Questo approfondimento vuole richiamare l’attenzione sulle limitazioni previste a carico delle imprese, per la gestione delle proprie attività, dalle decretazioni adottate in seguito all’emergenza generata dalla diffusione del Covid – 19 e infine degli accenni alle procedure e alle responsabilità verso i lavoratori in caso di riapertura.
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1) Il quadro normativo
Nel corso delle ultime settimane l’emergenza epidemiologica legata al virus COVID19 ha occupato le prime pagine dei giornali e l’agenda di tutte le istituzioni del nostro Paese.
La necessità di contenere la diffusione del cd. “Coronavirus” ha portato all’emanazione di numerosi provvedimenti, sia a livello Nazionale che Regionale e tale intensa produzione normativa ha generato spesso grande confusione in chi si è trovato a dover applicare e rispettare queste disposizioni.
Al fine di fare chiarezza, è opportuno richiamare brevemente tutti i provvedimenti recanti misure restrittive imposte alle attività economiche per fronteggiare la pandemia.
In particolare:
- il primo DPCM è stato emanato l’11.3.2020;
- il successivo 22.3.2020 è stato emanato il secondo DPCM;
- nelle more il Ministero della Salute ha emesso l’Ordinanza del 20.3.2020;
- il 2.4.2020 è stato pubblicato in G.U. il DPCM del 1.4.2020;
- ed in ultimo, ad oggi, il DPCM 10.4.2020;
- i provvedimenti dei vari governi regionali per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Ai precedenti provvedimenti deve essere aggiunto un ulteriore documento: il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14.3.2020, siglato tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni datoriali di lavoro, aggiornato il 24 aprile 2020 Protocollo condiviso di regolamentazione delle misureper il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro 24 aprile 2020.
2) Le limitazioni previste per le attività economiche
Le misure che hanno maggiormente impattato le aziende e le loro strutture organizzative possono essere così riassunte:
- La limitazione agli spostamenti e la sospensione di numerose attività commerciali e professionali, con il DPCM 11.3.2020, e successivamente di tutte le attività non essenziali o di pubblica utilità e non strategiche per lo Stato in virtù del DPCM 22.3.2020, così come prorogati dal DPCM 1.4.2020 e modificati dal DPCM 10.4.2020;
- Le linee guida per le misure anti-contagio contenute nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14.3.2020, siglato con le organizzazioni sindacali aggiornato il 24 aprile.
- La circolare INAIL n. 13 del 3.4.2020 con la quale sono state fornite indicazioni sulle prestazioni garantite dall’INAIL ai suoi assistiti in caso di infezione da Coronavirus di origine professionale;
- I provvedimenti dei vari governi regionali per fronteggiare la crisi pandemica sia a livello economico che sociale.
Dall’analisi delle fonti normative poc’anzi esposta, è evidente che il Governo abbia voluto tutelare il diritto alla salute dei singoli e dell’intera nazione limitando l’esercizio di impresa alle sole attività produttive reputate essenziali ed indispensabili per l’economica del Paese.
- E’ stato, quindi, stilato (all. A al DPCM 22.3.2020) un elenco tassativo di attività produttive che possono rimanere in funzione, individuate tramite i CODICI ATECO ex art. 1, co. 1, lett. a) DPCM 22.3.2020. Si tratta di un elenco suscettibile di essere ampliato o ristretto, durante il periodo di emergenza sanitaria, con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, sentito il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Tra le attività che rimangono in attività vi sono, ad esempio, quelle volte alla produzione agro-alimentare e medico-farmaceutica, nonché quelle volte alla fornitura di energia, le attività bancarie e finanziarie e quelle che erogano servizi di trasporto.
- Alle predette attività produttive, previste dalla lettera a) dell’art. 1, co. 1 DPCM 22.3.2020, si aggiungono quali attività consentite:
- quelle svolte da remoto (cd. smart-working) (ex art. 1, co. 1, lett. c) DPCM 22.3.2020);
- le attività che erogano servizi di pubblica utilità o essenziali ex L. 146/1990 (ex art. 1, co. 1, lett. d) DPCM 22.3.2020);
- nonché ogni altra attività funzionale a fronteggiare l’emergenza (ex art. 1, co. 1, lett. e) DPCM 22.3.2020).
- In linea generale, inoltre, è prevista la perdurante possibilità di svolgere (ex art. 1, co. 1, lett. g) DPCM 22.3.2020) anche le attività economiche che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere produttive richiamate nei codici ATECO compilato dal Governo, ma in tal caso è prevista la previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva.
