Il leasing, storicamente, è uno degli istituti giuridici più controversi, specie nell’ambito delle procedure concorsuali. Le complesse perplessità interpretative, spesso sfociate in articolate diatribe giudiziarie, giustificano l’elevatissimo numero di contenzioso che, agni anno, interessa i tribunali e le corti. Ma i professionisti, dall’agosto 2020, dovranno “fare i conti” con una nuova disciplina.
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1) Leasing: il punto e le questioni controverse
Cosa è. Il leasing consiste in una figura negoziale originata al fine di soddisfare l’esigenza delle imprese di disporre dei beni strumentali necessari per la loro attività produttiva, senza l’immobilizzo di capitali. La volontà delle parti è sin dall’origine quella di trasferire all’utilizzatore la proprietà del bene acquistato dal concedente. In altre parole, la proprietà del bene resta in capo al concedente per l’intera la durata del contratto di leasing, a garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni che l’utilizzatore ha assunto. Il pagamento del canone non è considerato quale corrispettivo della locazione del bene, bensì come modalità di restituzione del finanziamento, pari al costo del bene maggiorato degli interessi e degli oneri.
Le questioni. In un primo momento i duelli dottrinari, espressione dei dubbi emersi nelle scrivanie di commercialisti e avvocati, si sono combattuti su un duplice campo di battaglia: natura traslativa o di locazione pura del leasing? L’uno o l’altro vincitore determinava l’applicazione di discipline dissimili, quali la locazione o la vendita a rate.
Le riforme. La tematica, che cogli anni si è fatta sempre più intricata, ha determinato l’intervento del legislatore in più occasioni ed in relazione a più aspetti:
- la novella del 2006 aveva provveduto a introdurre, nella L.F., l’articolo 72 quater, appunto rubricato “locazione finanziaria”;
- la novella del 2007 si era limitata a ritocchi ermeneutici di apparente maquillage normativo, limitandosi alla disciplina del contratto pendente al momento della dichiarazione del fallimento. Più in dettaglio, a seguito della riforma in esame (operata dall’art. 4 del D.Lgs. 12.09.2007, n. 169), è conseguito che, in ipotesi di scioglimento del contratto, il concedente avente diritto alla restituzione del bene, fosse tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza algebrica fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da ulteriore collocazione del bene, avvenute “a valori di mercato” rispetto al credito residuo in linea capitale.
- la riforma del 2017 (e più precisamente identificata nella L. n. 124 del 2017, articolo 1, commi dal 136 al 140) era normativamente intervenuta sulla tematica del contratto di leasing risolto in epoca anteriore al fallimento, rendendo a tale fattispecie operativi i dettati dall’articolo 72 quater, a condizione che il bene oggetto della manovra di leasing fosse stato periziato per individuarne il valore sia all’atto della messa a disposizione dell’utilizzatore che all’atto del suo realizzo, successivo alla risoluzione;
- la riforma epocale del 2019, attuata con l’emanazione del Codice della crisi e dell’insolvenza (per brevità CCII, emanato dal Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14), ha praticamente sostituito la normativa allocata nella legge fallimentare, in tema di locazione finanziaria, mutuando i principi già vigenti sotto tale primigenia normativa.
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2) Il leasing nel codice della crisi e dell'insolvenza
Il CCII. Più in dettaglio, l’articolo 177 del CCII, prevede due fattispecie:
- Liquidazione giudiziale dell’utilizzatore. In ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale per l’utilizzatore del bene concesso in locazione finanziaria il curatore ha facoltà di sciogliersi dal contratto ovvero di proseguire nello stesso. Ove il curatore opti per sciogliersi dal contratto, il concedente ha diritto a ottenere la restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra:
- la maggior somma ricavata dalla vendita o da ulteriore collocazione del bene restituito, avvenute a valori di mercato,
- la somma pari all’ammontare di canoni scaduti e non corrisposti fino alla data dello scioglimento del contratto, dei canoni a scadere (in linea capitale) e del corrispettivo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto rispetto al credito residuo in linea capitale.
Il concedente ha diritto di insinuarsi nello stato passivo della procedura per la differenza fra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene, conformemente alla stima disposta dal giudice delegato. Ove il curatore si determini nel proseguire il rapporto negoziale, il concedente avrà diritto a ritenere i canoni già incassati, a ottenere in prededuzione il pagamento dei canoni scaduti e non percepiti al tempo di apertura della liquidazione giudiziale (come passività afferente ai beni pervenuti nel corso della procedura) e, infine, a ottenere, in prededuzione, il pagamento dei canoni con scadenza postergata all’apertura della liquidazione giudiziale.
- Liquidazione giudiziale del concedente. Qualora la procedura di liquidazione giudiziale sia aperta nei confronti della società concedente beni in locazione finanziaria, il contratto prosegue: l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo di riscatto pattuito.
Il credito residuo in linea capitale. Il nuovo Codice, all’articolo 177, fa riferimento al “credito residuo in linea capitale”, determinato ai sensi dell’articolo 97, comma XII, primo periodo, identificato come sommatoria dei canoni scaduti prima dell’apertura della procedura e rimasti impagati (dall’articolo 97 si evince che non resta esclusa la relativa quota interessi, in modo diverso da quanto espresso dall’articolo 72 quater L.F., che si limita al “credito residuo in linea capitale”), dei canoni non ancora scaduti alla data di apertura della procedura, al netto della quota interessi e, infine, del prezzo di riscatto.
Il credito vantato alla data di apertura della procedura. Viene inteso come la sommatoria del credito residuo in linea capitale non soddisfatto a seguito del realizzo del bene, degli interessi corrispettivi ricompresi nei canoni scaduti prima dell’apertura della procedura e non pagati, e degli interessi di mora maturati sui canoni scaduti prima dell’apertura della procedura e non onorati.
La novità. Confermando i principi che avevano già dominato l’istituto giuridico del leasing in seno alla legge fallimentare, il legislatore della riforma del 2019 ha tuttavia introdotto una marginale novità al II comma: è stato infatti precisato che l’insinuazione viene operata in base a una stima disposta in sede di verifica dello stato passivo e salvo conguaglio in sede di riparto, sulla base dell’effettivo ricavato. Per l’effetto, la stima è stata concepita come strumento finalizzato ad una insinuazione condizionata al passivo.
Esercizio provvisorio. Infine, si osserva che la novellata formulazione del leasing non ha replicato l’inciso secondo cui il relativo rapporto prosegue nel corso dell’esercizio provvisorio, salva la facoltà di scioglimento esercitabile dl curatore. Al contempo va osservato che l’articolo 211, in tema di esercizio dell’impresa del debitore, al comma VIII, ribadisce che i contratti pendenti, e quindi, per implicito, non escludendo la locazione finanziaria, proseguono quale naturale effetto della continuità aziendale, facendo comunque salva la possibilità, in capo al curatore, di impratichire una differente opzione (“Durante l’esercizio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli. È fatto salvo il disposto dell’articolo 110, comma III, del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50. I crediti sorti nel corso dell’esercizio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi dell’articolo 221, comma I, lettera a)”).
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