I concetti di crisi finanziaria, crisi economica, o più semplicemente “la crisi”, da sempre oggetto di argomentazione a scopo politico, hanno recentemente assunto un ruolo centrale anche in contesti di vario livello e struttura.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, si è recentemente aggiunto il grave status economico-finanziario sofferto su scala mondiale a causa della Pandemia da Covid-19.
L’attuale scenario richiede una soluzione più immediata, data dall’attivazione di nuovi strumenti di contenimento della crisi economica, di assistenza alle attività imprenditoriali e supporto alle famiglie. In tal senso, il Governo ha prontamente reagito con l’attuazione di nuovi interventi con applicazione immediata, tra i quali la sospensione dei versamenti erariali e l’attivazione di prestiti agevolati, che pur non fornendo la soluzione definitiva, costituiscono certamente un forte segnale.
La risposta potrebbe venire anche da strumenti già esistenti e pienamente attivi nel nostro ordinamento come la possibilità per i contribuenti di commercializzare i propri crediti d’imposta, che seppur istituito per altro scopo e natura, ha un intrinseco potenziale.
1) Quadro normativo
L’istituto della cessione dei crediti d’imposta è rinvenibile in una pluralità di riferimenti normativi, primi fra tutti gli artt. 69 e 70 del Regio Decreto n. 2440/1923, i quali intervengono sui tempi e modalità di gestione delle somme dovute dallo Stato ai contribuenti, relativamente ai casi di cessione, delegazione, costituzione di pegno, pignoramenti, sequestri e opposizioni.
Sul prosieguo, si evidenzia che l’art. 43-bis del DPR 602/73, in vigore dal 1° Luglio 1999, articolo denominato Cessione dei crediti d’imposta, estende l’applicabilità degli artt. 69 e 70 del R.D. 2440/1923 anche alle cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi.
Il secondo comma, dopo aver confermato l’applicabilità al contribuente delle disposizioni sul recupero delle somme erroneamente rimborsate (art. 43 del DPR 602/73), prevede che contribuente e cessionario siano parimenti responsabili fino a concorrenza delle somme indebitamente rimborsate, a condizione che l’Ufficio delle entrate abbia provveduto a notificare al cessionario l’atto per il recupero delle stesse.
Infine, l’art. 1 del D.M. n. 384/1997, c.d. Regolamento recante norme per la disciplina della cessione dei crediti d’imposta, stabilisce che è possibile cedere i crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi da parte delle persone fisiche, società di persone e soggetti equiparati, nonché dei soggetti passivi di cui all’art. 73 c.1 del TUIR, anche in caso di procedura fallimentare.
La cessione dei crediti d’imposta può avvenire inviando una comunicazione all’Agenzia delle entrate competente per territorio, tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio, indicando l’esatta entità delle somme cedute riferite alla totalità del credito proveniente dalla dichiarazione1. L’atto di cessione può, comunque, essere inefficace in taluni casi: 1) se nel momento della notifica è già stato emesso l’ordinativo di pagamento; 2) se è stata presentata richiesta per il rimborso mediante titoli di stato e al momento della notifica è già stato individuato l’elenco degli aventi diritto; 3) se risultano a carico del cedente eventuali iscrizioni a ruolo di tributi erariali.
Con la sentenza n. 12552 del 7 giugno 2016, la Corte di Cassazione ha chiarito che il primo divieto decade nel caso in cui la cessione del credito non sia oggetto specifico dell’atto, ma una conseguenza di operazioni straordinarie come la cessione d’azienda2.
Si cominciano pertanto a delineare in maniera più definita i confini e i parametri dell’istituto della cessione dei crediti d’imposta, che fino al 31 Dicembre 2019 erano circoscritti, in campo IVA, ai soli crediti provenienti da anni precedenti, considerati quasi certi poiché provenienti da dichiarazioni annuali.