Prima di svolgere tali attività, dunque, appare necessario avvisare l’Autorità prefettizia, la quale potrebbe sospendere l’esercizio laddove ritenga insussistenti le condizioni per la prosecuzione dell’impresa.
- Per lo svolgimento delle attività riguardanti gli impianti a ciclo produttivo continuo, quelle del settore aerospaziale e della difesa (ex art. 1, co. 1, lett. h) DPCM 22.3.2020), nonché quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale, è richiesta una specifica autorizzazione del Prefetto della provincia ove è situata l’attività produttiva.
- Quanto alle attività commerciali al dettaglio, di ristorazione o inerenti servizi alla persona è stabilita la sospensione in generale (DPCM 11.3.2020) salvo che per gli esercizi espressamente consentiti dagli stessi DPCM.
- Nessun obbligo di sospensione è, invece, previsto a livello nazionale, per le attività professionali (tra cui quelle legali e contabili), la cui prosecuzione è sottoposta ad alcune raccomandazioni:
- Attuazione del massimo utilizzo delle modalità di lavoro da remoto o agile (cd. Smart-working);
- Incentivazione delle ferie e dei congedi retribuiti per i dipendenti;
- Sospensione delle attività non indispensabili per l’attività economica;
- Assunzione di protocolli anti-contagio, qualora non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro;
- Incentivazione di operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro.
- Per tutte le attività rimaste in funzione, infine, è stabilita la necessità di rispettare i contenuti del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro”, sottoscritto il 14.3.2020 dal Governo e dalle parti sociali, che prevede uno specifico catalogo di misure di sicurezza applicabili nelle realtà aziendali per minimizzare i rischi di contagio.
3) Sanzioni penali per i datori di lavoro che violino le misure restrittive
La normativa emergenziale, attualmente in vigore, ad eccezione del reato previsto e disciplinato dall’art. 4, co. 6, D.L. 19/2020 “reato di violazione della quarantena obbligatoria”, non prevede specifiche sanzioni penali per i datori di lavoro che violino le misure restrittive imposte alle attività produttive.
Peraltro, la richiamata norma prevede unicamente l’applicazione di una sanzione amministrativa.
Relativamente alla posizione del datore di lavoro occorre evidenziare come la legge preveda una macro aree di rischio penale:
- Una legata agli illeciti contravvenzionali previsti dal D.Lgs. 81/2008 (cd. T.U. delle Leggi in materia di salute e sicurezza sul lavoro);
- Un’altra legata ai delitti contro la persona prevista e disciplinata dal codice penale e dalle leggi speciali.
- Le contravvenzioni previste dal D.Lgs. 81/2008 dispongono la responsabilità del datore di lavoro che ometta di:
- informare i lavoratori circa il pericolo esistente, le misure predisposte e i comportamenti da adottare (art. 55, co. 5, lett. a) D.Lgs. 81/2008);
- richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione (art. 55, co. 5, lett. c) D.Lgs. 81/2008);
- programmare gli interventi da attuare in caso di pericolo immediato richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione (art. 55, co. 5, lett. c) D.Lgs. 81/2008);
- fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale (art. 55, co. 5, lett. d) D.Lgs. 81/2008);
- nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria aziendale nei casi previsti dal Testo Unico (art. 55, co. 5, lett. d) D.Lgs. 81/2008);
- richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico (art. 55, co. 5, lett. e) D.Lgs. 81/2008);
- effettuare la valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione agli agenti biologici presenti nell’ambiente (art. 282, co. 1 e 2, lett. a) D.Lgs. 81/2008).
Valga in questa sede specificare che l’art. 42 del D.L. n. 18 del 17.3.2020 cd. Decreto Cura Italia ha classificato il contagio da Coronavirus di un lavoratore verificatosi nell’occasione come infortunio sul lavoro.
Il datore di lavoro dovrà, pertanto, procedere a valutare i rischi di contaggio da Coronavirus in azienda con il supporto, delle funzioni coinvolte, dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, ex art. 50 D.Lgs. 81/2008 e del Medico Competente ed aggiornare conseguentemente il DVR, come avremo modo di chiarire successivamente.
- Relativamente alle norme penali si richiamano:
- art. 452 c.p. in relazione all’art. 438 c.p., il quale dispone che chiunque per colpa (l’evento si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline) cagiona una epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, è punito con la reclusione da 3 a 12 anni (morte di più persone);
- artt. 589 e 590 c.p. i quali prevedono la punibilità delle lesioni personali lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fino alla possibilità dell’omicidio colposo in caso di decesso del lavoratore;
- art. 650 c.p. il quale prevede la punibilità per l’inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità e quindi di quanto disposto in relazione all’obbligo di quarantena, di chiusura forzata delle attività produttive o di quanto indicato nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro”;
- art. 260 R.D. 1265/1934 prevede la punibilità di chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo.
