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RIENTRO LAUREATI IN ITALIA: IL PROBLEMA DELLA RESIDENZA FISCALE

Rientro laureati in Italia: il problema della residenza fiscale

Il punto sul rientro dei laureati emigrati all'estero alla luce degli ultimi chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate

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Nei confronti dei  laureati emigrati all’estero, l’Italia ha intrapreso da alcuni anni una serie di iniziative rivolte al loro rientro. L’ultimo provvedimento legislativo è contenuto nell’articolo 16 comma 2 del D.Lgs.  n. 147/2015 (decreto internazionalizzazione).

 Gli incentivi previsti,   sono di natura fiscale e prevedono l’abbattimento della base imponibile, in questo caso, in ragione del 50% (dall’anno 2017, prima in misura del 30%).

Il laureato rimpatriato deve inoltre rispettare alcune regole, in primis quella di acquisire la residenza fiscale in Italia.

1) Excursus normativo sul rientro dei laureati in Italia

Si riassumono le condizioni previste  dalla norma.

D.LGS. 147/2015 – ARTICOLO 16 COMMA 2

Soggetti interessati:

a)Lavoratori dall'estero laureati assunti Italia;

b) Studenti laureati dall'estero assunti in Italia.

Durata beneficio:

Agevolazione applicabile per massimo 5 anni decorrenti dall'anno di trasferimento della residenza fiscale in Italia.

Obbligo di rimanere in Italia:  

impegnarsi a permanere in Italia per 2 anni.

Provenienza dei lavoratori:  

Agevolazione rivolta, per il 2016, solo ai cittadini UE e a partire dal 2017 anche ai cittadini di Stati extra UE,  con i quali sia  in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni fiscali.

Non essere stato residente fiscale in Italia nel periodo precedente l'impatrio:

a differenza del comma 1 dell’articolo 16 (impatrio manager ovvero lavoratori con elevata qualificazione e specializzazione),   dove la norma prevede che  il soggetto non sia stato residente fiscale in Italia nei 5 periodi d’imposta precedenti l’impatrio;  qui riferendoci al comma 2 dell’articolo 16,  viene richiesto di avere svolto all’estero attività di studio o di lavoro dipendente  o di lavoro autonomo per 24 mesi (calcolati in base al calendario comune).

Mentre il soggetto deve acquisire la  residenza fiscale italiana e questa precisazione,  lascia supporre che in precedenza,  necessariamente questo requisito fosse venuto meno.

Requisito della residenza fiscale italiana

Questa legge specifica espressamente che i lavoratori "impatriati" devono trasferire la residenza nel territorio dello Stato italiano, ai sensi dell'articolo 2 del Tuir che prevede: ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile; significa inoltre essersi cancellati dall'anagrafe degli italiani residenti all’estero per iscriversi all'anagrafe di un comune italiano, e di avere in Italia il proprio centro d’interessi. Facendo riferimento alla residenza fiscale, è evidente che, essendo questo decreto legislativo emanato il 14 settembre 2015, necessariamente i benefici possono essere fruiti dall'anno successivo (2016), in quanto nel 2015 non c'è il requisito dell'iscrizione nelle anagrafi italiane "per la maggior parte del periodo d'imposta".

LA PERDITA DELLA RESIDENZA FISCALE IN ITALIA DURANTE IL PERIODO ESTERO E LA CONSEQUENZIALE RIACQUISIZIONE PER FRUIRE DEI BENEFICI

Volendo circoscrivere il nostro esame sul requisito della residenza fiscale del soggetto, dobbiamo subito rilevare che la normativa non richiede espressamente che durante il periodo di permanenza all’estero il soggetto abbia perso la residenza fiscale italiana, così come prevista dall’articolo 2 del Tuir. Richiede invece che il laureato abbia “svolto attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa all’estero per 24 mesi, oppure di avere studiato all’estero per 24 mesi e aver conseguito un titolo accademico”. 

Mentre la norma è molto categorica sul fatto che per poter fruire dei benefici il soggetto impatriato  acquisisca la residenza fiscale in Italia.

Esempio:

Lavoratore laureato, assunto da società francese. Non procede immediatamente a cancellarsi dall’anagrafe del proprio comune ed iscriversi all’Aire, né a trasferire la propria famiglia in Francia; questo lo farebbe solo successivamente. Ipotizzando che il contratto decorra dal 1 ottobre 2016,   il requisito temporale di lavoro estero (24 mesi), verrebbe perfezionato il 30 settembre 2018.

Ipotizzo che  nel frattempo il soggetto si sia organizzato, trasferendo la famiglia ed iscritto all’Aire; tutti questi adempimenti sarebbero  stati ottemperati entro il 31 marzo 2018, per cui dal  1 aprile 2018, e per tutto il periodo d’imposta 2018 il lavoratore non è da considerarsi residente fiscale in Italia, bensì in Francia,  dove corrisponde esclusivamente le imposte.

