La legge di stabilità 2019 (legge n. 145 del 30/12/2018) ha totalmente ristrutturato la c.d. Web tax, istituita lo scorso anno, che sarebbe dovuta entrare in vigore il 01/01/2019. La versione precedente (di cui avevamo già parlato su questo portale) viene abolita dall’art. 1, comma 50 della medesima legge di stabilità.
La nuova creazione giuridica si chiama Imposta sui servizi digitali (art. 1, commi da 35 a 49). Come già l’anno scorso, anche in questo caso le disposizioni attuative sono demandate ad un apposito decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze da emanarsi entro il 30/04/2019, cui seguiranno uno o più provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Vediamo le principali caratteristiche di tale nuovo tributo.
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1) Natura dell’imposta sui servizi digitali
Vengono colpiti i “ricavi” ottenuti da taluni servizi offerti su interfaccia digitale, come meglio specificato in seguito.
Parrebbe dunque che si abbia a che fare con un’imposta indiretta, tipo Iva.
Tale conclusione sembra confermata dalla previsione del comma 44, che prescrive l’applicazione delle norme Iva, per quanto compatibili, ai fini dell’accertamento, delle sanzioni, della riscossione e dell’eventuale contenzioso.
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2) Ambito soggettivo web tax
L’imposta colpirà i soggetti esercenti attività d’impresa che, singolarmente o come gruppo, nel corso di un anno solare, abbiano congiuntamente
1) un volume d’affari - ovunque realizzato - di almeno 750 milioni di euro, di cui
2) non meno di 5,5 milioni di euro realizzato nel territorio dello Stato tramite servizi digitali.
Si tratta dunque di soggetti aziendali di dimensioni significative.
Non sono tuttavia tassabili i ricavi in questione se scaturiscono da servizi prestati all’interno di gruppi aziendali, cioè resi ad aziende che, ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, siano controllate o controllanti, ovvero nel caso in cui entrambe siano controllate dal medesimo soggetto controllante.
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3) Ambito oggettivo della web tax
Come già detto, l’imposta va a colpire i ricavi ottenuti tramite la prestazione di specifici servizi resi tramite interfaccia digitale, e precisamente:
a) la veicolazione di pubblicità mirata agli utenti dell’interfaccia;
b) la messa a disposizione di interfaccia digitali multilaterali che consentano agli utenti di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni e servizi;
c) trasmissione di dati raccolti da utenti, generatisi tramite l’utilizzo dell’interfaccia digitale.
Come si può vedere, si intende – tra gli altri - colpire i ricavi del web advertising e quelli dei servizi a pagamento dei social network; dovrebbero essere colpite anche le grandi piattaforme digitali del commercio on-line, qualora consentano comportamenti tecnici come quelli sopra descritti.
4) Aliquota e Territorialità dell'imposta
Aliquota
L’imposta si applicherà nella misura del 3% del valore (Iva escluso) dei ricavi tassabili realizzati in ciascun trimestre (comma 41).
Territorialità dell’imposta
L’imposta si applicherà allorché le connessioni necessarie per porre in opera i servizi digitali tassabili (di cui al precedente punto) avvengano attraverso dispositivi utilizzati nel territorio dello Stato.
5) Modalità applicative web tax
Il tributo andrà riversato all’erario entro il mese successivo alla chiusura del trimestre (comma 42).
I soggetti passivi dovranno presentare apposita dichiarazione annuale entro quattro mesi dalla chiusura del periodo d’imposta (coincidente con l’anno solare).
Per quanto riguarda invece i profili di accertamento, sanzioni, riscossione e contenzioso, il comma 44 specifica che si applicano le disposizioni Iva, per quanto compatibili.
