Per presumere maggiori ricavi il Fisco può far ricorso a qualsiasi elemento probatorio, ricorrendo al metodo induttivo con il supporto di presunzioni supersemplici che portano ad un’inversione dell’onere della prova.
Infatti, nel caso in cui il reddito contestato non sia stato indicato in dichiarazione, trova applicazione l’art. 39, co. 2, lett. a) del D.P.R. 600/1973 il quale autorizza l’Agenzia delle Entrate a valersi, ai fini dell’accertamento, delle informazioni e delle notizie raccolte in qualsivoglia maniera e di cui è venuta a conoscenza, con la possibilità di beneficiare anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Analoga autorizzazione è contenuta nella successiva lett. d-bis), introdotta nel co. 2 dell’art. 25 della L. 28/1999 e afferente alla circostanza nella quale il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli Uffici, ai sensi dell’articolo 32, co. 1, n. 3 e 4, rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti.
A tale conclusione è giunta ad esempio la Corte di Cassazione attraverso la sentenza n. 4944/2018, depositata in cancelleria il 02/03/2018.
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1) Presunzioni semplici e assenza di prova contraria
Un contribuente ha proposto ricorso per Cassazione avverso una sentenza della C.T.R. la quale, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle Entrate, ha confermato la legittimità della pretesa avanzata con l'avviso di accertamento, con il quale veniva accertata, a norma dell’art. 39, co. 2 del D.P.R. n. 600/1973, una plusvalenza non dichiarata e determinata dal trasferimento a terzi di una licenza per l'esercizio del servizio di taxi.
Il Giudice d'appello, premesso che il contribuente aveva esplicitamente rifiutato di rispondere al questionario ex art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 e che, avendo l'esercizio dell'attività natura imprenditoriale, il trasferimento della licenza configurava una cessione di azienda, ha ritenuto che l'Ufficio avesse, sulla base di presunzioni rispetto alle quali non era stata offerta prova contraria, legittimamente proceduto a determinare il reddito d'impresa ai sensi dell’art. 25 della L. n. 28/1999 e dell’art. 39, co. 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973.
Con motivo di ricorso il contribuente, denunciando la violazione e la falsa applicazione del co. 2 dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, dell’art. 32 della L. n. 28/1999 e dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, ha sostenuto l'inapplicabilità dell'accertamento induttivo a seguito del mancato riscontro al questionario inviatogli e la sopravvivenza, in ogni caso, dell'onere della prova in capo all'Ufficio, assumendo inoltre che l'atto inviatogli non sarebbe un questionario riconducibile al n. 4 dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 ma piuttosto al n. 2, il quale non autorizzerebbe l'accertamento induttivo.
A parere del Collegio di legittimità il ricorso è da ritenersi infondato in quanto la L. 21/1992 qualifica i titolari di licenza per l'esercizio del servizio di taxi come "titolari di impresa artigiana di trasporto" (art. 7) e prevede che la licenza rilasciata dalle amministrazioni comunali (art. 8), possa essere trasferita, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata, iscritta nel ruolo di cui all'art. 6 e in possesso dei requisiti prescritti (art. 9).
Trattandosi di attività d'impresa, alla "cessione" della licenza è pertanto applicabile la disciplina dettata dall’art. 86 del D.P.R. n. 917/1986, per la quale concorrono alla formazione del reddito d'impresa le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso dei beni relativi all'impresa, costituendo la licenza un bene immateriale strumentale all'esercizio di tale attività.
Ne consegue che, qualora il reddito contestato non sia stato indicato in dichiarazione, si rende applicabile il disposto dell’art. 39, co. 2, lett. a) del D.P.R. n. 600/1973, il quale abilita l'Ufficio a utilizzare, ai fini dell'accertamento, dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cass. n. 21762/2017).
Analoga abilitazione è contenuta nella successiva lett. d bis), introdotta nel menzionato art. 39 co. 2 dall’art. 25 della L. n. 28/1999, per l'ipotesi in cui il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell'art. 32, co, 1, nn. 3 e 4.
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