4) Le sanzioni per le società in caso di violazione delle misure restrittive
Qualora il contagio da Covid-19 si verifica all’interno di una impresa organizzata in forma societaria, quest’ultima potrebbe essere chiamata a rispondere del fatto, ex D.Lgs. 231/2001, ove il reato di lesioni colpose od omicidio colposo (artt. 589 e 590 c.p.) sia stato commesso:
- da soggetti che esercitano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione (ex. C.d.A., A.D., dirigenti o preposti) o siano da questi vigilati o controllati (lavoratori subordinati);
- se dalla commissione del fatto l’ente ha tratto o intendeva trarre un interesse/vantaggio, consistente in un’utilità (ex. profitto derivante dalla mancata chiusura dell’attività soggetta a sospensione in base ai DPCM) o un risparmio di spesa o di tempo (ex. risparmio da mancato acquisto di DPI o da non utilizzo di DPI per evitare un rallentamento della produzione).
Il rispetto degli adempimenti sopra previsti ai sensi del T.U. sicurezza e salute e la responsabilità per le conseguenze derivanti dalla loro mancata attuazione ricadono, in ultima istanza, sul datore di lavoro e sugli altri soggetti di volta in volta incaricati dalle norme. Sul punto si richiama anche l’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”[1].
Relativamente al nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro ed il verificarsi della diffusione del Coronavirus nei luoghi di lavoro, occorre tener presente che durante l’emergenza sanitaria il contatto sociale è stato notevolmente ridotto in vista del contenimento del contagio, sicché le uniche possibilità di reale contagio vengono fornite dal contesto lavorativo.
Dal punto di vista normativo si evidenzia come tutti i provvedimenti normativi[2] abbiano stabilito una presunzione semplice circa la natura professionale del contagio, al verificarsi di determinati presupposti.
La giurisprudenza penale abbraccia una rigorosa interpretazione in materia di reati colposi commessi in violazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, tendente a favorire la sussistenza del rapporto causale tra la condotta omissiva e l’evento di reato[3].
Ai fini della responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 occorre altresì che il reato, se accertato, sia stato commesso, come detto, nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Tuttavia, l’art. 6 D.Lgs. 231/2001 prevede che l’ente non risponde dei reati cd. presupposto commessi da soggetti responsabili di cui all’art. 5 del medesimo decreto se prova di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
5) Le strategie opportune
Come detto l’impresa ed il datore di lavoro ai fini dell’esimente della responsabilità penale per il contagio da Coronavirus di un proprio lavoratore, devono porre in essere opportuni accorgimenti[4] creando così un modello organizzativo che preveda la predisposizione e l’attuazione di questi presidi[5].
A titolo esemplificativo:
- informare i propri dipendenti[6] e chiunque entri in azienda sulle misure anti-contagio adottate, anche attraverso l’affissione di dépliant informativi all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali;
- disciplinare le modalità di accesso in azienda di dipendenti, eventualmente prevedendo il controllo della temperatura corporea, tenendo ben in considerazione il rispetto della vigente disciplina sulla privacy, escludendo, qualora fosse necessario, l’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al Covid-19;
- individuare procedure di ingresso, transito e uscita dei fornitori esterni, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici coinvolti;
- assicurare la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro, degli spogliatoi e delle aree comuni e di svago;
- dotare i dipendenti di dispositivi di protezione individuale e implementare le misure di precauzione igienica personale, mettendo a loro disposizione, ove l’organizzazione produttiva e lavorativa lo richieda, mascherine, guanti, occhiali, tute, cuffie, camici conformi alle prescrizioni delle autorità scientifiche e sanitarie, nonché idonei liquidi detergenti per le mani;
- contingentare l’accesso agli spazi comuni, come le mense aziendali, le aree fumatori e gli spogliatoi, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano;
- prevedere misure di riorganizzazione delle attività aziendali, chiudendo tutti i reparti non essenziali alla produzione, incentivando l’utilizzo di alternative digitali (oltre a favorire il cd. smart-working per tutte quelle attività che possono essere svolte presso il domicilio o a distanza) che consentano di partecipare a conferenze e riunioni di lavoro a distanza – in modo che i viaggi possano essere limitati ai casi strettamente necessari -, assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili;
- predisporre una procedura per la gestione di dipendenti con sintomatologia da Coronavirus, al fine di isolare il soggetto interessato, dotarlo di una mascherina protettiva e avvertire le autorità sanitarie competenti che provvederanno ad effettuare i relativi ulteriori interventi.
