La fase preliminare di un’attività ispettiva presso la sede del contribuente prevede, tra le altre cose, la ricerca documentale che equivale, nella sostanza, ad una perquisizione locale. In questo ambito le ricerche di documentazione utile ai fini fiscali possono estendersi anche a plichi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili.
Ti potrebbero interessare i seguenti eBook in pdf:
1) Verifica fiscale e ricerche documentali
L’attività di verifica fiscale che l’Amministrazione finanziaria effettua presso la sede del contribuente viene intrapresa con il cosiddetto “accesso” (che come già ricordato nel mio precedente speciale “Accesso domiciliare: quando i dati raccolti non sono utilizzabili“ è di fatto un atto amministrativo di natura autoritativa che consiste nel potere di entrare e di permanere, anche senza o contro il consenso di chi ne ha la disponibilità, nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, in quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici di cui al D.Lgs. n. 460/97, nonché nei locali adibiti ad abitazione[1]) e con la “ricerca”, con la quale l’organo di controllo procede al reperimento del materiale documentale utile ai fini dell’attività ispettiva.
Come meglio spiegato nel “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali” che la Guardia di Finanza ha pubblicato quest’anno, una volta eseguito l’accesso e subito dopo aver formulato al contribuente la richiesta di esibizione della documentazione obbligatoria detenuta nei locali ove si viene effettuato l’intervento ispettivo, si dà inizia alle operazioni di ricerca.
La ricerca viene posta in essere indipendentemente dal fatto che il contribuente abbia o meno aderito all’invito di esibizione della documentazione. Ciò in quanto il potere di ricerca esercitato dall’Amministrazione finanziaria (Guardia di Finanza o Agenzia delle Entrate), esattamente come il potere di accesso, ha natura autoritativa e può essere esercitato anche contro la volontà del contribuente, o nonostante lo stesso abbia esibito tutta la documentazione richiesta.
Se nel corso delle ricerche documentali gli operanti volessero ispezionare anche borse, zaini, bagagli da viaggio, casseforti, plichi o quant’altro presente presso i locali ove si sta procedendo con l’accesso e il contribuente (o il proprietario dell’oggetto da ispezionare) si opponesse, è possibile, oltre che necessaria, richiedere l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per procedere all’apertura coattiva.
Anzi nel citato documento di prassi della Guardia di Finanza viene specificato che l’apertura coattiva degli oggetti e degli spazi non deve essere considerata attività di carattere eccezionale, per cui ad essa deve farsi ordinariamente ricorso indipendentemente dall’insorgenza di specifici elementi di sospetto circa il contenuto dei suddetti oggetti e spazi.
2) L’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili e ripostigli
L’art. 52, comma 3 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che: “E' in ogni caso necessaria l'autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l'accesso a perquisizioni personali e all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all'articolo 103 del codice di procedura penale”.
Con riguardo all’esame di “di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili”, nella citata circolare n. 1/2018 della Guardia di Finanza viene evidenziato che con la sentenza n. 3204 del 18 febbraio 2015 la Corte di Cassazione ha stabilito che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica va richiesta soltanto qualora si renda necessaria un’apertura “coattiva”, mentre nel caso la ricerca estesa su borse, mobili o altro viene svolta con la collaborazione del contribuente, oppure nel caso che cassetti e armadi non risultino chiusi a chiave, l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria non è necessaria.
Sul solco di tale orientamento, recentemente la Suprema Corte ha ribadito il concetto con la sentenza n. 24306 del 04 ottobre 2018.
In questo arresto, nel quale la Corte si è dovuta esprimere su un ricorso presentato da un soggetto giuridico che non riteneva legittima l’acquisizione di dati ottenuti grazie all’apertura, previa autorizzazione, di una borsa chiusa di una dipendente della società non delegata a prestare assistenza in sede di indagini, gli ermellini hanno affermato che “l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica all'apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33), è richiesta soltanto nel caso di "apertura coattiva", e non anche quando l'attività di ricerca si svolga con la collaborazione del contribuente (cfr. Cass. 18 febbraio 2015, n. 3204; Cass. 23 aprile 2007, n. 9565). Conseguentemente, deve ritenersi legittima l'acquisizione di documentazione custodita all'interno di una borsa rinvenuta in sede di verifica fiscale laddove, come nel caso in esame, l'apertura della stessa è avvenuta con l'autorizzazione di un dipendente dell'impresa in verifica e, comunque, senza che sia stata sollevata alcuna contestazione specifica in sede di dichiarazione resa a chiusura della verifica medesima (circostanza quest'ultima non contestata)”.
[1] Circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (“Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”)