Sulla base di tali premesse,  egli avrebbe realizzato tutti i requisiti di legge, per essere eventualmente  considerato un laureato impatriato in Italia,  ex articolo 16 comma 2 del D.Lgs. 147/2015, con assunzione, ad esempio,  dal 1.1.2019.

Infatti:

  • E’ laureato;
  • Ha lavorato all’estero per oltre 24 mesi consecutivi;
  • Non è più residente fiscale in Italia dal periodo d’imposta 2018.
  • Verrebbe assunto in Italia dal 1.1.2019 in base all’articolo 16 – comma 2 del D.Lgs. 147/2015.

Per cui,  nel periodo d’imposta 2019,  in linea puramente teorica, seguendo questo percorso logico,  in caso di impatrio il lavoratore potrebbe fruire dei benefici di legge.

Questa  ipotesi non ha trovato condivisione nella Risoluzione 51/E dell’Agenzia delle Entrate del 6 luglio 2018 e neppure nell’interpello n. 32 dell’11/10/2018, in quanto l’Agenzia ritiene che il soggetto, per poter fruire dei benefici fiscali,   non deve essere rimasto residente fiscale  in Italia per due periodi d’imposta,  determinati in base all’articolo 2 del Tuir.

2) Risoluzione 51/E – 6/7/2018

Questa Risoluzione nasce da un interpello posto all’Agenzia,  dove l’interpellante evidenzia questi punti:

  • Il 23/8/2015 ha trasferito la propria residenza fiscale  in Svizzera, facendo  contemporaneamente richiesta di iscrizione all’Aire.
  • Dal 2/9/15 è stato assunto dall’azienda Beta di Zurigo.
  • Il rapporto di lavoro con azienda Beta si è concluso il 30/9/2017.
  • Dal 3/10/2017 ha trasferito la residenza in Italia, iniziando in  pari data,  un rapporto di lavoro subordinato.

Sulla base di tali premesse, l’istante chiede se  risulta essere in possesso dei requisiti per poter accedere ai benefici previsti dall’articolo 16 del D.Lgs. 147/2015.

Nella richiesta, l’interpellante non specifica di essere laureato e di voler rientrare in base al comma 2 dell’articolo 16; però considerando l’ambito temporale  di residenza all’estero, tutto lascerebbe supporre che si tratta di un laureato. Anche l’Agenzia si orienta in tal senso.

Parere dell'Agenzia delle Entrate

Nella risposta viene specificato che:

 “ l’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 disciplina il regime speciale per i lavoratori impatriati, al fine di incentivare il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni. La disposizione prevede la concessione di incentivi fiscali, sotto forma di imponibilità del reddito prodotto in Italia nella misura del 50 per cento, in favore di soggetti che trasferiscano la residenza nel territorio dello Stato.”

 Viene inoltre ricordato che:  

“L’agevolazione è applicabile a decorrere dal periodo di imposta in cui il soggetto trasferisce la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del TUIR e per i quattro periodi di imposta successivi, ove ricorrano i requisiti e le condizioni previsti, alternativamente, dal comma 1 o dal comma 2 dell’art. 16 del d.lgs n. 147 del 2015.”

L’Agenzia affronta solo l’ipotesi di rientro prevista dal comma 2 dell’articolo 16 (laureati), evidenziando che:

“In particolare, il comma 2 prevede che sono destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che:

  1. sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, o
  2. hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.”

Viene quindi  affrontato l’aspetto che riguarda l’ambito temporale di mancata residenza fiscale in Italia da parte del soggetto, dove l’Agenzia fornisce una propria  chiave interpretativa. 

“Per accedere al regime speciale per i lavoratori impatriati, la norma presuppone, inoltre, che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio.

Probabilmente la norma non prevede in modo diretto ed esplicito il periodo di non residenza fiscale in Italia, limitandosi a fornire come indicazione l’aver svolto continuativamente attività di lavoro fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più (D.M.26/5/2016). Quindi pare che di residenza non se ne faccia alcun accenno, mentre invece risulta evidente che il requisito indispensabile per fruire i benefici è quello per il quale il soggetto deve riprendere la residenza fiscale in Italia. In  questo caso si potrebbe fare riferimento al periodo temporale minimo previsto dall’articolo 2 del Tuir, ( la maggior parte del periodo d’imposta  che significa 183 giorni ovvero 184 per gli anni bisestili), nell’ambito del quale il soggetto non è residente fiscale in Italia.

A tal fine, si osserva che l’art. 16 del d.lgs n. 147 del 2015 non indica espressamente, per i soggetti di cui al comma 2, un periodo minimo di residenza estera, come, invece, previsto per i soggetti di cui al comma 1 del medesimo art. 16 (permanenza all’estero per i cinque periodi di imposta precedenti al trasferimento in Italia).

Considerato, tuttavia, che il citato comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, la scrivente ritiene che, per tali soggetti, la residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo.”

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 2 del TUIR, sono residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. (……….)