Le aziende possono anche avvalersi dell’Organismo di Vigilanza (OdV), il quale sarà chiamato a curare un’informativa specifica relativamente all’emergenza nonché a vigilare al rispetto delle misure adottare dalle varie funzioni competenti.
Il ruolo dell’OdV rivestirà, quindi, particolare importanza nel coordinamento e nella gestione dei vari flussi informativi, anche attraverso un’opera di costante aggiornamento con riferimento ai provvedimenti delle Autorità, potendo operare anche per mezzo di esortazioni al management aziendale volte all’adozione di tutti gli opportuni presidi, così da evitare il rischio di incorrere nella responsabilità ex D.Lgs. 231/2001.
Non si ritiene necessario procedere ad un adeguamento formale del Modello organizzativo, purché siano in ogni caso assicurate modalità organizzative idonee alla prevenzione dei reati precedentemente richiamati.
E’, piuttosto, caldamente raccomandato predisporre un’adeguata reportistica dei presidi posti in essere per la prevenzione dei rischi specifici derivanti dall’emergenza sanitaria, garantendo la tracciabilità, anche documentale, delle policy aziendali adottate e delle verifiche condotte sul rispetto delle stesse.
Tali regole di condotta, unitamente all’effettiva implementazione di tutti gli accorgimenti necessari, dovrebbe divenire una buona pratica aziendale da adottare sin da subito e da mantenere anche in una successiva fase di rientro all’operatività graduale da parte delle aziende.
Le misure sopra suggerite sono state in gran parte elaborate dal “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” del 22.4.2020, che l’INAIL ha elaborato e diffuso solo in bozza, in vista della cd. fase 2 con il ritorno progressivo in fabbrica o in ufficio a partire presumibilmente dal 4 maggio.
Il documento si compone principalmente di due parti:
- la prima diretta a predisporre una metodologia di valutazione di rischio di contagio del lavoratore in base alla propria mansione;
- la seconda contiene, per l’appunto, le strategie di contenimento del rischio sui luoghi di lavoro, per la prevenzione, protezione e contrasto all’insorgenza di nuovi focolai.
Quanto alla valutazione del rischio vengono prese in considerazione 3 parametri:
- l’esposizione, ossia la probabilità di venire a contatto con fonti di contagio durante il lavoro;
- la prossimità, intesa come caratteristica intrinseca di un lavoro tale da non permettere un sufficiente distanziamento sociale durante lo svolgimento dell’attività;
- l’aggregazione, valutata come tipologia lavorativa che prevede il contatto con soggetti terzi rispetto agli altri dipendenti.
In base a queste 3 viene stimato il rischio di contagio in basso, medio basso, medio, medio alto ed alto.
Sulla base di quanto fin qui detto, il Documento, prevede ed ipotizza che mentre le forze dell’ordine, i farmacisti ed il personale sanitario ricadano nel profilo di alto rischio, i lavoratori dell’agricoltura e della pesca o delle attività manifatturiere siano da ricomprendere in un profilo basso di possibilità di contagio.
L’attribuzione delle classi di rischio per i vari settori produttivi per l’INAIL è da considerarsi orientativa “per far emergere una consapevolezza integrata dell’attuale scenario di emergenza sanitaria”.
Quanto alle strategie di prevenzione, il documento riprende in buona parte le indicazioni già contenute nel Protocollo del 14.3.2020 con l’integrazione della valutazione dei rischi tramite:
- misure organizzative;
- misure di prevenzione e protezione;
- misure specifiche per la prevenzione dell’attivazione di focolai epidemici.
Tra le misure organizzative si collocazione la gestione degli spazi di lavoro, che vanno rimodulati nell’ottica del distanziamento sociale compatibilmente con la natura dei processi produttivi, nonché l’organizzazione e l’orario di lavoro[7].
L’Ente torna a caldeggiare ed a sottolineare l’utilizzo del cd. smart-working, nei casi in cui sia possibile, e la previsione di orari differenziati, al fine di ridurre il numero di persone presenti in azienda ed evitare assembramenti in entrata ed uscita[8].
Fra le misure di prevenzione e protezione, assumono particolare rilievo, al tempo stesso e con pari importanza, sia quelle informative sia quelle igieniche e di sanificazione degli ambienti.
