposizione vieta la retroattività delle norme tributarie e stabilisce che le disposizioni dello Statuto del contribuente costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, i quali possono essere derogati o modificati solo espressamente.
1. Legge 27 luglio 2000, n. 212
3) Sviluppi recenti
Tali disposizioni trovano infine ulteriore conferma nelle più recenti modifiche apportate allo Statuto dei contribuenti, per ultime dal D.L. n. 34 del 30 aprile 2019, convertito con modificazioni dalla Legge n. 58/2019, che ne hanno convalidato principi e dettati.
Secondo la definizione rinvenibile nell’art. 10-bis, l’abuso del diritto si configura in tutti i casi in cui il contribuente ottenga dei vantaggi indebiti tramite operazioni prive di sostanza economica e senza valide ragioni extrafiscali. Di particolare rilievo per l’individuazione di questi ultimi è stata la sentenza n. 40272 del 2015, con cui la Cassazione ha sostenuto che tali ragioni esistano solo quando l’operazione non si sarebbe compiuta in loro assenza 2.
Pertanto, affinché l’operazione possa configurarsi come abusiva, è necessario che si verifichino contemporaneamente una pluralità di presupposti, in assenza anche di uno dei quali, l’operazione non può essere considerata tale.
Detti presupposti sono:
- operazioni prive di sostanza economica: consistenti nei fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi da quelli fiscali;
- vantaggi fiscali indebiti: dati dai benefici, anche non immediati, contrastanti con le norme tributarie o con i principi dell’ordinamento tributario;
- assenza di valide ragioni extrafiscali: in cui manca uno scopo essenziale diverso rispetto a quello del vantaggio tributario, che il contribuente deve argomentare ai sensi del comma 9.
Confermando quanto previsto dall’art. 10-bis, con il D.L. n. 34/2019 si è pertanto ulteriormente chiarito che i vantaggi fiscali sono indebiti ogniqualvolta si realizzino in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario, precisando inoltre che la fattispecie dell’abuso è integrata esclusivamente se si realizza un vantaggio non voluto dal legislatore, ottenuto attraverso un comportamento che, pur non violando direttamente l’obbligo o il divieto, riesce ad aggirarlo.
2. Cfr. Cass., Sez. III pen., 1ottobre 2015, n. 40272. L’elaborazione del concetto di valide ragioni extrafiscali trae spunto dal contenuto della Raccomandazione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva, in cui, al punto 4.6, si precisa che uno scopo si definisce essenziale quando qualunque altro obiettivo che si potrebbe raggiungere dalla stessa operazione è considerato come irrilevante.
4) La nuova definizione di abuso
La nuova disciplina, coordinandosi con una serie di interventi sulla pianificazione fiscale aggressiva3 ha definito la condotta abusiva come l’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, trovando così immediata e piena applicazione a tutti i tributi, ad eccezione dei dazi doganali4. Viene inoltre ribadita la stretta connessione con i principi costituzionali di capacità contributiva e progressività, più volte richiamati dalla Corte di Cassazione5.
Pur restando valida la garanzia di autonomia contrattuale, secondo cui il contribuente può decidere di condurre i propri affari scegliendo tra diverse operazioni6 anche con diverso carico fiscale, sono stati delineati i limiti tra la suddetta garanzia e i divieti. Pertanto, anche se indirettamente, è possibile affermare che l’abuso del diritto si configura in tutte quelle operazioni in cui il vantaggio fiscale non solo è il motivo esclusivo, ma anche prevalente o comunque principale rispetto alla sostanza dell’operazione.
Questa impostazione si distanzia da quanto previsto dal precedente assetto normativo, in cui si utilizzava l’aggettivo economiche per determinare le valide ragioni, concentrandosi invece sul concetto di valide ragioni extrafiscali non marginali che diventano, pertanto, l’elemento essenziale per distinguere le operazioni abusive da quelle lecite, in cui il motivo della loro realizzazione è prevalente rispetto al mero vantaggio tributario.
Nonostante siano stati forniti i criteri per una più puntuale definizione dell’abuso del diritto, si riconferma il fondamentale ruolo ricoperto dall’interprete, al quale spetta l’onere di dover effettuare un’attenta analisi sugli elementi legati all’indebito risparmio d’imposta, alle valide ragioni economiche, all’uso distorto di strumenti giuridici e all’artificiosità del comportamento del contribuente.
3. Raccomandazione n. 772/2012 della Commissione Europea.
4.Per i quali è esclusa l’applicazione dei commi da 5 a 11 sul profilo procedimentale, che resta soggetto a diversa disciplina
5.Art. 53 Cost.: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
6. Art. 1322 del codice civile.
5) Individuazione dei comportamenti abusivi
Per individuare il comportamento abusivo è necessario effettuare una duplice indagine e capire se l’atto, singolo o nell’insieme, conduce a vantaggi extrafiscali non marginali per il contribuente. In difetto, tali operazioni avranno lo scopo esclusivo di mirare al vantaggio tributario.
La caratteristica delle operazioni abusive è la non coerenza della singola operazione con la sostanza giuridica dell’insieme e la non conformità dell’utilizzo di tali strumenti alle normali logiche di mercato, tali da portare a vantaggi fiscali in contrasto con l’obiettivo della norma o dell’ordinamento giuridico.
Si possono pertanto individuare due categorie:
- La prima, quella prevalente, è caratterizzata dall’utilizzo di operazioni insolite, o inutilmente complesse e articolate, ma fiscalmente più vantaggiose rispetto ai tipici percorsi intrapresi dai contribuenti che però hanno maggiore carico tributario. In tali ipotesi, si procede confrontando l’operazione posta in essere e quella che il contribuente avrebbe potuto, normalmente, attuare per raggiungere lo stesso obiettivo economico ma con un maggiore onere fiscale.
- La seconda categoria riguarda le operazioni per le quali è esplicitamente previsto l’ottenimento di un vantaggio fiscale, ma che sono in contrasto con la funzione tipica degli istituti giuridici in cui rientrano. In questi casi, di cui fanno parte le norme che consentono di dedurre costi o passività dall’imponibile, non è necessario alcun confronto con un’operazione alternativa ma occorre accertare che l’ottenimento del vantaggio tributario è in contrasto con la norma e la sua ratio.