La problematica sottesa al regime della privacy che regola le istanze di accesso è da sempre oggetto di attenzione degli studiosi e di chi deve quotidianamente applicarla, cercando di raggiungere un bilanciamento tra il diritto alla conoscenza e il diritto alla tutela della riservatezza.
I giudici di legittimità hanno sancito una serie di principi di cui tenere conto nell’operato di tutti i giorni, individuando una serie di fattispecie che andiamo, in breve sintesi, ad illustrare.
Secondo la Corte di Cassazione, il dipendente sanzionato dall’azienda deve poter accedere agli atti che hanno preceduto l’adozione del provvedimento disciplinare nei suoi confronti e che contengono le valutazioni effettuate su di lui da parte del capo del personale, del dirigente, dai colleghi o dai clienti testimoni.(Cass. sent. n. 32533 del 14.12.2018).
Al lavoratore va quindi riconosciuto il diritto d’accesso anche se il datore non è una pubblica amministrazione e non si applicano le regole sulla trasparenza degli atti della P.A.
Ogni volta che l’azienda conserva, nei propri archivi, informazioni e notizie attinenti alla persona del dipendente, sta trattando un «dato personale» di quest’ultimo; e il lavoratore ha quindi la facoltà – riconosciutagli dalla legge nazionale e comunitaria – di accedere ai suddetti dati e di prendere visione.
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1) Dati personali di terzi e scelte aziendali: Cassazione 32533-2018
Regolamento UE 679/2016 - Articolo 4- Definizioni
"Ai fini del presente regolamento s'intende per:
1) «dato personale»: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all'ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale;"
Il diritto di accesso agli atti deve essere sempre supportato da un valido interesse, ma nel caso in cui il richiedente abbia subito una sanzione disciplinare il suo interesse è scontato, al fine di potere impugnare davanti a un giudice la sanzione inflittagli.
Qualora l’accesso coinvolga anche dati di terzi come si decide?
L’azienda è tenuta ad oscurare con gli omissis le parti dei documenti in grado di ledere la riservatezza di terzi, se non conferenti rispetto alla richiesta del lavoratore. Del resto, sostiene la Corte, si applica il principio della «gerarchia mobile»: in caso di conflitto fra il diritto di riservatezza e altri diritti di pari dignità il giudice deve procedere a un equo bilanciamento degli interessi in gioco.
Le valutazioni compiute dai superiori sono da intendere quali dati personali?
Anche in questo caso, per l' Art. 24 della Costituzione, prevale il diritto alla difesa. Il datore di lavoro non può negare il diritto di accesso agli atti del procedimento disciplinare trincerandosi dietro l’interesse dell’azienda a mantenere segreti alcuni aspetti delle sue scelte organizzative invocando la libertà d’impresa.
Ad avviso della Corte, nella sentenza sopracitata, non può essere il datore a decidere ciò che si può divulgare e cosa invece deve restare riservato: altrimenti sarebbe l’azienda a delimitare gli spazi di difesa della controparte.
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2) Accesso ai documenti riguardanti un rapporto di lavoro
Il diritto d’accesso, previsto dal Codice sulla privacy (qui sotto allegato) , ai dati contenuti in documenti riguardanti un rapporto di lavoro, non deve intendersi, in senso restrittivo, come semplice diritto alla conoscenza di eventuali dati nuovi ed ulteriori rispetto a quelli già a conoscenza del dipendente; scopo della norma è infatti quello di garantire la tutela della dignità e riservatezza dell’interessato nonché la verifica dell’inserimento, della permanenza, o, della rimozione, di dati che lo riguardano, indipendentemente dalla circostanza che tali eventi siano già stati portati alla sua conoscenza per altra via.
Il diritto di accesso ai propri dati personali può anche essere finalizzato all’acquisizione di elementi probatori al di fuori del processo a fini difensivi, posto che il tenore letterale del Codice della privacy non contiene alcuna limitazione in ordine alle concrete finalità per le quali il diritto di accesso possa essere esercitato.
È sempre la Suprema Corte nella sentenza n. 23408/2017 a dire che, nell’ambito del procedimento disciplinare avviato dal datore di lavoro a fronte di ritenute inadempienze ai doveri fondamentali del rapporto di lavoro, non è previsto l’obbligo da parte di quest’ultimo di mettere a disposizione del dipendente la documentazione aziendale sulla quale è fondata la contestazione degli addebiti.
Esso è tenuto a farlo solo ove il lavoratore ne faccia specifica richiesta. Per la Cassazione la richiesta del dipendente deve, altresì, essere qualificata, ovvero l’accesso alla documentazione deve risultare necessario per consentire al dipendente di rendere le proprie giustificazioni in modo adeguato.
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