Nell’ambito dell’accertamento ai fini delle imposte sui redditi, nella circostanza in cui l’Amministrazione Finanziaria quantifichi sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale antitetica assegnata al contribuente dal co. 6 dell’art. 38 del DPR 600/1973, nella versione vigente "ratione temporis", concerne anche la consistenza dei menzionati redditi e la persistenza nel loro possesso.
Tali aspetti infatti rappresentano situazioni sintomatiche della contingenza che la spesa confutata sia stata sostenuta specificamente con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Ad affermarlo è la Corte Suprema di Cassazione .
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1) Accertamento e prova contraria
Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 19223 depositata in cancelleria il 02/08/2017 viene analizzato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate finalizzato alla cassazione della sentenza della CTR della Lombardia n. 142/20/2009.
Nel caso, a fronte della impugnazione di un avviso di accertamento sintetico per IRPEF anno 1999 scaturente dalla rilevazione di incrementi patrimoniali effettuati negli anni 2002/2003 ritenuti indici di maggiore capacità contributiva, era stato respinto dalla CTR l'appello dell'Ufficio in merito ad alcuni incrementi patrimoniali relativi ad acquisti immobiliari effettuati per il tramite di una provvista derivante da disinvestimenti di titoli.
La CTR ha affermato di ritenere illegittimo l'accertamento sintetico, in quanto l'Ufficio aveva preteso che il contribuente provasse l'inesistenza o la minor misura del reddito presunto sulla base del redditometro e l’indipendenza della disponibilità patrimoniale dai redditi prodotti nell'anno, invece di attenersi al differente principio che consente l'accertamento presuntivo in applicazione del redditometro, a condizione che il reddito complessivo netto accertabile "si discosti per almeno un quarto da quello dichiarato", tenuta inoltre in considerazione la circostanza che il contribuente ha dimostrato che il reddito accertato non esisteva e che la disponibilità patrimoniale scaturiva da risparmi accumulati in periodi antecedenti al quinquennio e non da redditi prodotti nell'anno.
Con l'unico motivo del ricorso per Cassazione, l'Agenzia delle Entrate ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’art. 38 del DPR n. 600/1973 e degli artt. 2697 e 2729 c.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto che la prova fornita dal contribuente - di avere incassato nel 2002 un rimborso di un finanziamento e di avere nello stesso anno disinvestito dei titoli - costituisca circostanza idonea a vincere la presunzione legale di cui all’art. 38 del DPR n. 600/1973, occorrendo invece la prova che le somme indicate non costituiscono redditi esenti o redditi soggetti a ritenuta alla fonte, nonché la dimostrazione dell'effettivo impiego delle indicate somme per l'acquisto degli appartamenti.
A parere degli Ermellini il motivo è risultato essere infondato in quanto, qualora l'Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria, ammessa per il contribuente dal comma 6 dell’art. 38 del DPR n. 600 del 1973, nella versione vigente "ratione temporis", afferisce anche all'entità di tali redditi e alla durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta (Cass. n. 25104 del 26/11/2014 e Cass. n. 1332 del 26/01/2016).
È opportuno rammentare che, attraverso la circolare 24/E/2013, l’Ufficio ha esteso i periodi rilevanti al fine del monitoraggio delle risorse necessarie per l’effettuazione degli investimenti. L’Amministrazione Finanziaria, nel documento di prassi, ha menzionato correttamente la “formazione della provvista” e non i “redditi dichiarati” in quanto si è resa conto che, nella maggior parte dei casi, il reddito dichiarato dal contribuente non raffigura la sua effettiva capacità di spesa.
Tuttavia, ciò che non convince nella circolare è il periodo nel quale l’Ufficio sostiene che il contribuente è tenuto a fornire la prova dell’utilizzo della provvista per l’effettuazione dell’investimento, sebbene il decreto disponga una sorta di sterilizzazione immediata degli investimenti, i quali devono essere valorizzati al netto dei disinvestimenti effettuati nell’anno e nei quattro precedenti. Di conseguenza non può essere fornita alcuna dimostrazione correlando un dato che differisce dalla spesa effettiva all’impiego della provvista, come del resto viene confermato dalla Suprema Corte attraverso la sent. n. 6396/2014, la quale statuisce che non è necessaria alcuna dimostrazione dell’effettiva destinazione dei redditi per l’effettuazione dell’investimento in quanto in presenza di valori presunti.
Pertanto, preso atto dell’indole presuntiva dell’accertamento, il contribuente non può essere chiamato a comprovare il nesso eziologico sussistente tra il reddito dichiarato e gli esborsi concretamente sostenuti nei periodi d’imposta soggetti ad accertamento, essendo esclusivamente tenuto a fornire la dimostrazione della propria capacità di spesa.
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