Con decreto Mef di concerto con il Ministero Sviluppo Economico (e sentiti l’Autorità Garante per le comunicazioni, il Garante per la protezione dei dati personali e l’Agenzia per l’Italia digitale), da emanarsi entro quattro mesi dall’entrata in vigore della legge (cioè entro il 30/04/2019), verranno stabile inoltre le disposizioni di attuazione della norma. A seguire, con uno o più provvedimenti del direttore dell’Agenzia Entrate, saranno definite le modalità applicative delle disposizioni relative a tale nuova imposta.
I soggetti esteri privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato e privi di un numero identificativo ai fini Iva, i quali realizzano nel corso dell’anno i presupposti d’imposta, dovranno fare richiesta all’Agenzia Entrate di un numero identificativo ai fini dell’imposta sui servizi digitali. Eventuali soggetti residenti, facenti parte dello stesso gruppo aziendale dei citati soggetti non residenti, sono solidalmente responsabili con questi per le obbligazioni scaturenti da tale imposta.
Inoltre, per quanto riguarda tutti i gruppi societari, è prevista la possibilità di nominare una singola società del gruppo per l’assolvimento degli obblighi scaturenti dall’applicazione della nuova imposta.
Profilo generale e commento.
L’imposta si applicherà ai ricavi su servizi digitali, come definiti dalla norma, realizzati indistintamente da imprese italiane ed estere. Tuttavia appare evidente la volontà del legislatore di dotarsi di uno strumento per attrarre nelle maglie del fisco una quota dei profitti dei soggetti non residenti che, attraverso le prestazioni di servizi immateriali via Internet, producono ricavi nel nostro paese (a motivo degli utenti qui fisicamente presenti) senza pagare Irpef/Ires sui relativi redditi, in quanto privi di stabile organizzazione , anche se ciò andrà a costituire un appesantimento tributario per i contribuenti italiani che già pagavano l’Irpef/Ires sul proprio fatturato digitale.
Nella versione della Web tax dell’anno scorso, la materia imponibile scaturiva da transazioni in cui il committente (stabilito in Italia) fosse un sostituto d’imposta, restando estranei al campo d’applicazione dell’imposta le transazioni il cui committente fosse un privato cittadino (non sostituto d’imposta). Nella versione attuale, invece, diviene indifferente la natura giuridica dell’utilizzatore del servizio, e si mira a colpire sia la capacità del web di fare business consentendo alle persone di connettersi tra di loro, sia tutto ciò che potremmo definire il “backstage” di internet, vale a dire quell’insieme di servizi digitali della cui esistenza l’utente non ha talvolta piena consapevolezza (come ad esempio la trasmissione, ai fini di profilazione, dei dati originati dalla navigazione), o che vengono considerati elementi marginali della navigazione web (come la pubblicità mirata online) .
Mentre la versione precedente della Web tax si concentrava sull’automatismo della transazione quale conditio sine qua non per la tassazione dell’operazione, la versione attuale prende di mira (non tanto le transazioni in quanto tali, bensì) i ricavi ottenuti tramite la prestazione di servizi digitali, senza focalizzarsi sul grado di intervento umano sottostante alla prestazione del servizio.
Per quanto riguarda le modalità applicative, è auspicabile che l’emanando decreto Mef chiarisca in modo più specifico le casistiche tassabili, soprattutto per la tipologia di ricavi scaturenti dalle attività di cui al sopra citato comma 37, lett. b). Si pensi, ad esempio, alla semplice fornitura di una casella pec, con accesso da web: dalla lettura combinata del medesimo comma 37 lett. b) e del comma 40, lett. b), tale esempio parrebbe restare fuori dal campo di applicazione del tributo, ma, ripetiamo, una elencazione delle casistiche ordinariamente tassabili sarebbe alquanto opportuna.
Infine, si noti che la novella legislativa, pur abolendo i commi da 1011 a 1019 della legge di stabilità 2018 (che istituivano la precedente versione della Web tax), ha lasciato intatto il comma 1010, il quale modificando l’art. 162 Tuir sulle stabili organizzazioni, introduce una nuova modalità di individuazione delle stesse, basato non più solamente su una presenza fisica nel territorio, bensì su “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso.”