Per fruire del beneficio fiscale ai sensi del citato articolo 16, comma 2, il soggetto, per i due periodi di imposta antecedenti a quello in cui si rende applicabile l’agevolazione, non deve essere stato iscritto nelle liste anagrafiche della popolazione residente e non deve avere avuto nel territorio dello Stato il centro principale dei propri affari e interessi, né la dimora abituale, circostanze, queste ultime, che richiedono verifiche di fatto non esperibili in questa sede.

Questa interpretazione  evidenzia che il metro utilizzato dall’Agenzia, al fine di identificare il periodo di non residenza fiscale in Italia,     è quello di considerare i 24 mesi di lavoro, o studio,  all’estero,   come fossero due periodi d’imposta.  A questo proposito occorre considerare che due periodi d’imposta potrebbero essere poco più di 12 mesi,  e quindi nella sostanza, oltre i due periodi d’imposta di residenza all’estero,  si dovrebbe raggiungere anche quello di legge che prevede “l’aver svolto continuativamente attività di lavoro fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più”.

L’Agenzia così conclude:

“Nel caso rappresentato, il sig. Alfa, cittadino italiano, nel presupposto della veridicità di quanto dichiarato circa lo svolgimento dell’attività all’estero per un periodo superiore a 24 mesi e il possesso del titolo di laurea e, nel presupposto che, per gli anni 2016 e 2017, non sia stato fiscalmente residente in Italia ai sensi dell’art. 2 del TUIR, risulta integrare i requisiti richiesti dal comma 2 dell’art. 16 del d.lgs n. 147 del 2015.

Sussistendo tali condizioni, l’istante può, dunque, chiedere al proprio datore di lavoro l’applicazione del regime speciale previsto dall’art. 16 del d.lgs n. 147 del 2015 per i lavoratori impatriati, secondo quanto precisato nella circolare n. 17/E del 2017, Parte II, a partire dal 2018 e per i quattro periodi d’imposta successivi.

3) Agenzia delle entrate Interpello N. 32 DEL 11/10/2018

Il caso proposto è molto simile a quello sopra riportato relativo alla Risoluzione 51/E 2018; anche la risposta fornita dall’Agenzia è identica a quella indicata nella citata Risoluzione.

Il caso si può così riassumere:

L’istante dichiara di aver svolto attività lavorativa all’estero da gennaio 2012 a maggio 2018, essendo iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero ( AIRE ). Rientrato in Italia, nel giugno 2018, è stato assunto con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e ha trasferito la propria residenza nel Comune di appartenenza.

Sulla base di tali premesse richiede all’Agenzia se possa essere ammesso al beneficio, ai sensi del comma 2° dell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015. 

L’Agenzia,  nel fornire il proprio parere riassume le diposizioni generali previste per la fruizione del beneficio:

Ai sensi del citato articolo possono usufruire del beneficio i cittadini dell’Unione Europea (qui l’Agenzia non evidenzia che dal 2017 sono interessati anche i cittadini di Stati extra UE con i quali sia in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni):

  • sono possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più;
  • hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream. 
  • Sul requisito del periodo minimo di residenza all'estero l'Agenzia delle Entrate si riferisce alla precedente risoluzione n. 51 del 6.7.2018 dove ha ritenuto sufficiente ai fini dell’applicazione dell’agevolazione, l’aver trascorso un periodo minimo di lavoro all’estero di due periodi d’imposta (articolo 2 del Tuir). 
  • I soggetti possono accedere all’agevolazione a condizione che trasferiscano la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del Tuir e si impegnano a rimanere due anni.

L’Agenzia conclude, evidenziando che l’interpellante, essendosi verificati tutti questi presupposti, può essere ammesso alla fruizione del regime agevolato dall’anno in cui acquisisce la residenza fiscale nel territorio dello Stato e per i quattro periodi d’imposta successivi i cui l’attività lavorativa sia svolta in via prevalente in Italia.

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Commenti

Daniele - 15/11/2018

Gentile dott. Rodella, non trova assai curioso che l'agenzia adesso si "inventi" il requisito della permanenza per due periodi di imposta (quindi creando un legame tra la durata effettiva del beneficio e l'iscrizione all'AIRE), quando sia nella legge del 2010, che in quella del 2015, questo requisito non è in alcun modo menzionato? Peraltro la stessa agenzia nella circolare del maggio 2017, chiarisce che si tratti di anni solari. Oltretutto, in che modo questa "restrizione" riesce a convivere con l'opzione che è stata data agli ex 238/2010 di "passare" sul nuovo regime, anche in assenza di ulteriori requisiti (tradotto: anche se avete passato fuori 2 anni solari, e non vi siete mai iscritti all'AIRE, potrete beneficiare di questo nuovo regime). Io, che non mi sono mai iscritto all'AIRE e sono rientrato nel 2016, e che mi trovo quindi tutte le strade sbarrate (pur avendo tutti i requisiti soggettivi) sono sempre più convinto ad iniziare un contenzioso.

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