2) Sviluppi recenti
Il più attuale e innovativo contributo, seppur indipendente dalla crisi da Covid-19, deriva da un recente provvedimento emanato con il Decreto Crescita3 e in vigore già dal 1° Gennaio 2020, attraverso cui è stata estesa la casistica della cessione dei crediti IVA anche a quelli infrannuali, derivanti da liquidazioni mensili o trimestrali. Per questi ultimi, il Decreto predispone che l’onere di dimostrare la sussistenza di tali crediti venga trasferito all’acquirente, insieme ai crediti stessi, manlevando pertanto la responsabilità in capo al contribuente principale che li ha generati.
Questo strumento, che a mio parere ha un ruolo prettamente legato al management aziendale, potrebbe essere ulteriormente ampliato e ratificato per far fronte alla richiesta di liquidità delle imprese nell’era del Covid-19.
Sembra opportuno domandarsi, pertanto, cosa succederebbe se le aziende riuscissero ad utilizzare in maniera più snella questo strumento, anche ai crediti diversi da IVA o IRES, per far fronte alla pressante richiesta di liquidità.
Volendo esemplificare in maniera semplicistica e non esaustiva la casistica della cessione dei crediti d’imposta, si supponga che l’azienda Alfa disponga di crediti IVA pari a euro 50 mila e abbia parimenti un fabbisogno di liquidità immediata pari a euro 80 mila (fornitori, stipendi, utenze e varie di gestione). Si supponga inoltre che l’azienda Beta disponga di un budget per l’operazione pari a euro 50 mila. Allo stato attuale della normativa, se le parti rispettano i requisiti previsti, è possibile procedere alla compravendita a titolo oneroso dei crediti d’imposta così che l’azienda Alfa ridurrebbe il proprio fabbisogno da euro 80 mila a euro 30 mila, abbattendolo in gran parte. Pur avendo ottenuto un considerevole abbattimento, l’azienda Alfa si troverebbe comunque costretta a ricorrere al capitale di debito; risorsa che, secondo una diffusa concezione, non viene concepita come fonte di finanziamento ma, bensì, come elemento di ulteriore squilibrio.
Alla luce di quanto finora esposto, potrebbe essere di utile associare alla disciplina di cui all’art. 43-bis, l’orientamento attuato con uno strumento, per certi versi insolito e alquanto estraneo alle dinamiche normative tributarie, dato dal modello di commercializzazione delle emissioni inquinanti introdotto con il protocollo di Kyoto del 2005. In uno spirito di etica sociale e ambientale, con il protocollo è stato previsto, tra gli altri, un particolare intervento dato dal modello di Emission Trading Europeo (c.d. EU ETS), attraverso cui sono stati definiti limiti e diritti alle emissioni di agenti inquinanti delle imprese degli stati aderenti, stabilendo per la prima volta l’opportunità per le stesse di cedere tali diritti ad altre aziende a titolo oneroso per vendita diretta o asta pubblica.
3) Possibile scenario
Cosa succederebbe, quindi, se tramite la fusione di questi due strumenti indipendenti si riuscisse a estendere la fattispecie della cessione dei crediti da tutti gli altri crediti tributari, concedendo anche una serie di incentivi alle aziende che acquistano, ampliandone l’applicabilità e snellendo le procedure?
Così facendo, ci si potrebbe prospettare il seguente scenario:
- Estensione dei crediti tributari cedibili: Iva annuale, Iva infrannuale (liquidazioni mensili o trimestrali), crediti per IRES e IRAP (attualmente limitata alla cessione infragruppo), crediti vari (es. crediti d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, formazione ecc), crediti per interventi di ammodernamento, ristrutturazione edilizia ed efficienza energetica;
- Asta pubblica: sia per persone fisiche che giuridiche, per tutte le categorie di crediti d’imposta;
- Incentivi per chi acquista: garanzia di non tassabilità del credito acquisito e riconoscimento del credito in maniera superiore rispetto al suo valore nominale (es. acquisto 1 ma ottengo 1,05);
- Oneri notarili: annullamento degli oneri o riconoscimento di tali oneri a titolo di ulteriori crediti d’imposta, anch’essi cedibili in fase di definizione dell’atto;
- Cessioni multiple: cedendo contemporaneamente, all’interno dello stesso atto e a condizione della loro esatta indicazione, una pluralità di crediti;
- Snellimento procedure: inoltro della richiesta tramite sezione dedicata nel portale Entratel/Fisconline o tramite consulente abilitato (commercialista, tributarista);
- Frammentazione del credito: per cedere solo una parte di esso oppure cederlo a più acquirenti4.
4) Conclusioni
Abbiamo evidenziato come lo strumento della cessione dei crediti d’imposta potrebbe rappresentare un interessante vantaggio per entrambe le parti contraenti. Se, da un lato, si potrebbe far fronte all’immediata necessità di liquidità tramite la cessione un credito in taluni casi ricorrente (basti pensare ad esempio alle attività ristorative che frequentemente si trovano crediti Iva derivanti dal fatto che acquistano con aliquota maggiore (22%) rispetto a quella applicata alle vendite (10%)), dall’altro, l’opportunità di acquistare crediti d’imposta, utilizzabili a compensazione sia verticale che orizzontale in maniera superiore rispetto al loro valore nominale, rappresenterebbe un’opportunità di indubbio interesse per l’acquirente.
Il tutto, senza sottovalutare il potenziale impatto indiretto dato dall’occhio sociale, cui potrebbero puntare le multinazionali o le aziende di maggiori dimensioni, ponendosi in una situazione di rilievo per aver partecipato al contenimento della crisi sostenendo imprese e contribuenti in genere, ciò rappresentando, così, uno strumento non soltanto legato alla sfera fiscale ma anche a quella manageriale d’impresa.
Le criticità e i limiti sono sicuramente tanti, e ancora di più sono le potenziali situazioni di abuso ed elusione, entrambe ormai riconducibili alla normativa antiabuso ex art. 10-bis dello Statuto dei contribuenti. In primo luogo si potrebbe pensare all’incertezza derivante dai crediti IVA infrannuale, e pertanto non ancora confermati, i quali potrebbero sorgere semplicemente posticipando la fatturazione in uscita, comportando la nascita di un credito Iva che in realtà, guardando alla competenza del periodo o all’intero esercizio, non esisterebbe. Per tali motivi, una prima misura di contenimento potrebbe certamente essere l’utilizzo di crediti già confermati e non ancora compensati, provenienti dagli esercizi passati, ma ciò escluderebbe tutta una categoria di imprese e attività neofite che, non avendo uno storico, non potrebbero usufruire di tale strumento. Quel che è certo è che, seppur la scelta di indebitamento tramite capitale di terzi non deve essere vista in maniera negativa, la quale richiede una certa pianificazione per mantenere stabile la leva finanziaria, la prospettiva di avere un’alternativa al capitale di debito è certamente un’opportunità da non sottovalutare.
In ultima analisi, l’iniziativa del Governo di riconoscere tali vantaggi (alternativa all’indebitamento per il venditore e riconoscimento di un credito superiore al valore nominale per il compratore) potrebbe rappresentare un tassello per ristabilire il rapporto di fiducia con i cittadini e le imprese, che in questo momento risulta più che mai compromesso.
5) Note
(1) Istanza di consulenza giuridica n. 1 del 17/01/2019 dell’Agenzia delle entrate.
(2) Tale pronuncia ha generato una interessante novità rispetto alla concezione di assoluto divieto fino a quel momento esistente, ma ci si domanda se tale invalidità del divieto valga anche nei casi di cessione di singolo ramo d’azienda. Se così fosse, infatti, i contribuenti si troverebbero legittimati, in teoria, a cedere un credito già alienato camuffando tale operazione come cessione di ramo d’azienda ed eludendo, pertanto, tale disposizione.
(3) Cfr art. 1 comma 1 Legge 28.6.2019 n. 58
(4) In merito alla cessione parziale del credito non si evidenzia un esplicito divieto, tanto che con la risoluzione n. 103/E del 2006 l’Agenzia delle Entrate ammette la cessione parziale della quota di credito Iva chiesto a rimborso ed erogato direttamente dall'ufficio competente.