Deve essere garantito l’utilizzo di mascherine e Dpi per le vie respiratorie[9], la sorveglianza sanitaria e la tutela dei lavoratori fragili. Un tema, quest’ultimo, che conferma la centralità del medico competente nell’identificazione dei soggetti a rischio e nel reinserimento di quelli con pregressa infezione da coronavirus.
Per quanto riguarda la prevenzione di focolai epidemici, l’Inail torna anche sulla necessità di attivare la procedura di controllo della temperatura corporea sui lavoratori con l’impiego di termoscanner all’ingresso dei luoghi di lavoro, e se la temperatura dovesse risultare superiore ai 37,5° C, non sarà consentito l’accesso nella sede di lavoro.
Queste persone saranno “momentaneamente isolate e fornite di mascherine”, non dovranno recarsi al Pronto Soccorso o nelle infermerie dell’azienda, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguire le sue indicazioni.
Se un lavoratore, durante il turno di lavoro, dovesse sviluppare febbre e sintomi di infezione respiratoria, come la tosse, sarà obbligato ad allertare immediatamente all’ufficio del personale; l’azienda procederà immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza per il coronavirus forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute.
Il documento dell’INAIL è attualmente al vaglio del Governo e potrebbe essere la base per la ripartenza delle attività lavorative e delle nuove strategie di prevenzione.
[1] Corte Cass Pen., n. 6507/2018 “in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l’omessa applicazione di una cautela antifortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione”.
[2] In particolare Decreto Cura Italia, Protocollo 14.3.2020 e circolare INAIL 13.3.2020.
[3] Corte Cass. Pen., n. 20970/2013: “nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di protettivi che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999).”
[4] Si ricorda che non esiste un modello generico che vada bene per ogni tipo di azienda ma, ogni modello organizzativo, viene stilato in base alle caratteristiche proprie di ogni azienda, in base alle attività che svolge, ai processi produttivi e agli interlocutori con cui interagisce. La giurisprudenza ha, infatti, avuto modo di precisare che “In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l'esistenza, prima della commissione del fatto, di un modello organizzativo e di gestione ex art. 6, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nonché la sua efficace attuazione o meno nell'ottica prevenzionale. (Annulla in parte con rinvio, CORTE APPELLO ROMA, 24.5.2018)” (Corte Cass. Pen., n. 43656/2019).
[5] Al riguardo si rimanda anche a ciò che verrà illustrato successivamente relativamente al “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” diffuso in bozza dall’INAL.
[6] Al riguardo è caldamente raccomandata la creazione di una mailing list interna o di chat aziendali per informare adeguatamente dipendenti e collaboratori su tutte le misure adottate, se possibile in un momento precedente all’ingresso nei luoghi di lavoro.
Per gli ambienti dove operano più lavoratori contemporaneamente potranno essere trovate soluzioni innovative come ad esempio il riposizionamento delle postazioni di lavoro adeguatamente distanziate tra loro e l’introduzione di barriere separatorie (pannelli in plexiglass, mobilio, ecc.).
Per gli spazi comuni, comprese le mense aziendali, i punti di ristoro e gli spogliatoi, i servizi igienici deve essere prevista una ventilazione continua degli ambienti, prevedendo altresì una turnazione nella fruizione nonché un tempo ridotto di permanenza all’interno degli stessi, naturalmente con adeguato distanziamento.
Devono essere limitati al minimo indispensabile gli spostamenti all’interno dell’azienda, comunque nel rispetto delle indicazioni aziendali.
Non sono consentite le riunioni in presenza, favorendo il collegamento a distanza o, se le stesse sono necessarie, possono avvenire garantendo un adeguato distanziamento e riducendo al minimo il numero di partecipanti.
L’accesso di fornitori esterni potrà avvenire secondo modalità, percorsi e tempistiche ben definite dall’azienda; per le attività di carico/scarico si dovrà rispettare il previsto distanziamento.
[8] Nella gestione dell’entrata e dell’uscita dei lavoratori devono essere favoriti orari scaglionati e laddove possibile, prevedere una porta di entrata ed una di uscita dedicate.
[9] Per quanto riguarda l’utilizzo di mascherine e dispositivi di protezione individuali (DPI) per le vie respiratorie: vanno mappate tutte le attività, prevedendo di norma, per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, l’utilizzo di una mascherina chirurgica. La valutazione dei rischi nelle singole realtà aziendali è lo strumento adeguato per la determinazione di specifici DPI anche in relazione al complesso dei rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori.